Il nostro viaggio a caccia di incontri nelle dolomiti bellunesi ci porta al monte Serva, la montagna di Belluno. Come sempre Marco Triches ci porta ad incrociare sguardi differenti sulla montagna.
Qui puoi ascoltare la puntata del podcast con il racconto di Marco
Il Cervino di Belluno: il monte Serva
Il monte Serva è la montagna di Belluno. Proprio della città di Belluno, e dei bellunesi. Probabilmente, come il Cervino, ha origini dalla Selva (o Selvino), la foresta. Tanto che una delle leggende tipiche del luogo è la caza selvarega, ossia la muta di cani, capitanata dall’uomo col corno, che pare si aggirasse per la montagna per punire soprattutto i cacciatori, rei di non rispettare il precetto del riposo domenicale. E anche di andare dove nessun altro osava andare: per sentieri impervi.
Eppure, vista da Sud, la montagna di Serva, presenta tutte le caratteristiche del pratone. Carriaggi, teleferiche hanno disboscato dalla notte dei tempi i terreni più docili. Poi sono arrivati gli studiosi, soprattutto da Padova, a catalogare la flora di quei prati. Ed oggi il panorama della vetta offre quasi duemila metri di dislivello inclinati, a dossi, piantumazioni, pascoli e ghiaioni fino in cima, dove si apre il grande baratro del versante Nord, quasi completamente verticale. Quel che è certo è che, poco prima di guardare le stelle del cielo, e pregare la buona sorte, si puntava dritto sul Serva: elementari, medie e superiori, e pure salendo con lo skilift, augurandosi di non cadere. Ma non è mai stata una montagna da scalare, andavamo ad Agordo, in Cadore, più raramente in Val di Zoldo o in Primiero.
Cecando l’idilio a Belluno
Negli intervalli dal lavoro nella città di Torino, trascorrevo buona parte delle vacanze estive a Belluno. Amore, odio, guerra, pace, aspirazioni e sofferenze erano destinate alle storie cittadine. A Belluno cercavo soltanto l’idillio. Così i lavori in campagna, l’andar per monti, le cronache familiari riguardavano soltanto una parte di me, quella compiuta, precisa, perfetta. A quel tempo, per un’estate, passava davanti a casa mia in bicicletta, e si fermava dai miei nonni, Dario Aguirre, emigrato argentino. Un gigante, si dice mangiasse moltissimo!
Siamo andati una sera a berci delle birre in lattina in un campo, a fine stagione. Ad un certo punto lui mi chiese se conoscevo delle ragazze, se potevo introdurlo in qualcuno dei miei giri mondani.
Io non ne avevo di frequentazioni, e nemmeno capivo perché mi chiedesse una cosa simile, del resto il mio mondo non era lì, stavo come un giglio nei campi, autosufficiente. Lui invece viveva a Belluno: per me era la luce del mattino, per lui la sua contraddittoria condizione di vita. Poi è sparito, in qualche autofficina di Rosario.
Mi ero da poco comprato il set da ferrate e mi sentivo euforico. In anni di scarpinate nessuno mi aveva mai parlato delle rocce, non sapevo nemmeno che ci fossero delle vie lassù. Una rivoluzione! Cerca di capire se sei in grado di fare una scalata e poi cimentati: studia, organizza, intraprendi, percorri. Zaino! Zaino! Zaino!
La filosofia della guida del monte Serva
La sera andavo a passeggiare al buio tra i carpini delle strade isolate della mia infanzia, finché una volta di quelle, sono incappato in Roberto Boiago, la guida alpina del Serva. Ci siamo frequentati abbastanza spesso per un periodo, lui è sempre stato l’esperto di montagna che ci conduceva fin da piccoli, con la parrocchia, a fare le escursioni. Sulla carta non aveva titoli particolari da esibire, ma era chiaro a tutti che fosse lui il nostro mentore.
Seduti nella sua cucina con un bel tavolo di legno e la stufa accesa mi ha raccontato la sua idea di montagna.
Innanzitutto mi allontanava dalle catene montuose più selvagge, niente Monti del Sole, niente versanti settentrionali della Schiara. C’erano troppi elementi che potevano distrarci dalla verità: baratri, zecche, tracce troppo intricate. Nella sua carriera aveva percorso più o meno tutto il percorribile, e tracciato itinerari in tutte le Dolomiti, affrontando anche lunghe trasferte. Ma ora gli bastava la montagna che, più di tutte, poteva osservare in qualunque ora del giorno da casa sua: il Serva.
Prima che capissi la sua filosofia era come se parlassimo due lingue diverse: io gli chiedevo di un tal sentiero, una località, o le condizioni di certi passaggi. Lui non ricordava i nomi, non dava importanza alla tecnica (salvo quella necessaria per non passare dei guai), non esisteva alcuna collezione di ascese o la smania di conoscere. Il punto della sua esplorazione era e rimane la pace.
Non è un caso se mi confessò che a volte, camminando la domenica, ascoltava la messa nelle cuffie, oppure che non andava mai sotto sforzo durante una salita, per lui era come guidare l’automobile, che le tracce che trovava non erano indizi per risolvere un problema, ma i segni di un Tutto ordinato e mistico.
Pure la vigilia delle sue esplorazioni aveva perso quel carattere inquieto che caratterizza normalmente la preparazione dello zaino e dei materiali necessari prima di ogni viaggio. Lui dispone i viveri, l’acqua, il vestiario, le mappe e il satellitare in maniera meccanica, senza stravolgimenti. Eravamo in due pianeti diversi, per certi versi opposti, ma lui capiva esattamente il mio.
Tra tutti gli spunti che Roberto mi ha regalato, e che credo siano utili per comprendere il suo ruolo da guida, e di conseguenza anche la montagna da lui prescelta, almeno nella fase più recente – il monte Serva – cito a memoria quelli che già allora mi parvero i più significativi.
- Guarda bene i rami degli alberi e degli arbusti. Se sei fuori sentiero, la tua via è segnata con dei tagli netti ai rami. Non sono spezzati, da un animale o dagli eventi atmosferici. Ci trovi un taglio d’accetta o fatto col seghetto. Meno segni di questo tipo trovi, più è intimo e solitario il percorso che stai seguendo.
- Portati dei sacchi dell’immondizia in escursione, bucali per far posto alla testa e alle mani, e poi entra nella montagna anche quando c’è il temporale. Se sei cauto, e sai dove ripararti, la natura ti svelerà alcune delle sue visioni più distanti.
- Portati con te un GPS, con le batterie di ricambio. È come un amico. Se intendi andare fuori sentiero in solitudine è sempre bene avere un riferimento. Lascialo nello zaino, usalo solo in caso le tue capacità mentali non siano sufficienti per uscire da una situazione.
È come se i suoi passi nella montagna non seguissero più la logica unanimemente accettata di avere una meta. Per quanto uno si disinteressi delle cime, o dei punti salienti di un monte (passi, forcelle, baite, boschi), normalmente c’è sempre un’idea guida nell’escursione: ciò che voglio andare a vedere, o esplorare. Roberto si è liberato di tutto questo, e pare che il fatto stesso del cammino in montagna, e l’incontro con il cosmo, ovunque conducesse, fosse la sua unica occupazione.
Il monte Serva, per questo, rappresenta il mondo ideale, ed è il motivo per cui ci accingiamo alla salita.
La salita al monte Serva
Innanzitutto è utile servirsi di Piero Rossi, e della sua Guida ai Monti d’Italia, Schiara.
Elemento inconfondibile del panorama bellunese è il grandioso e verdeggiante panettone del Serva, che si innalza a settentrione della città, con forme massicce, ma non prive di una loro armonia, culminando nelle triplici sommità, collegate da un’aerea cresta, cui sottostanno alte e solitarie conche di ghiaie e magro pascolo e dalle quali scendono poderosi e tondeggianti speroni di prato e di bosco. Molto più impervi e dirupati gli altri fianchi, che, rompendosi in creste rocciose ed avancorpi, di aspetto piuttosto repulsivo e selvaggio, incombono ad O, sulla valle dell’Ardo, a NO sulla Val de Rui Frèt, a N su forcella Zervòi, a NE sulla Val del Molin dei Frari e ad E sulla valle del Piave, laddove il fiume forma uno stretto gomito, per entrare nella Valbelluna.
La linea di salita, che coincide con il sentiero CAI 517, prevede il passaggio per la località Cargadór (quota 1035 metri), ossia il luogo di carico, della teleferica, delle slitte, per tutte le risorse prelevate in montagna e spedite a valle nel passato. Poi si attraversa un bosco piantumato d’abete, segno della necessità storica di rimpolpare le barriere naturali alle pendici del monte, contro frane e valanghe, a seguito dell’eccessivo disboscamento degli avi. A quota 1394 si raggiunge il Col Cavalìn, un dosso prativo facilmente individuabile, anche in caso di scarsa visibilità, con ampia vista su Belluno. Non è il solo toponimo che riferisce al cavallo. Più a Nord e più in quota c’è anche la Costa Cavàl, la banca erbosa che cinge la montagna a settentrione e consente di raggiungere, dopo una serie di torrioni e ghiaioni esposti, il Pass de la Cavala, ossia la serie di lastroni e pendii erbosi che conduce al versante meridionale, e più ospitale, del Serva.
Si raggiunge la conca carsica delle Casere Pian de i Fiòc (da “fiocchi di neve”), quota 1739, con una semplice camminata in salita. In inverno e con la luce della luna, il pianoro innevato presenta tutte le caratteristiche del locus amenus, un territorio ideale, appartato, vicino al cielo. Quando ci sono tornato in estate, la presenza dei pastori mi ha costretto a fare marcia indietro. Il ritorno del lupo nel bellunese, e la dotazione di cani da guardiania (pastori del Caucaso), liberati di notte per difendere il gregge di pecore, ha convinto i pastori a intimarci l’Alt!
Forse è utile ricordare che il fatto di avere successo in montagna, e quindi di raggiungere la meta prestabilita, è il frutto di una serie più o meno fortuita di casi. Solo al verificatisi di tutte le condizioni simultaneamente si ha la vittoria. A testimonianza di quanto sia più ragionevole pensare che gli obiettivi prefissati normalmente non vadano in porto, e che la vera eccezione è il raggiungimento della meta.
La cima del Serva, quota 2133 metri, è in vista. Una traccia sale a zig zag fino a quando la montagna finisce. Una volta raggiunto il punto più alto, dotato di croce e diario di vetta, non resta che farsi spazzare del vento, e osservare negli intervalli tra una carica e l’altra il grande Nord, che dalle ombre dei boschi sottostanti, con uno strapiombo di circa 1500 metri, si protende verso tutta quanta la regione Alpina.
RUBRICA A CURA DI:
Mi piace gironzolare, sono una guida ambientale escursionistica e scrivo. La mia terra natale è Belluno, una terra misteriosa, angusta e selvaggia. Per questo motivo, sogno di accompagnare le persone in quei posti.
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