Qui puoi ascoltare il podcast con il racconto di Marco Triches

HANNO PORTATO LA LUCE ELETTRICA IN VAL DEL MIS. Cominciava ad arrivare troppa gente perché potesse rimanere tutto com’era. Ma com’era?

Gallerie buie, una sfilza. Ognuna con il nome della famiglia che, più o meno all’altezza della galleria stessa, aveva la casa, la casera, il campìgol, la maiolèra (l’alpeggio), la teleferica, i campi, i boschi, l’opificio, la segheria, il mulino. Se ne erano andati tutti: i Miói, i Costa, i Fiabàne, i Mioranza, i Cogolani tra il 1957 e il 1962. Poi, nel 1966, c’era stata l’alluvione ed in seguito la valle del Mis si sarebbe trasformata in una valle deserta per davvero.

Il mio ricordo ufficiale di quella zona, oltre alle avventure in bicicletta per raggiungere Tiser, Rivamonte e poi Agordo, sempre controvento, è stato un incidente avvenuto un giorno di gennaio di qualche anno fa. Giorni bui, pioggia ininterrotta, un uomo di Padova si lancia nel lago con la macchina, volontariamente. Uno di Veneto Strade vede addirittura il tettuccio dell’auto nel lago un istante prima che sprofondi. Dicevano che cascavano i sassi se ci entravi in quella notte. Questo era il paradosso di una conca alpina trasformata in un lago per la produzione dell’energia idroelettrica: restare al buio

Poi sono arrivati tanti turisti, ed hanno acceso tutto! Uno dei primi esempi di turismo climatico: perché chi va in Val del Mis ci deve andare principalmente per prendere il fresco! Una specie di frigo naturale.

Gena Alta, verso il Zimon de Gena nelle Dolomiti bellunesi
Gena alta
In apertura: val del Mis

Questo nonostante uno dei primi esploratori dei Monti del Sole, Oscar Schuster di Dresda nel 1905 scrivesse in merito: 

«Genna alta è composta da un gruppo di case coloniche, costruite con strutture leggere nel tipico stile del Sud. È un nido abbandonato dal mondo ma circondato da prati accoglienti. Il villaggio è ombreggiato da castagni e alberi da frutto, e la vite serpeggia sui muri. Durante l’estate vi può essere un caldo rovente, mentre l’inverno è mite.»

L’ultima volta che ho percorso la salita a tornanti che conduce a Gena Alta, in cima alla Val del Mis, punto di partenza di vari sentieri, e in particolar modo dell’itinerario di questo articolo, mi ha superato un gruppo di veneziani in macchina (in totale divieto, per evitare i 400 metri di dislivello del fatidico avvicinamento) e lanciarsi finalmente, ben attrezzati, nel canyoon della Val Soffia, praticando a suon di urla uno degli hobby di moda del nostro tempo (tra l’altro vietato nel Parco): il canyooning.

canyoon soffia rid Al Zimon de Gena tra paradossi e ricordi di guerra.
Canyon del Soffia

Angelo Mioranza, uno degli antichi del luogo, proprietario di una baita proprio sopra il canyoon, chiamata Piscalòr, mi raccontò un pomeriggio nella sua casa di Sospirolo che la legna, trasportata a valle da teleferiche e fili a sbalzo da tutti gli angoli delle montagne, restava a bordo strada incustodita, nell’attesa che la trasportassero per venderla a Belluno. Nessuno si sognava di rubare la legna, portandosela via a spalle. Con l’avvento delle automobili la faccenda cambiava, e segnavano i ciocchi, in modo da verificare se nottetempo ne sparivano. Ma quella di Piscalòr è una deviazione troppo lunga per poterla intraprendere in questo momento. Saliamo verso la meta di questo episodio: il Zimón de Gena, quota 1465 metri.

Prima di cominciare a salire è utile ricordare che nel 1944 i nazisti occupavano il territorio, che in seguito a un rastrellamento avevano dato fuoco a Gena, trucidando Riccardo, Marcello, Servilio, Mario Casanova e Angelo Balzan. Alcuni ex abitanti ce l’avevano con i partigiani per questo fatto del fuoco, non con gli invasori.

Abitanti di Gena nelle Dolomiti Bellunesi trucidati dai nazisti
Abitanti di Gena trucidati dai nazisti

Harold William Tilman, maggiore dell’esercito inglese spedito a Belluno nell’agosto di quello stesso 1944 per aiutare la Resistenza, soprattutto dal punto di vista dei lanci dei rifornimenti e delle munizioni, diceva: 

«Il Canal del Mis dev’essere una delle gole di roccia più profonde e strette delle Dolomiti. In alcuni punti la valle appare sbozzata come una scultura tra la parete di calcare e il torrente, in altri presenta un tipo di roccia tutta traforata. Le Dolomiti non corrono in catene come le Alpi, ma sono formate da una mezza dozzina di gruppi isolati di montagne, separati da valli profonde, strette e piuttosto piane al fondo. Esse sono così facilmente accessibili (non mi riferisco certo alle cime), tanto che si può arrivare a toccare le rocce, stando seduti in macchina.»  

La carrozzabile per Gena è in asfalto, e procede a tornanti in mezzo al fitto di un basso bosco delle Alpi meridionali: carpini neri, frassini, aceri campestri, noci, pini neri, qualche pioppo bianco e betulle. Pochi affezionati del fine settimana popolano le case, specialmente a Gena media, con gli orti, kiwi, viti e cartelli di proprietà privata affissi nuovi di pacca. Questi in particolar modo mi sono parsi quantomeno divertenti: divieti d’accesso dove non passa quasi nessuno, in un paese che dire disabitato è assai generoso, mi hanno fatto pensare a quel tale, che al termine di un funerale, in mezzo alla folla nera e disperata, si lamenta di non essere stato compatito da nessuno per la sua fastidiosa otite.

A Gena alta, quota 800 metri, case distrutte e case restaurate coesistono sul medesimo promontorio solatio, una attaccata all’altra, inghiottite dal bosco, in silenzio totale. Una civiltà andata alla malora, un pendio opprimente.

Ettore Castiglioni: «Posso assicurare che a Gena alta, il paese più alto a ¾ d’ora dal fondovalle ci sono dei fienili dove si possono dormire sonni beati e una popolazione cordialmente ospitale, pronta a mobilitare in massa tutte le risorse locali per allestirvi una cena. L’arrivo di un forèsto poi costituisce un avvenimento così straordinario, che vien segnato negli annali del paese tra gli avvenimenti memorandi insieme con la famigerata iena (è a una iena leggendaria – chissà che bestia hanno visto – che gli abitanti di Gena facevano risalire l’origine del loro paese ndr). Tutta la bocieria del paese vi fa cerchio intorno, muta e rispettosa, osservando ogni vostro gesto, né vi abbandona un istante dal momento dell’arrivo a quello della partenza: par che anche il fienile dove dormite sia sorvegliato, poiché al mattino ridestandovi ve li trovate già lì, attenti a non perdere un attimo dello straordinario spettacolo della vostra toeletta.»

Zimon de Gena nelle dolomiti bellunesi
Zimon de Gena

IL SENTIERO GIUSTO PER IL ZIMÓN, ossia il Cimone, dell’omonimo paese, comincia a destra del civico n.88. Sembra uno scherzo all’inizio, ma i muretti a secco e il viottolo trincerato con i sassi coperti delle scivolose foglie secche dei primi faggi confermano la scelta del tracciato. La pendenza è sempre elevatissima: questa è la montagna più accessibile di tutti i Monti del Sole, il gruppo in cui siamo finiti. Grazie a una certa recente attenzione per questo percorso il sentiero inoltre è stranamente evidente, si direbbe ben calpestato. Questo fenomeno aiuta anche a difendersi dalla seconda minaccia reale di questo ambiente: è tutto sempre molto impervio, ma le zecche sono più distanti, oltre il sentiero, nell’erba alta. 

Superati alcuni bivi che si staccano tra le rocce sia ad Est che ad Ovest rispetto alla linea di massima pendenza, cioè quella che abbiamo intrapreso fiduciosi noialtri, si raggiungono degli insoliti ripiani rimboschiti, relitti ecologici di un passato rurale e romantico: i Mandriz, ossia i recinti o ricoveri per gli animali, delle radure riempite dalla vegetazione. In sequenza sono esattamente tre: il Prim (primo) quota 1150 metri, quello de Mèz (secondo) 1290, e l’ultimo, in Sonch (quello in cima) 1350. Poi comincia il prato e la rotta da tenere diventa una specie di media tra una linea più pianeggiante, diretta alla dirupata e surreale forcella dei Fratói, e una più verticale per l’anticima del monte di Gena, quota 1450 metri.

Alla fine, tenendosi stretti sui tronchi dei piccoli faggi che contornano la cima del Zimón, ci si può sporgere vertiginosamente sulla Val Rui Bianch (il rio bianco), per spiare se c’è qualche camoscio tra gli spalti, e immaginare come deve essere percorrere i sentieri che, con un certo orrore, si scopre che passano anche di lì.

Mappa del trekking al Zimon de Gena nelle dolomiti bellunesi
La mappa è scaricabile in PDF

ANNOTAZIONI SULLA DISCESA: questi monti non solo, ovviamente, non rompono il tabù del mal di ginocchia a scendere: troppo ripido e sconnesso il sentiero per non bestemmiare almeno un po’.  Ma, quel che è inedito, è che non si prova nemmeno un briciolo di noia, qualcuno direbbe relax, a tornare indietro. Quel salutare piacere di annullarsi, di dimenticarsi di sé, tra gli alberi che sfilano alle spalle e il cielo blu e la perfezione della natura. 

Tagli dritto a una curva poi, per rimediare, vai un po’ a sentimento, ancora un po’, forse laggiù… mi sembra di riconoscere un posto… ti aggrappi agli alberi, scivoli e poi ti arrendi. Torni sui tuoi passi, per almeno 100 metri di dislivello, causati da un fuoripista di anche solo 5 minuti. 

Ad aver seguito uno di quei tagli, comunque, si sarebbe raggiunto il Cogól de la Loréza: una grotta, mesta, nulla di spettacolare. Quel che è strano è che ci sia un sentiero che vi conduce, sospeso sui dirupi (questo fatto dei precipizi credo che ormai si sia capito!)

Nel Cogól de la Loréza, anche detto dei Partigiani, il 28 novembre 1944 fu assassinato dai nazisti Mario Casanova. E a vedere il posto uno si domanda fin dove avessero l’animo di spingersi in guerra per dare la caccia a un uomo questi qui! Una grotta che per arrivarci uno si chiede una decina di volte: “ma sei sicuro?”

E alla fine, arrivato in quel punto, con il Mis semi nascosto alla vista dagli alberi, le ombre del pomeriggio oltre l’occhio sinistro, e con la schiena gelida per effetto della grotta, dopo le scorribande tra i boschi e i sassi, ho chiuso gli occhi e mi è venuto di pensare alla guerra.

31 Agosto 2020
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RUBRICA A CURA DI:
Marco Triches

Mi piace gironzolare, sono una guida ambientale escursionistica e scrivo. La mia terra natale è Belluno, una terra misteriosa, angusta e selvaggia. Per questo motivo, sogno di accompagnare le persone in quei posti.

 

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