I monti di Belluno sono una nicchia. Un landro (grotta, insenatura) nelle Alpi calcaree, o un piccolo incavo in cui ripararsi nella montagna. Un posto dove si è certi di essere sott’occhio, ma da dove non è sicuro che si riesca a vedere un bel niente. Tale è la condizione di chi sta in una nicchia: tutto concentrato a mantenere l’equilibrio, o a mantenere vivo un ideale, un covo, un focolare. Un comodo bersaglio! Come nelle città, quei centri sociali che sembra siano ogni giorno sul punto di essere spazzati via, seguendo il loro destino. O la sorte degli adepti di un gruppuscolo, i pochi seguaci, gli avanguardisti, per cui è sempre facile vedersi sparire nel nulla.
Qui puoi ascoltare il podcast con il racconto di Marco Triches
Così mi sono sentito io, tra abeti rossi e faggi, mentre attraversavo il bosco di Vallalta, a circa 800 metri di quota, sulla sponda destra del torrente Mis, ai confini del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi e le Pale di San Martino.
Il viaggio cominciava in una specie di terrazzamento, un pianoro rialzato tra le alte muraglie incombenti delle Dolomiti e il fondo scosceso e luminoso del torrente, poco dopo il centro abitato di Pattine (comune di Gosaldo, da Lorenzo Masoch, detto “Patina”, 1695). Un basamento buio di cristalli e argille scontratosi contro la Dolomia principale, tanto cara all’identità dei locali.
Si tratta della linea di faglia della Valsugana, dove è sorto il distretto locale delle miniere: Valle Imperina, Vallalta, Gosaldo, Sagron, per la produzione di rame, ferro, siderite, mercurio.
Una regione dove non c’era niente, esplosa in secoli recenti, con una toponomastica quasi coloniale: nomi di famiglie, nomi da impieghi nell’industria mineraria, nomi scaramantici: come ad esempio California! Un agglomerato di case sorto nel 1875, intorno ad un albergo, osteria, dispensa montanistica intitolato proprio al grande stato americano, e, soprattutto, collocato nella piana alluvionale della vertiginosa val dei Molini. Territorio distrutto completamente nel 1966, con l’alluvione. Incluse le case e tutto il resto. La California doveva essere di buon auspicio, c’erano anche i primi turisti, le cartoline. Ma California derivava anche da kalifar, che nel dialetto locale, e nel gergo dei seggiolai, significava “fumare”. Fumavano i forni per la fusione dei minerali e le sponde dei monti erano desertificate fino alle cime.
Ora io invece viaggiavo nel bosco, che era tagliato in pezzi lunghi un metro per rispondere al fabbisogno di carbone dei forni fusori.
Dopo il fango, il saccheggio dei materiali e delle attrezzature abbandonate, ereditate dalle miniere, invase la gallerie, le fornaci, da acqua e vegetazione, la regione ha oggi l’aspetto di una terra dove qualcosa è davvero andato storto. Alti e bassi della storia dell’uomo. Era sembrato ci fosse addirittura l’oro, già in territorio trentino (cioè Austria), c’erano le corriere, le sale da ballo, le merci, la fortuna e il denaro.
Attività rurali, testimoniate da alberi di frutta, muretti a secco, e poi gli spiazzi delle carbonaie, le calchere (per la produzione della calce dai blocchi di calcare della montagna), le piste forestali per il taglio del bosco. I padroni dicevano che la vita in miniera salvava il contadino, perché finito con la miniera uno aveva anche tempo di portare avanti i lavori della campagna. C’era un treno che da Agordo andava a Roma.

(foto di M. Triches)
Quando ho raggiunto Casìn di Vallalta, un casolare isolato usato in passato come abitazione dai responsabili del taglio dei boschi, ero quasi contento di raggiungere finalmente una radura, e togliermi di dosso la sensazione che qualcuno mi stesse osservando, da qualche parte.
Seguirono ore di perlustrazioni, gite fuoripista tra abbondanti scie di foglie di faggi in grande pendenza, frane qua e là che interrompevano la pianura degli alberi, guadi rocamboleschi. Ho trovato anche una fototrappola (a confermare simbolicamente questo fatto dello spionaggio!) sicuramente utilizzata per qualche progetto naturalistico.
Nel vicino vallone di Campotorondo ci sono, tra gli altri, il picchio nero, la civetta capogrosso e il gallo cedrone, e il bosco di Vallalta stesso è probabilmente un importante corridoio ecologico per la fauna (lupo, sciacallo dorato, orso?)
Gli stessi abitanti dei poveri agglomerati, semiabbandonati, che circondano la zona sono piuttosto selvatici (Mori, Pattine, Titele, Marcoi): certamente cacciatori, ranger e uomini tosti, che mal sopportano la vicinanza dei confini del Parco. È ambientato in questa valle il fatto di cronaca nera che ha visto impegnato un imprenditore bellunese nel tentativo di occultare la morte di un taglialegna (moldavo), ucciso dal cavo della teleferica, e che lavorava per lui.
Percorrendo chilometri nel bosco sembra di essere sempre nello stesso posto, ci sono sentieri che portano in quasi tutte le direzioni, dove perdere l’orientamento è un affare molto probabile.
Alla fine sono riemerso sulla Strada Provinciale 2 della Valle del Mis, poco dopo una serie di gallerie belliche scavate dalla Todt (i gruppi di lavoratori italiani che venivano ingaggiati dai tedeschi per realizzare opere di viabilità nel corso dell’occupazione nazista del Nord). Un luogo deserto, lontano, tappa conclusiva del sentiero tematico de “La montagna dimenticata”, dove non c’è praticamente nessuno e dove sembra, ogni volta che si entra, di trovarsi dentro un manuale di una qualunque delle storie locali d’Italia.
Sulla via del ritorno per Belluno, accompagnato da un camionista, un operaio edile alla fine del lavoro, sul far del tramonto, ho preso dallo zaino i Piccoli maestri di Luigi Meneghello e, sostando a tratti e alzando gli occhi, mentre percorrevamo le gallerie buie che circondano il lago artificiale del Mis, ho letto ad alta voce, al mio autista, questo pezzo.

In cima al canale ci abbandonarono in un luogo chiamato graziosamente California. Sulla costa di fronte passavano macchine tedesche. Alcune si fermavano, gli ufficiali scendevano sul ciglio e ci osservavano coi binocoli. Veniva da gridargli: “Imbecilli! Non vedete che non siamo pronti?”Pareva che ci fosse un diaframma tra noi e loro. L’idea di sparargli qualche fucilata, saranno stati a un chilometro di distanza all’insù, sembrava completamente assurda. Le pallottole sarebbero andate a scheggiarsi su qualche serranda di vetro infrangibile. Questi ufficiali che ci osservavano, curiosi ma distaccati, come studiando animali marini in un acquario, parevano marziani, invulnerabili. Mi sentivo uno straccione in mezzo agli straccioni osservato da questi marziani. I miei compagni stavano fermi. Tutt’a un tratto Bandiera si tirò giù i calzoni, e si mise in ginocchio, voltando il sedere all’insù. Ad uno ad uno gli altri lo imitarono. Nessuno disse nulla. Io restai com’ero, seduto per terra, come il pastore di un branco di culi, guardando i tedeschi che ci guardavano di lassù e si passavano il cannocchiale.
RUBRICA A CURA DI:
Mi piace gironzolare, sono una guida ambientale escursionistica e scrivo. La mia terra natale è Belluno, una terra misteriosa, angusta e selvaggia. Per questo motivo, sogno di accompagnare le persone in quei posti.
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