L’ultimo villaggio italiano prima di Gondo è Iselle di Trasquera, sulla strada del Passo del Sempione, fatta costruire da Napoleone agli inizi dell’Ottocento per collegare Milano a Parigi. Da Iselle parte anche la galleria ferroviaria, terminata un secolo dopo, che con i suoi 19,800 km unisce l’Italia alla città svizzera di Brig passando sotto il Monte Leone. Dal confine di Gondo (m 850) al Passo del Sempione (m 2005), dove si trova lo spartiacque, ci sono 23,5 Km di strada in territorio svizzero. Il confine passa quindi a sud delle Alpi, ritagliando sulla carta geografica un triangolo così piccolo che si potrebbe strappare pizzicandolo fra pollice e indice. L’itinerario che sto per raccontare corre lungo questo confine, zigzagando come la traccia della volpe che insegue la lepre sulla neve.
Il sentiero per Corvetsch, ultimo alpeggio svizzero prima del confine, e Vallescia, primo alpeggio che incontreremo una volta rientrati in Italia, parte esattamente dal gomito del secondo tornante, costeggia le rocce della falesia detta “Il Cippo”, e sale, ripido ma ben tracciato, zigzagando tra cespugli di rose selvatiche e radi pini, sopra l’abisso delle Gole di Gondo, con scorci impressionanti sull’immensa conchiglia della Pala. Via via che salivamo il sentiero diventava sempre più bello e largo nel bosco misto di pini e abeti da cui filtravano lame di luce.
Nell’ultimo tratto, dopo esserci arrampicati in un canale molto ripido, attraversammo a una sella e sbucammo su ampie praterie con vista sul “Trittico del Sempione”, cioè Weissmies, Lagginhorn e Fletschhorn, due 4000 e un 3900, coi loro ghiacciai e le scintillanti creste innevate. Penso che il fascino principale della gita, il suo momento indimenticabile, risieda proprio in questo emergere dalla profondità crepuscolare della valle all’ampiezza luminosa delle praterie e alla maestosità delle cime.
Finisco ricordando Giuseppe Joller (1820-1893) che fu parroco di Gondo dal 1879 alla morte, erudito e storico, umanista e scienziato, statua di bronzo di cui s’è perduto lo stampo”, amò e descrisse le sue montagne “che hanno la grandiosità che non schiaccia ma eleva, cupe rocce piene di segreti eppure così parlanti per noi perché ci lasciano il tempo di raccoglierci e di pensare”.
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L’autore
Alberto Paleari, ossolano doc, nato il 15/12/1949 a Gravellona Toce, dal 1974 e per 43 anni ha esercitato a tempo pieno la professione di guida alpina. Fertile scrittore di romanzi e guide (sei sono dedicate alla Valdossola), ha pubblicato per Vivalda, Tararà e MonteRosa Edizioni. Benché sia un grande conoscitore delle Alpi, ha sempre avuto l’Ossola come riferimento geografico e culturale. Fra tutti i suoi libri ama ricordare “Le più belle vie di roccia dell’Ossola dal I al V grado”, storia di una vita passata ad arrampicare nella sua valle (2013), l’autobiografia “Le montagne e il profumo del mosto” che racconta del mestiere di guida alpina e della sua famiglia che ha posseduto un’azienda vinicola per quattro generazioni (2015), “L’attraversamento invernale delle Alpi”, diario di un viaggio con gli sci dal Lago Maggiore al Lago dei Quattro Cantoni (2017), il memoir “L’altro lato del Paradiso”, cinquant’anni di frequentazione della Valgrande (2018) e, con Erminio Ferrari, “Ossola quota 3000”, racconto delle loro ascensioni ai 75 Tremila ossolani e documento sullo stato attuale della montagna (2019). Freschissimo di stampa è “La finestrella delle anime – Sulle tracce dei Walser dalla Valsesia alla Valle Strona” (2020)
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