Ci sono momenti in cui ci si ferma un attimo e si fa il punto, si valutano i passi fatti fin qui (e il passaggio d’anno può essere uno di questi momenti). Marco Triches lo fa ripensando al percorso che con lui abbiamo fatto fino ad ora attraverso il Parco delle Dolomiti Bellunesi con i “Fatti della Schiara”. Rileggere il passato diventa l’occasione per scorgere del nuovo nel presente.

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Viene il momento in cui si valuta il passato

In un percorso, per quanto lungo sia, purché non risulti troppo breve, c’è sempre un momento in cui si valuta il passato, a volte prendendone le distanze, riconsiderandolo o, semplicemente, valutandone i difetti.

A me è capitato così, lungo i “Fatti della Schiara”, questo diario sentimentale nei recessi del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi. Già solo su questi “recessi” ci sarebbe molto da discutere: dove mi sono spinto? Cosa definisce un luogo un recesso? Quale lo è di più, quale meno? E perché un recesso varrebbe di più di un posto facilmente accessibile? (Visto che questo è l’assunto alla base del mio programma!)

È interessante notare, ad esempio, che quasi mai, nel territorio considerato, i luoghi più ameni corrispondono ai luoghi più rilevanti dal punto di vista naturalistico. Almeno per quanto ne ho capito io. I bei prati che ospitano una flora d’eccezione non sono burroni, ma banalmente delle pale erbose, o delle conche, dove non si può misurare il coraggio del passo. 

Da amante della montagna vado in montagna, e lo faccio anche come guida. Mio nonno, alpigiano d’annata invece, l’andare in montagna lo considera un passatempo per qualche soleggiata domenica dell’anno. Non importa se guadagno qualche soldo per un’escursione guidata, molto più nobile è, per esempio, tagliare la legna. Ecco un albero da tagliare: una quercia rossa cresciuta troppo e troppo vicina alla nostra baita.

Ecco un albero da tagliare una quercia rossa cresciuta troppo e troppo vicina alla nostra baita Una montagna eretica. Valutare il passato per scorgere il nuovo nel presente.
Ecco un albero da tagliare una quercia rossa cresciuta troppo e troppo vicina alla nostra baita

C’è qualcosa che stona nel mio lavoro per il tempo libero, ma potrei dire la stessa cosa per quel taglio del bosco

È a questo punto che si inserisce un fatto, che sta proprio all’origine del mio ripensamento!

Il fatto che fa scattare un ripensamento

In un garage della pittoresca frazione del Perón, un gruppo di case, due ristoranti e un distributore, lungo un esteso curvone della Strada Regionale Agordina, paese dall’omonimo monte di roccia marcia soprastante e dal famigerato, partigiano ponte delle corde sul torrente Cordevole; in questo luogo baciato dal sole, campeggia, proprio in quel garage, un murales del Duce.

la frazione del Peron un gruppo di cas e due ristoranti e un distributore Una montagna eretica. Valutare il passato per scorgere il nuovo nel presente.
La frazione del Peron, un gruppo di case, due ristoranti e un distributore

Ma come? 

Certo, se dovessimo stupirci per tutti gli affreschi e i ninnoli sparsi in Italia che ricordano nostalgici il nostro vile passato non la finiremmo più di contare. Io stesso passavo i pranzi domenicali al cospetto di una targa su qualcosa a proposito del pane e del lavoro, firmata da quello nel murales! Eppure questo fatto del Perón mi ha davvero turbato.

Proprio all’ingresso del mio territorio d’elezione, patria di baite, casere, rupi, boschi, animali e sentieri eccezionali, dove balza il camoscio, vola l’aquila e il gufo reale o segue una pista il lupo (Ah vero, quello vale meno!) d’ora in avanti avrei saputo per sempre che c’è, a vegliare il mio passaggio, quel murales lì.

Questo fatto di avere una spia per strada mi ha spinto a guardare a quel mondo, certamente da me idealizzato, con uno spirito diverso. Prendiamo per esempio una qualunque di quelle casère sparse tra i monti, in un posto sperduto, in rovina, dove si misuravano le fatiche, i sogni e le lotte quotidiane dei miei avi. Le casère della Val Clusa, quelle della Schiara o della Talvéna, nei Monti del Sole o verso le Alpi Feltrine. Ma chi mi assicura che i miei avi non fossero della stessa pasta del tipo del garage del Perón? Cioè, è chiaro che ce n’erano, e magari erano anche in maggioranza, ma perché io questo fatto l’ho sempre cancellato?

Perché di fronte ai resti di un focolare, di una teleferica abbandonata, nei segni di un pascolo antico o di un bivacco, perfino nei sentieri stessi, non ho saputo considerare che l’umanità che ha lasciato quelle tracce porta con sé il bòn e il tríst? Del resto anche l’idea di tagliare quella quercia rossa, che risale a quella che per noi è la notte dei tempi (un centinaio d’anni circa), appartiene perfettamente a quel mondo alpino.

E quindi? Come fare? A volte i camini dei rifugi di montagna non tirano bene: il fumo rimane nella stanza e ci punge il naso (non tutti a dire il vero se ne accorgono, e a volte pure siamo assuefatti). La storia delle mie montagne mi ha cominciato a fare lo stesso effetto, qualcosa s’incastra, mi fermo dubbioso.

Forse è giunto il momento di qualcosa di nuovo? Un nuovo modo per me di salire in montagna, che tenga conto dell’umanità che ci è passata certo, ma che utilizzi questo armamentario di luoghi, attrezzi, storie, facce (gli ecomusei ad esempio) come uno strumento per saltare oltre, per fare un passetto in più.

Cercare cosa c’è di nuovo, dare un senso nel quotidiano

È per il fatto che ho un’idea di cosa sia una carta topografica che posso farne a meno in escursione. E così, la ragione di sapere che un sentiero è nato per il fieno, per il pascolo, la caccia, la guerra o il taglio del bosco, non mi può impedire di cercare la novità che sta alla fine, in mezzo o all’inizio di quel sentiero. Cosa si sta rivelando davanti a me; che c’è oggi, che magari ieri non c’era?

Per tornare nei recessi, la risposta potrebbe essere: la boscaglia. La boscaglia è ciò che appare nel sentiero, magari inghiottendoselo. C’è, in quel “disordinato” rispuntare di alberi, arbusti, erba alta, oppure nei tunnel di rovi, nelle mughete d’alta quota, un calcio a tutte le nostre tradizioni. Ma c’è anche il nostro tempo, il secolo in cui ci è dato di comparire tra i monti: è ciò che ci rappresenta, e ciò che nasconde, per sua natura, ai nostri occhi, la verità dell’ambiente alpino che abbiamo in sorte. 

Un viaggio, un diario sentimentale, potrebbe esaurirsi completamente in un punto, non ben precisato, senza alcuna storia di rilievo, di quella boscaglia. Ciò non impedisce, beninteso, di prendersi cura dei “pedestri sentieri, che c’erano una volta e ormai non ci sono più” (Giovanni Angelini): tutti gli sforzi possibili vanno fatti per salvare la nostra storia. Ma ciò che accade oggi non è la fienagione alla fine del sentiero, come negli anni Cinquanta, quanto lo sviluppo senza volto della Natura.

i pedestri sentieri che cerano un a volta e ormai non ci sono piu Una montagna eretica. Valutare il passato per scorgere il nuovo nel presente.
I pedestri sentieri, che c’erano una volta e ormai non ci sono più

Qualora avessimo la fortuna di assistere a qualcuna delle rivelazioni dell’ambiente naturale, è nostro compito conservarla e dargli un senso nella nostra vita quotidiana, a partire dall’immediato ritorno verso casa. Cosa c’è nei bar lungo la strada, nelle corsie dell’autostrada, nel traffico in tangenziale o nell’isolato del mio palazzo che può salvare il tesoro che ho raccolto in montagna? Probabilmente nulla più di un enigmatico filare di platani nella nebbia. Molto meglio seguire i fossi, i fiumi, l’aperta campagna, le siepi interpoderali, fino a casa. Eccola una mappa che può aver sempre senso avere in tasca: quella che rappresenta la traccia adatta, come un metanodotto sotterraneo, che mi porta indenne ad incontrare la montagna.

E poi, ci vogliono compagni.

29 Dicembre 2022
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RUBRICA A CURA DI:
Marco Triches

Mi piace gironzolare, sono una guida ambientale escursionistica e scrivo. La mia terra natale è Belluno, una terra misteriosa, angusta e selvaggia. Per questo motivo, sogno di accompagnare le persone in quei posti.

 

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