La conoscenza è un fatto di amicizia: vale anche per luoghi che, sebbene vicini, non hanno alcun posto nella nostra memoria finché non ne facciamo conoscenza. A volte una conoscenza casuale, come ci racconta Marco Triches per tre casere dimenticate nel gruppo della Schiara (casèra i Rónc, casèra Palàza e capanna-bivacco Medassa), può trasformare questi luoghi apparentemente inospitali, in luoghi amici.
Qui puoi ascoltare il racconto di Marco
Scegliere dove vivere
La mia generazione, e il mio ceto di appartenenza, hanno fatto i conti con una nuova possibilità, generalmente preclusa in passato alla maggioranza della popolazione, e tutt’ora fuori questione per quella fetta di mondo che si può definire dei meno abbienti. Dove scelgo di andare a vivere?
Tralasciando il fatto che dietro questa ricchezza si nascondano nuove povertà (vedi tutto il tema dei “cervelli in fuga” ecc ecc), il punto è cruciale: siamo sempre liberi di scompaginare le carte, cambiare città o paese, nel giro di poco tempo.
Non è così per le piante che, pur nel loro moto perpetuo tra i continenti, devono trovare le condizioni adatte, nel punto esatto in cui si trovano. Ed era così ad esempio per i montanari, che arrivavano ad addomesticare luoghi oggi classificabili come selvaggi. Perché non c’era, o quasi, alternativa.
C’è un altro tema, affine, che riguarda tutti quelli che come me si possono permettere un surplus alla sopravvivenza: ovvero il turismo (o anche il viaggio, ma pur sempre con i mezzi del turismo).
È da un pò di tempo che è sorto in me il dubbio che mai vedrò l’America, o l’Estremo Oriente russo, o le Ande, o l’Africa. Più di tutto è il pensiero di prendere l’aereo a turbarmi.
Mondi da scoprire
Quanto costa in termini ambientali il mio desiderio di vedere ambienti nuovi? Forse potrei andare a piedi, o in bici, in autostop magari o con il treno, imbarcarmi di straforo in qualche mercantile. Tutte operazioni che mi richiederebbero una buona dose di tempo. E che quindi, almeno in questo momento, non potrei affrontare.
I miei viaggi di recente si sono concentrati in piccoli fazzoletti del Nord Italia.
In questi casi si dice che i libri aiutino a colmare i vuoti dell’esperienza vissuta. Ed è certamente così!
Ma un’ottima risposta, credo, ce la danno anche gli uomini. Ci sono, nei nostri paesi, moltitudini di stranieri, portatori di culture diverse. È sufficiente starli a sentire, in uno qualunque di quei giorni-rivelazione in cui uno si rende conto di essere finito in un mondo nuovo. Non è così male rinunciare ad un viaggio se poi arriva un tale che te ne parla. Quando Sidiki Sidibe, del Senegal, mi ha raccontato di quando è salpato dalla Libia, mi è sembrato tutto così chiaro: un mare, sotto al sole, che copre e scopre la costa marrone, gialla e nera. La conoscenza è un fatto di amicizia.
Poi ci sono gli uccelli migratori. Quando vedo planare sulle colline delle Marche, o lungo gli argini e l’autostrada di Rovigo, l’albanella minore, un rapace agricolo (nidifica a terra nell’erba alta o tra i cereali) che proviene dall’Africa, mi sembra che il mio paesaggio abbia ancora dei segreti. Alla fine mi potrei fermare.
Le casere dimenticate nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi
Nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, se si escludono le valli più docili, c’è una linea netta di confine tra le pendici e gli altopiani. Fino a circa 1500 metri di quota è tutto un dedalo di forre, frane, strapiombi e boschi pensili.
Dopo, quando non ci sono le pareti, cominciano gli altopiani, in molti casi invasi dalla vegetazione. Le uniche vie di salita che non prevedano passi in qualche modo alpinistici sono i colli, le dorsali, le pale erbose o boscose, che spaccano gli imbuti delle gole. I termini più in voga per definire questa morfologia accidentata sono: Castelìn, Castelàz, Castèl, Tór. Cose medievali insomma.
Poi ci sono le conche, dove il ghiaccio ha scavato dei catini quasi perfetti erodendo i materiali più morbidi e dando spazio a luoghi adatti per il pascolo, dopo accurato disboscamento.
Sono questi i casi di tre località esemplari: casèra i Rónc, casèra Palàza e capanna-bivacco Medassa, nel gruppo della Schiara.
Il prezzo della rinuncia
È da qualche tempo che si menziona una certa corrente dell’Alpinismo detto della “rinuncia”. L’idea positiva per cui uno, resosi conto dell’impossibilità dell’impresa, torna sui suoi passi prima che sia troppo tardi.
Per quanto non sia un sostenitore della vetta a qualunque costo, credo che la rinuncia in montagna sia un fatto comunque molto complicato. Partendo dal presupposto che l’ascesa è anche, o soprattutto, un fatto spirituale se, per qualunque motivo, questa viene interrotta e si è costretti a fare dietrofront, questo processo che include lo spirito non si blocca in maniera indolore.
La discesa a valle a questo punto è una contrizione. Il cammino non è libero, come si sarebbe auspicato, ma un continuo ripensamento.
È in condizioni simili che ho raggiunto la casère in questione: primi avamposti di pace nella lunga rotolata a valle. Sono i luoghi in cui ho finalmente risistemato lo zaino, o gli scarponi, preso un foglio di carta e una penna per annotare qualche pensiero che mi occupava la testa, bevuto un po’ d’acqua, mangiato un boccone chiudendo la porta, dato uno sguardo a quaderni, santini, ninnoli, generi di prima necessità, accuratamente impacchettati nelle mensole o sui caminetti anneriti dal fumo. Ho guardato i boschi circostanti, sentito qualche verso lontano, controllato la mappa e l’orologio. In maniera del tutto improvvisa, dopo le casère, sarei rientrato a casa con un po’ di serenità in più.
Capanna-bivacco Medassa, Casèra Palàza e Casèra i Rónc
A questo punto un po’ di bibliografia essenziale, sicuramente utile per conoscere questi luoghi al di fuori del mio sentimento del tempo. Viaggiamo, libro alla mano – con quell’antico vizio di camminare e leggere allo stesso tempo – insieme alla Guida ai Monti d’Italia, Schiara, di Piero Rossi (1982).
Si tratta, in questo caso, anche di un caratteristico esempio di cultura e valori della montagna d’annata.
Capanna-bivacco Medassa, quota 1340 m. “Piccolo ma simpatico e accogliente ricovero, posto sotto un grande landro (“grotta” ndr) di roccia della Val Medassa (da méda: grande covone di fieno), realizzato nel 1975 da un gruppo di giovani della sezione del CAI di Belluno, accanto ai resti di un antico e primitivo ricovero di pastori. Il bivacco è una costruzione in muratura, interamente rivestita in legno, con completa attrezzatura di cucina e legna in sito (si prega di reintegrare, se possibile, quella utilizzata, scendendo nel bosco sottostante, dove si trovano sempre numerosi schianti, dovuti alle valanghe). L’acqua, ove non funzioni l’apposito tubo in gomma che attinge a monte, si trova copiosamente alla fontana un quarto d’ora in discesa dal bivacco. La capanna-bivacco dispone di due ripiani, con materassini in gommapiuma, sufficienti per una dozzina di persone (non vi sono coperte). Il tutto è stato realizzato con amore e sacrificio, per cui non si raccomanderanno mai abbastanza rispetto, pulizia, attenzione al pericolo d’incendio, accurata chiusura ecc.”
Casèra Palàza, quota 1167 m. “Dal ponte si prosegue per la traccia a destra (Nord Est), alti sopra la Val de Rui Frét, aggirando varie coste boscose. Si attraversano alcuni valloncelli, con corsi d’acqua non perenni ed, aggirata un’ultima balza, si perviene a un’alta pala erbosa, dove sorge la buona casèra Palàza (palàza: palaccia, prato ripido, brutto ndr). La casèra, con il coperto in lamiera, è già visibile dal fondovalle e costituisce, sin qui, punto di riferimento.”
Non così ora, laddove il bosco ha coperto interamente la pala, nascondendo alla vista la casèra, a sua volta danneggiata proprio nel “coperto in lamiera” dagli abbondanti schianti in seguito alla tempesta Vaia del 2018.
Casèra i Rónc, quota 1324 m. “Si aggira il Col de le Bréghe (bréghe: rozze tavole), incontrando la traccia che scende dal Pass de la Cavàla, per il Col de Silvestro, si passa presso i ruderi di casèra Bréghe, si piega verso Sud Est, aggirando un valloncello ed attraversandone il fondo e, piegando ora a Nord Ovest, si raggiunge, in breve, la casèra de i Rónc (rónc: terreno dissodato, o da disboscare per il pascolo ndr), in ambiente piuttosto cupo e selvaggio, su pale di pascolo, sopra le quali incombono i levigati ed alti dirupi del fianco Nord Ovest del Serva (ai piedi degli strapiombi piccoli nevai pressoché perenni)”.
Anche Harold William Tilman, maggiore dell’esercito inglese, dedica al luogo qualche piccolo spunto; capitatoci di notte, clandestino, al seguito della lotta partigiana (Wen men & mountains meet”,1946):
“Nell’imbocco di una stretta valle, lasciammo la slitta, ci mettemmo sulle spalle i rucksacks e cominciammo una delle più pericolose marce notturne che mai ci eravamo permessi fino ad allora. Lungo il fianco ripido della valle, un sentiero appena abbozzato, che ci faceva sprofondare nella neve polverosa, seguiva un andamento tortuoso. Era un posto selvaggio. Il torrente, zittito da ghiaccio, scorreva 500 piedi più sotto e, sulla sponda opposta si alzava ripido, tra rocce e neve, il monte Serva per 5000 piedi.”
Il destino delle piccole casette delle Alpi
Come degli oggetti tralasciati dal tempo, costruite in luoghi lontani da qualsiasi interesse dominante, sospese su dei colli esposti alle intemperie e alle burrasche, o in delle conche gelate e nebbiose, le piccole casette delle Alpi, in qualsiasi angolo della grande catena, hanno due destini: sparire nel nulla o vincere la grazia di una ristrutturazione, spesso sprovvista del caldo focolare di una visita.
Non c’è niente di favoloso da scalare e nessuna comoda gita fuoriporta che le raggiunga, non c’è quota, scarsa vista, neppure l’Alpe! Sono posti per meditabondi, luoghi di culto, granelli di polvere incastrata sotto l’occhio, quando la palpebra si chiude.
Quelle Casere nel gruppo della Schiara ora esistono
Facendo ritorno ai disguidi tecnici dove ci eravamo lasciati, è certo un peccato riguadagnare la strada di casa con l’animo castigato e intimorito. Talvolta l’umore impiega molto tempo a risistemarsi. Eppure, è mia convinzione che se fosse andato tutto per il verso giusto, quelle casère non sarebbero mai esistite nella mia memoria. Non almeno con l’affetto che gli attribuisco ora.
La conoscenza è un fatto di amicizia; e la rinuncia, a suon di imprecazioni, genera un bellissimo ricordo, altrimenti senza il suo passato.
RUBRICA A CURA DI:
Mi piace gironzolare, sono una guida ambientale escursionistica e scrivo. La mia terra natale è Belluno, una terra misteriosa, angusta e selvaggia. Per questo motivo, sogno di accompagnare le persone in quei posti.
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