Ascolta la puntata del podcast con il racconto di Marco Triches

Notre vie est un voyage
dans l’Hiver et dans la Nuit
Nous cherchons notre passage
dans le Ciel où rien ne luit

Canzone delle Guardie Svizzere, 1793

Viaggio al temine della notte di Torino

Un’insegna luminosa si accende e si spegne, è un negozio cinese. Piove ininterrottamente da giorni. Abbiamo tutti la metà bassa dei pantaloni perennemente inzuppata d’acqua, i vestiti non si asciugano mai, cambiamo ogni poche ore i giornali appena dentro la porta, per le scarpe fradice, e c’è sempre la condensa alle finestre. Siamo a Torino

Torino notte in Corso Giulio Cesare
Torino, Corso Giulio Cesare angolo Corso Novara

Andrea Petrucci ed io, in un attimo di pausa del maltempo, decidiamo di andare a fare un giro lungo il fiume: un posto che visto da fuori città non ha nulla di significativo, ma per chi è di Torino invece è una specie di Greenwich. Imbacuccati e muniti di un pintone di vino e del tabacco andiamo Lungo Dora

Risale a quel tempo la prima volta che ho sentito nominare il “Viaggio al termine della notte”, di Louis-Ferdinand Céline, e fu proprio Andrea Petrucci a parlarmene quella notte lungo la Dora. Sia il Viaggio, sia il Petrucci, sia la Dora sono tre elementi certi, direi tre montagne, senza definizione, anche per la maggioranza del mondo che li ignora. Mi si concederà spero il credito di menzionarli senza alcuna particolare spiegazione. Come il Cervino, il Po o il Vesuvio: il miracolo è la loro esistenza, e la luce che gettano su di noi.

Disegno di Andrea Petrucci: Dentro Celine
Andrea Petrucci, Dentro Celine
In apertura: Andrea Petrucci, Ep 1. N°38 Fiume

Addirittura, le staccionate di legno, i palazzoni muti, i pezzi di prato e le panchine circondate dalle birre Moretti vuote, i semafori che illuminano le pozzanghere, i paracarri delle strade periferiche di Torino sono un richiamo tanto forte, a volte, quanto una valle qualsiasi delle migliori delle Alpi. Mentre camminiamo lungo il fiume, dopo lunghe giornate di pioggia d’inverno, la notte in città sembra l’unico posto ad esistere al mondo. Certamente ci vuole un buon compagno! E in quel tempo, con l’andazzo che avevamo, il termine della notte sembrava un posto lontanissimo, da raggiungere mettendosi in cammino la sera, senza nessun pensiero per il domani. Si era determinati abbastanza!

Qualche tempo dopo, il termine della notte è diventato qualcosa di più impegnativo. La lotta contro gli sfratti dei poveracci, la resistenza agli sgomberi delle case occupate imponevano levatacce alle 2 o alle 3 del mattino; si organizzavano i turni, si controllavano le strade, dai terrazzi e dalle auto. Mi hanno dato in mano le chiavi di un lucchetto, mentre eravamo circondati da bidoni legati da catene, e mi hanno detto: “In caso di necessità, chiudi!” Molto bene! Ombre corrono alla fine dell’isolato, tutti abbiamo il cappuccio in testa e crolliamo dal sonno, in più io non ho capito che devo fare. C’è un momento in cui finisce la notte e inizia il giorno che il freddo è più pungente che mai. Tutto ciò assomiglia di più alla guerra, o comunque alla vita militare. È negli istanti che precedono l’alba che attaccano gli indiani, i miliziani, la polizia, gli eserciti, i partigiani…

Sentiero CAI 851. Direzione Monte Colsent e Passo Forca
Direzione Monte Colsent e Passo Forca

Notte partigiana: Tilman e l’Alta via

Harold William Tilman, maggiore dell’esercito inglese, viene paracadutato a fine estate 1944 nell’Altopiano di Asiago allo scopo di “realizzare un legame diretto” tra l’esercito alleato e i capi partigiani della Valbelluna.

“Il terzo tentativo ebbe luogo l’ultimo giorno di agosto. Di nuovo io presi il primo posto, poiché il capo dell’altra missione si era offerto di lanciarmi. Un buon uomo per il lancio è la cosa più utile che ci sia. Un comando urlato con fermezza di ‘Action Stations’ raccoglie tutti assieme e un urlo ancora più potente di ‘No.1 Go’ costringe la prima vittima, per quanto riluttante, a buttarsi nel vuoto in posizione più o meno corretta. Così fu in questo caso. L’ordine arrivò mentre stavamo affrettandoci, ma non ebbi bisogno di concentrarmi a guardare intensamente la luce di avvertimento. Il rosso diventò verde e simultaneamente, con uno stentoreo ‘Go’, che ancora mi suona nelle orecchie, io mi buttai fuori.” – H.W. Tilman, When men & mountains meet

Tra le varie imprese per cui viene ricordato Tilman (uno dei più grandi alpinisti ed esploratori del XX secolo), oltre all’attraversamento dell’Africa in bicicletta nel 1933, le spedizioni in Nepal, Karakorum e Cina, i viaggi per mare nell’Artico, l’Antartico e le isole Falkland (dove sparisce con la sua barchetta a 80 anni), cittadino onorario di Belluno per la lotta nella Resistenza, è anche il titolare di un’Alta Via. Il percorso che collega Asiago, il monte Grappa, le Pale di San Martino a Falcade e la Marmolada, che il maggiore inglese compì nella sua missione bellica alpina, è diventato un tracciato escursionistico a tappe.

Ed in parte questo tracciato si sovrappone con il sentiero CAI 851, nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi: quello che per me ha tutta l’aria di essere un bel “Viaggio al termine della notte”.

Sentiero CAI 851. Foss de Brendol verso il Passo de l'Omo
Foss de Brendol verso il Passo de l’Omo

Sentiero CAI 851

Il territorio del Parco delle Dolomiti è stretto e lungo, messo in orizzontale, da Ovest a Est. Il sentiero 851 ne percorre un bel pezzo, nella parte centrale. Se consideriamo il Troi dei Caserìn, naturale prolungamento verso Occidente, per Piazza del Diavolo (Vette Feltrine), e il vallone di Campotorondo (Agnelezze e Monti del Sole) a Oriente, viene fuori un itinerario completo, possibilmente da compiere in giornata. Una giornata d’estate, con molte ore di luce disponibili, partendo prima dell’alba. Non saprei dire di quanti chilometri si tratta, ma tanti. È questa l’idea di girovagare per ore in piccoli ballatoi d’alta quota, tra prati, cenge e canaloni: un sentiero che rimane incredibilmente sempre alla stessa quota (circa) per moltissimo tempo, attraversando almeno tre gruppi montuosi. Andare dritto nelle Dolomiti è una rarità, in questo caso quasi succede, ed è per questo che pare piuttosto un sogno (anche perché le scarse variazioni di quota, poche salite, consentono un abbandono vigile, quello di chi fatica poco, si rilassa, ma non si distrae, siamo sempre al di sopra dei precipizi).

Partire col buio e arrivare col buio è il principio del nostro “Viaggio al termine della notte. Certamente c’è in ballo una questione atletica: è sconsigliabile avventurarsi in un simile tragitto, nei tempi prescritti, senza preparazione. Ma d’altra parte, come Coltrane mentre suona il sax, la mente trae beneficio, se non soccombe allo sforzo, dalla libertà che si esprime nell’arte, in questo caso di camminare. Non accade da nessuna altra parte, parlando del territorio delle Dolomiti Bellunesi. Ci sono luoghi in cui uno è in pace solo quando ne è uscito, oppure itinerari standard, dove rimane poco spazio per l’immaginazione. Il sentiero CAI 851 è una questione di spirito. E per illuminarne alcune parti, in attesa di imboccarlo un giorno, eccone alcuni luoghi esemplari.

Sentiero CAI 851. Nei dintorni di Casera Cimonega
Nei dintorni di Casera Cimonega

Le Vette è un altipiano alto ed erboso. A nord esso si presenta con una facciata alta e dirupata di roccia marcia, su cui si può salire solo per un difficile sentieromentre dalle altre parti ci sono solo quattro possibili vie d’accesso. La cima è un’ampia depressione simile ad un catino, divisa in due parti da una crinale alto ed erboso che corre da nord a sud. Ad eccezione di pochi massi erratici essa è completamente spoglia di alberi, cespugli o qualsiasi cosa che possa dare una copertura. A prima vista i suoi accessi scarsi e facilmente difendibili sembrano farne una postazione partigiana ideale. In realtà essi danno un senso di sicurezza piacevole ma interamente fasulla. Le vie di entrata sono necessariamente anche le vie d’uscita e, se queste sono bloccate, ogni libertà di manovra, il sine qua non della guerra partigiana, è finita.

La quasi totalità della ricchezza floristica del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi risiede in quest’area, la più Occidentale, e nelle sue pendici, per quanto, o forse grazie alla roccia marcia che Tilman descrive poco prima di subire il rastrellamento dei Nazisti tra le malgas, come le chiama lui, delle Vette Feltrine.

Sentiero CAI 851. Passo d'Angelo verso Monte Zimia
Passo d’Angelo verso Monte Zimia

Il peggio fu senz’altro la prima ora in quel giorno di apprensione continua. Dopo divenne chiaro che la pattuglia che avevamo visto non veniva ad ispezionare la facciata nord, ma nonostante ciò cominciammo a respirare più liberamente solo quando venne il crepuscolo.

Il Pass de Mura, il Pass del Comedón, i bivacchi Bodo e Feltre, casera Cimonega e il pass dell’Omo, la Val delle Moneghe e il foss de Brendòl. Appena prima di scendere nell’altopiano carsico dei Piani Eterni, nelle carte di Domenico Argenta datate 1790 denominato Pian Nattern, molto probabilmente un luogo dell’aldilà. Siamo in quello che Piero Rossi definì un perfetto scenario western, aspettandosi da un momento all’altro di veder comparire una diligenza inseguita dagli indiani. Oppure il luogo di lancio dei materiali di rifornimento per i partigiani durante la Seconda Guerra Mondiale. Luigi Meneghello scrisse che due metri di neve aspettavano il suo battaglione in cima ai Piani Eterni, e nient’altro. Nessun materiale! Meglio andarsene ad Asiago. E poi ancora Bruno Castiglioni, geologo, fratello di Ettore Castiglioni, nella Guida delle Pale di San Martino: “doline e grotte caratterizzano l’altopiano, una parte del quale ha meritato il nome di Piano Eterno, tanto è malagevole da percorrere.”

Sentiero CAI 851. Piani Eterni, Casera Brendol e il sentiero verso Forcella Pelse
Piani Eterni, Casera Brendol e il sentiero verso Forcella Pelse

Considerando una fotografia del Piano, con le casere Brendòl e Erèra sulla sinistra, ai piedi del monte Mondo (quota 2039 m.), tutto ciò che compare a destra, oltre i pascoli, ha a che fare con l’eterno. 

Sempre considerando la stessa fotografia, il sentiero che scompare all’orizzonte aggira forcella Pèlse e poi scende in picchiata il Vallone di Campotorondo fino a Vallalta, ossia il bosco con cui cominciammo il nostro viaggio qualche tempo fa

Quando è notte non c’è più nessuno qua. E la notte qua comincia alle sei.

Grazie ad Andrea Petrucci, Fano (PU)

9 Novembre 2020
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RUBRICA A CURA DI:
Marco Triches

Mi piace gironzolare, sono una guida ambientale escursionistica e scrivo. La mia terra natale è Belluno, una terra misteriosa, angusta e selvaggia. Per questo motivo, sogno di accompagnare le persone in quei posti.

 

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