Torniamo con Serafin sul tema rifugi già toccato settimana scorsa citando l’editoriale di Luca Gibello su Cantieri d’Alta quota, perchè è di grande attualità ed urgenza nonostante se ne parli da anni: quale logica si vuole seguire nella gestione e ristrutturazione dei rifugi da qui in avanti?
Ascolta la notizia nella selezione settimanale
La “decrescita felice” del rifugio
Riportare il rifugio alla sua funzione naturale in modo che sia punto di riferimento per la sicurezza dell’alpinista e non albergo in quota per consumatori di montagna. Di questa “decrescita felice” si sentiva più che mai il bisogno già alla fine dell’altro millennio e trent’anni dopo siamo ancora qui a parlarne. A tornare sull’argomento, come è stato già accennato in questa rubrica, è in questi giorni l’editoriale pubblicato nel sito Cantieri d’alta quota e ripreso da Mountcity. Ne è autore il presidente di questa importante associazione culturale, l’architetto e storico dell’architettura Luca Gibello.
Gibello auspica appunto una sorta di “decrescita felice” per i rifugi ovvero “un ritorno a sistemi di gestione più basici, che facciano ritornare primaria l’oggi ancor più preziosa funzione di presidio dell’alta quota, a discapito della fornitura di servizi da albergo e ristorante stellato”.
Affrontare il problema rifugi
Si nota per cominciare una singolare affinità tra il pensiero di Gibello su questo argomento e quanto scrisse in una pubblicazione del Cai nel remoto 1988 Bruno Corna, all’epoca presidente della Commissione centrale per la tutela dell’ambiente montano.
L’indimenticabile Corna invitò in quell’occasione il Cai ad affrontare il problema rifugi “nella sua logica di fondo con coraggio e determinazione”. Solo che questa logica era oscurata “da una linea di basso profilo che non aderisce – furono parole di Corna – allo spirito fondante del Cai e alle sue tradizioni”. Lasciando da parte coraggio e determinazione che spesso difettano nel CAI, ciò che non appariva più tollerabile (non solo al presidente della Commissione per la tutela dell’ambiente montano) era privilegiare una linea operativa che tendeva a trasformare il Club Alpino Italiano in una Cooperativa Albergatori Indipendenti.
Parole al vento evidentemente nel vortice di chiacchiere e distintivi del sodalizio fondato da Quintino Sella. Vero è che la Cooperativa immaginaria a cui accennava ironicamente Corna è dopo tanti anni ancora più che mai operativa. Un caso esemplare è la recente mega-espansione del rifugio Santner andato a violare un vero e proprio santuario naturale nelle Dolomiti.
Va ribadito per chi se ne fosse dimenticato che al passo Santner nel gruppo del Catinaccio da un piccolo rifugio di montagna in legno, perfettamente inserito nel contesto, si è di recente passati a una nuova, enorme struttura dalla cubatura otto volte maggiore, visibile addirittura da Bolzano.
Ascoltare i segnali del pianeta
Forse è davvero arrivato il momento di ascoltare i segnali che ci manda il pianeta come raccomanda l’architetto Gibello e di fare qualche passo indietro. Conveniamone. Non è mai troppo tardi per la citata “decrescita felice” come Gibello la definisce facendo il verso al filosofo francese Serge Latouche.
“Mentre molti rifugi” osserva l’architetto, “da sempre sono stati concepiti come supporti essenziali e minimi, altri (pochi, per fortuna) sono stati concepiti come ‘galline dalle uova d’oro’ per proprietari e conduttori. Si può invece ragionare intorno a sistemi alternativi di gestione, basati magari su inedite forme di ‘cooperazione’ da parte dei visitatori”.
Disciplina restrittiva e nuova cultura
A dare continuità al pensiero del mai dimenticato Bruno Corna e a quello dell’architetto Gibello non rimane che il vecchio e colpevolmente dimenticato Bidecalogo del Cai che all’articolo 19 recita o meglio recitava “la necessità di una chiara e restrittiva disciplina riguardante la realizzazione di nuovi rifugi, bivacchi fissi e vie ferrate”.
Che fine ha fatto questa chiara e restrittiva disciplina? Se ne trova traccia nel 1991 nelle relazioni del 32° Incontro Alpinistico Internazionale che chiamò a raccolta al Centro Santa Chiara di Trento una scelta pattuglia di esperti. Ci si chiese in quell’occasione come ridefinire il ruolo dei rifugi diventati strutture in gran parte inadeguate a sopportare il carico di un turismo di massa sempre più invasivo. Un tema di attualità eclatante lo definì il past presidente del Cai Giacomo Priotto.
Tra gli obiettivi, prioritaria venne indicata la necessità che la capacità dei rifugi fosse mantenuta ai livelli correnti evitando qualsiasi ampliamento sia nell’offerta di posti letto sia in quella di vani per il ristoro.
“Dal rifugio deve partire una nuova cultura alpina “, osservò lo storico Franco de Battaglia nella sua introduzione al convegno di cui fu moderatore, “perché i rifugi sono i luoghi di dirompenza di tutti i problemi della montagna”. Si è visto in effetti quali mostri abbia partorito in questo attuale millennio l’auspicata nuova cultura. A cominciare dalla citata struttura del Santner che si erge con arroganza nella conca tra la vetta del Catinaccio e la Croda di Re Laurino, incastonata in uno dei panorami più iconici dell’Alto Adige. Chi avrebbe mai immaginato che un mostro simile sarebbe andato a violare un impareggiabile santuario naturale? E con il beneplacito della Fondazione Dolomiti Unesco?
Roberto Serafin
Leggi anche:
Fatti in breve: Fotografia naturalistica – Misurina perde l’istituto Pio XII – L’orso Juan Carrito
RUBRICA A CURA DI:
MountCity è un progetto fondato nel 2013 a Milano che si poggia sulla passione e competenza di uno staff di cittadini appassionati di montagna, all’occorrenza con il sostegno di associazioni di volontariato. La piattaforma, grazie alla competenza e professionalità di Roberto Serafin che l’ha curata per 10 anni, è stata punto di riferimento sull’attualità della montagna e dell’outdoor con migliaia di articoli pubblicati. Ora lo spirito di MountCity vive ancora dentro questa rubrica.
Scheda partner