Con la rassegna di notizie settimanale proposta da Serafin torniamo ancora sul tema di una montagna che diventa prodotto da vendere per incentivare solo il turismo di massa. Davanti a ciò che accade nelle Dolomiti ad esempio con la “ristrutturazione” del Rifugio Boè e con la ferrata in val di Fassa ci si chiede: e il senso del limite? Non sarebbe un valore da difendere?

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Rifugio Boè: acque nere? Esplosivo? Era proprio necessario?

Ti sarai accorto, caro Luca, che la valle Lasties, paradiso invernale di ghiacciatori e appassionati del fuoripista, ha fatto molto parlare sul web nell’ultimo scorcio d’estate. E non per le sue attrattive, per l’incanto di quelle rocce sospese ai margini del Sass Pordoi dove si sale in funivia dal sottostante valico stradale. 

Ha suscitato una certa rabbia l’esplosivo fatto deflagrare dove c’è solo roccia compatta per far passare le tubazioni che, dal rinnovato rifugio Boé della SAT, convogliano le acque nere in un’unica condotta lunga circa 7 chilometri. 

Tutto in regola però. I lavori erano stati commissionati dalla Provincia ancora nel lontano 2018. Già nel 2009 e 2010 si era provveduto a convogliare le fognature di Capanna Fassa e Forcella Pordoi nel “vecchio” depuratore del rifugio, ormai datato e sottodimensionato. Ma il carico di turisti che ogni estate salgono al Boé con la funivia dal Pordoi è sempre in crescita ed ha raggiunto livelli da spiaggia adriatica. Ovviamente: tanti turisti, tante acque nere. Soprattutto dopo la “ristrutturazione” del rifugio della Sat, un orrendo “capannone” che triplica i posti letto e moltiplica quelli della ristorazione. 

rifugio Boè
Il nuovo Boè con volumetria triplicata

Ma tranquilli. Parere positivo ai fini paesaggistici è stato espresso dal Servizio urbanistica e tutela del paesaggio con prescrizione in merito al ripristino delle aree a notevole valenza naturalistica. Cioè dopo lo scavo, tutto deve tornare come prima, secondo la prescrizione.

E allora perché prendersela, dirai. Una risposta ce la offre l’amico Dario Monti artefice con la moglie Rosalba del bellissimo sito “Vie storiche”. “Alla base delle proteste”- è questa l’opinione condivisibile di Dario – “c’è che ogni intervento umano in pianura o in montagna, dalla costruzione di impianti di risalita, di rifugi sempre più simili ad alberghi con tutte le necessarie opere complementari, alla fruizione degli stessi durante estate e inverno, tutti questi interventi portano un aumento dei gas serra, aumento della temperatura, scioglimento dei ghiacciai e dei nevai e così via”. 

“Produrre auto elettriche, pannelli solari, nuove abitazioni, coltivare, lavorare, muoversi”, dice ancora Dario, “tutto produce gas serra. Con l’aiuto della natura che, naturalmente, ne produce molto più di noi. Povera umanità destinata a soccombere come i marziani in un deserto rosso senza acqua ed ossigeno”.

Vero, verissimo. Ci deve essere a questo punto senza troppi bla bla un limite anche all’ampliamento dei rifugi, nonché alla portata oraria degli impianti di risalita e di conseguenza alle condutture fogniarie.

Poi si sa che la pace dopo le esplosioni tornerà. Così come è tornata nei boschi delle Lepontine attraversati da un gasdotto sotterraneo. In superficie hanno ripreso a crescere le felci e i muschi, a spuntare funghi prelibati. La pace regna sovrana, almeno in apparenza, nell’Engadina dove è stata messa sotto terra tutta l’energia necessaria per alimentare gli onnipresenti impianti di risalita, l’andirivieni dei trenini e lo sfavillio notturno di Sankt Moritz. Mi sbaglierò, ma in Engadina non si vede un traliccio dell’elettricità neanche a pagarlo oro. 

E poi lo sappiamo benissimo. Nelle viscere delle Retiche, scavato a colpi di piccone e dinamite dai nostri avi, si trova il reticolo dei fiumi destinati ad alimentare le condotte delle centrali elettriche senza le quali a Milano sarebbe stata e sarebbe la paralisi totale. Erano e sono scelte obbligate. Ma oggi nessuno obbliga ad autorizzare ampliamenti di rifugi in quota, a rendere ancora più insopportabile e convulso il turismo che già mortifica le Dolomiti. 

Hai ragione, caro Luca, quando osservi che il problema è ancora più a monte delle fognature. Fai bene a chiederti se c’era proprio bisogno di una simile trasformazione nel cuore delle Dolomiti per agevolare il turismo di massa. Non abbiamo già capito che certo turismo consuma la montagna e non la fa vivere? Che arricchisce solo alcuni e impoverisce il futuro di territori e di chi dovrà viverci? 

Ma se la politica ha abdicato al suo ruolo in favore di un’imprenditoria spregiudicata, club e società alpinistiche non dovrebbero avere visioni più lungimiranti? Non dovrebbero fare, di quel senso del limite che la montagna rende così evidente, un valore da difendere? 

Plinti Ferrata Bepi Zac 240863941 10226359579917839 2091677181449530029 n copia Dolomiti umiliate: Rifugio Boè, turismo di massa e cemento armato in ferrata
Ferrata Bepi Zac cementificata

Ferrata in val di Fassa: forzare la natura

Come vedi siamo in due a metterla giù dura con certi misfatti dolomitici. E nessuno mi toglie dalla mente che le Dolomiti siano sempre più umiliate. Non solo le rocce vengono fatte saltare con la dinamite, ma a coprirle arriva pure il cemento. Utile, si dice, a sostenere una ferrata in val di Fassa da anni chiusa per motivi di sicurezza. E così doveva rimanere quella ferrata, un tracciato pubblicamente chiuso. Io non conosco quella zona e catturo questa opinione a Luigi Casanova che spiega da par suo la situazione nel sito di Mountain Wilderness.

“Si tratta di una ferrata pericolosa”, è il parere di Casanova, “non solo per la caduta delle rocce (a meno di demolire Cima Uomo, nessuno mai riuscirà a garantirne la sicurezza). Pericolosa anche per i fulmini che su di essa si abbattono con incredibile frequenza. Il Comune di Moena ha deciso di riaprire questo percorso andando a forzare la natura, come mai si era visto fare in precedenza, in nessun luogo. Si è portato sulle rocce più aspre e infide cemento armato e ferraglia. Offendendo la montagna e i frequentatori ‘puliti’”.

Val di Funes: in coda con il drone

Non posso a questo punto che approfittare, caro Luca, dell’ospitalità di “fatti di montagna” per segnalare ai nostri lettori, per l’appunto“fatti di montagna”, un’altra notizia che mi ha colpito. Un turista francese ha ricevuto una denuncia penale per aver mandato il drone che stava manovrando a sbattere contro il settimo anello della Torre di Pisa. Ben gli sta (a lui non alla meravigliosa torre). 

Purtroppo anche la montagna è ormai invasa da questi oggetti volanti destinati a ottenere immagini insolite. E sempre più si avverte l’esigenza di porre limiti al loro impiego. Migliaia di droni ogni anno sorvolano la chiesetta di Ranui, in val di Funes, per fotografarla con le Odle sullo sfondo e il proprietario è costretto a sistemare una gettoniera elettronica: chi accede al prato in cui si trova la splendida chiesetta deve pagare un ticket che consente anche l’utilizzo di un drone. Ottima soluzione, ma fino a che punto ci si deve rallegrare?

Continua a leggere le notizie della settimana: La grande scalata di Bob Kennedy

Roberto Serafin

7 Ottobre 2021
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