Gli investimenti e lo stoccaggio d’acqua da utilizzare in grandissima quantità per innevare le piste durante l’inverno non possono non stridere con la situazione di siccità che stiamo vivendo e che sta creando problemi forse non ancora percepite nella loro drammaticità. Ad essere già in difficolta ci sono anche molti rifugi in quota.

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Grandi quantità d’acqua per le piste…

È risaputo che per produrre neve artificiale servono capaci bacini in cui fare scorta di acqua per l’inverno. Impianti costosi, certo. Come quello di Montagnoli sopra Madonna di Campiglio, costato nel 2015 10 milioni di euro e in grado di fornire al momento opportuno 1.500 litri d’acqua per ettaro di piste da innevare (prima del lago c’erano a disposizione 210 litri per ettaro). Niente di meglio – dissero e dicono i tecnici – per innevare le piste in circa 120 ore. 

L’argomento torna d’attualità in questa estate siccitosa e a riparlarne è il 10 luglio un quotidiano locale del Trentino riferendosi ai due bacini artificiali realizzati dalle Funivie Pinzolo e Campiglio, uno nella conca di Grual e l’altro (quello citato) in località Montagnoli. Entrambi, secondo il quotidiano, hanno rappresentato “un importante investimento in grado di garantire l’apertura delle piste della skiarea anche in assenza di precipitazioni nevose. Nella fase di progettazione erano stati oggetto di diverse critiche. Indubbiamente qualche impatto c’è stato, soprattutto nella fase di realizzazione, ma bisogna riconoscere che c’è stato un notevole impegno per il loro inserimento nel contesto naturale”.

Fondati dubbi sussistono però dal punto di vista ambientale sull’opportunità di alimentare questi bacini a spese delle risorse non illimitate dell’ambiente naturale. Tant’è vero, come informava in quel 2015 il Corriere del Trentino, che per realizzare il bacino di Montagnoli sono stati necessari “undici anni di richieste, rinvii, istruttorie, proteste”.

…rifugi a secco (ma non solo)

Oggi tutta quell’acqua messa da parte con tanta fatica e tanta spesa per la comunità, contrasta inevitabilmente con la situazione dei rifugi drammaticamente rimasti a secco in piena stagione turistica. Come si legge il 19 luglio sul quotidiano L’Adige, c’è chi fra i rifugisti “ha accorciato i tempi delle docce a gettone, e chi invece usa delle bacinelle per lavare i piatti limitando al massimo l’uso dell’acqua corrente, chi cerca di spiegare che l’acqua in quota è merce rara e preziosa, e perfino chi, per riuscire a captare un rivolo essenziale arriva a tirare anche 2,5 chilometri di tubi tra le montagne”. 

Va notato che l’estate 2022 va molto bene dal punto di vista delle affluenze turistiche, ma va molto male per quanto riguarda l’approvvigionamento idrico. Non si può che concordare con i rifugisti. Non è mai troppo tardi per fare qualcosa. Probabilmente bisogna pensare a vasche di accumulo o cose simili. Investimenti importanti. Qualcosa che assomigli a quei laghetti artificiali destinati a produrre oro bianco per quando sarà. 

Roberto Serafin

Nella foto in apertura il bacino per la neve artificiale della Plose a Bressanone (ph. Serafin/MountCity)

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