Facciamo chiarezza sulla pratica di coprire i ghiacciai con i teli geotessili: il fine non è e non può essere, salvare i ghiacciai. Ecco perchè.
Ascolta la puntata del podcast in cui ne abbiamo parlato con Daniele Cat Berro
Contro l’ambigua comunicazione sui teli geotessili
Va assolutamente fatta chiarezza sulla pratica di coprire i ghiacciai con teli geotessili bianchi per rallentarne la fusione durante la stagione estiva. Si pone questo obbiettivo la lettera firmata da 39 scienziate e scienziati che si occupano dello studio della glaciologia e dei cambiamenti climatici. Il documento è inoltre supportato dalle principali istituzioni che in Italia si dedicano al monitoraggio dei ghiacciai a scala regionale e nazionale e che afferiscono al World Glacier Monitoring Service, tra le quali la Società Meteorologica Italiana (qui la presentazione della lettera su Nimbus.it). Se ne era già data notizia, ma abbiamo ritenuto opportuno approfondire il tema in questa rubrica.
Nel mondo della ricerca in campo glaciologico e climatico si sta diffondendo una forte preoccupazione per l’ambigua comunicazione che spesso accompagna la divulgazione di questi progetti di copertura.
Essi, come invece purtroppo succede, non possono essere descritti come interventi finalizzati al contrasto del cambiamento climatico e delle conseguenze del riscaldamento globale.
Dal punto di vista fisico, coprire il ghiaccio con teli bianchi, funziona senza dubbio: la porzione di ghiacciaio coperta fonde molto meno rispetto alle zone attorno. Il problema però è che non è possibile adottare la tecnica su larga scala affinché possa essere significativo il risultato dal punto di vista della mantenimento dei ghiacciai.
Questa pratica viene infatti adottata per salvaguardare quelle porzioni di ghiacciaio su cui si pratica lo sci o altre forme di sfruttamento turistico. Ecco il fine principale. Se è comprensibile che un’attività turistica e quindi economica cerchi strategie di adattamento è da respingere la narrazione secondo cui coprire i ghiacciai ha a che fare con il salvarlo.
Coprire i ghiacciai non solo non è una soluzione, ma è parte del problema
Ci sono diversi motivi per cui l’utilizzo dei teli geotessili, che altro non sono che teli di plastica, lo possiamo considerare parte del problema e non soluzione.
- Il carburante per alimentare i gatti delle nevi che movimentano i teloni ogni anno e la produzione dei teloni stessi, spesso composti di materie plastiche, sono risorse non rinnovabili, il cui utilizzo contribuisce a incrementare il riscaldamento globale.
- I teloni rilasciano grandi quantità di fibre plastiche
- Mantenere un ghiacciaio coperto lo renderebbe un corpo estraneo: un blocco di ghiaccio “insaccato” e isolato dal contesto ecologico-ambientale circostante.
- I ghiacciai non sono privi di vita: sono ecosistemi dove vivono comunità ecologiche attive che svolgono fotosintesi e accumulano materia organica, contribuendo all’assorbimento di CO2 atmosferica. Ricoprirli con i teli significa impedire questi processi ecologici
- Le pratiche di copertura hanno costi enormi.
Nella lettera, di cui si può leggere qui il testo integrale, ogni punto è approfondito e spiegato. Molto utile per approfondire è anche la seconda parte della puntata podcast inserita in questa pagina, di cui si consiglia l’ascolto.
Stesso meccanismo dell’innevamento artificiale: insiste sugli attuali modelli insostenibili
La pratica di coprire i ghiacciai con teli geotessili è, con l’aggravante della falsa narrazione di salvaguardia, è per molti versi assimilabile alla produzione di neve artificiale per la pratica dello sci alpino.
Infatti benché si trattino entrambe di strategie di adattamento al clima che cambia di attività economiche importanti, hanno la colpa di andare nella direzione delle cause del problema e non di una vera transizione verso modelli sostenibili.
Il problema del riscaldamento climatico va affrontato alla base riducendo le emissioni serra. Nel frattempo è ovvio che vadano messe in campo strategie di adattamento, ma questo non significa perseverare nel portare avanti ostinatamente lo status quo, ignorando gli scenari attuali e futuri.
Vanno individuati modelli più adatti alle condizioni che il clima ci presenta ora e nel prossimo futuro, e impiegare le risorse per trasformare gli attuali modelli. Non è un’operazione semplice e di cui esiste una facile ricetta da seguire, ma non c’è scelta. O sfruttiamo il poco tempo che rimane per una transazione ancora governabile o avverrà in maniera traumatica.
Ancora una volta, occorre ribadirlo, non è che ce la si prende con chi diligentemente, con encomiabili sforzi, fa il suo lavoro, ad esempio, per preparare le piste, chi cerca di resistere per far si che non ci siano migliaia di disoccupati in inverni come questi e fa il massimo per garantire un’offerta turistica, talvolta anche di qualità.
C’è chi ha il compito e il dovere di guardare avanti e mettere in atto politiche virtuose che assicurino sopravvivenza economica e ambientale a lungo termine. È il compito della politica e di chi ha la possibilità di decidere la direzione degli investimenti economici. Se si persevera sulla strada delle finte soluzioni e del greenwashing che in realtà ingigantiscono il problema si andrà tutti inevitabilmente a schiantarsi.
Alcuni documenti interessati che possono aiutare a far riflettere su vere strategie di adattamento:
Una ricerca dell’Eurac di Bolzano ha evidenziato come la durata della stagione innevata (cioè con suolo coperto da neve) sulle Alpi italiane negli ultimi 50 anni si è ridotta di 34 giorni al di sotto dei 2000. Se consideriamo che gli scenari futuri indicano un ulteriore innalzamento delle temperature medie…
Ogni anno esce il dossier di Legambiente “Nevediversa” che è un’ottimo punto di riferimento sui temi dei nuovi modelli di turismo invernale.
RUBRICA A CURA DI:
La Società Meteorologica Italiana è la maggiore associazione nazionale per lo studio e la divulgazione di meteorologia, climatologia e glaciologia. È un’associazione scientifica senza fini di lucro e opera su tutto il territorio nazionale conservando stretto legame con la Società Meteorologica Subalpina che ne è socio fondatore nel territorio alpino occidentale, Francia e Svizzera incluse. SMI promuove ed incoraggia lo sviluppo e la conoscenza delle scienze dell’atmosfera in Italia. Appartiene a UniMet (Unione Meteorologia Italiana) ed all’European Meteorological Society.
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