Un documento firmato da scienziati e scienziate che si occupano di glaciologia e cambiamenti climatici cerca di fare chiarezza sull’utilizzo dei teli geotessili per “salvare” i ghiacciai
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15 anni di teli geotessili
Non bastasse il climate change sono arrivate la pandemia e il caro bolletta a mettere ulteriormente in crisi seggiovie e cannoni per fabbricare la neve. Ma la notizia che più mi ha colpito in questi giorni, caro Luca, è che la transizione ecologica sta facendo giustizia di un sistema di cui tanto (troppo?) si è parlato per salvare i ghiacciai, specialmente quelli dove si scia.
Mi riferisco alla copertura dei ghiacciai con teli battezzati geotessili. Nient’altro che grandi teli di plastica che ora – la bellezza di quindici anni dopo le prime esperienze! – si scoprono dannosi per la salute e per l’ambiente. Una scoperta tardiva, anzi colpevolmente tardiva. Ma tant’è. Come sostiene il Premio Nobel Giorgio Parisi il prestigio della scienza e la fiducia in essa stanno purtroppo diminuendo velocemente.
Nel 2007 fu proprio un’equipe dell’Università di Milano in collaborazione con Levissima, a tentare l’inedito esperimento: contrapporre alla “febbre” del ghiacciaio Dosdé Piazzi, sulle Alpi Valtellinesi, un rimedio di “protezione attiva” con un telo geotessile chiamato “Ice Protector 500”. Un rimedio durevole, ci si chiese, ovvero un innocuo cerotto messo su una ferita ormai insanabile?
Leggo su MountCity, e non ho motivo di dubitarne, che quell’esperimento del 2007 permise di analizzare la “febbre” del ghiacciaio e la quantità di acqua salvata tramite il geotessile. Si è saputo poi che nel 2008 sono stati preservati oltre 115.000 litri d’acqua mentre nel 2009 il telo ha permesso di preservare il 91% del ghiaccio glaciale e il 29% di neve
Il documento firmato da scienziate e scienziati
Sui ghiacciai i teli si moltiplicarono. Sembrava una buona notizia. E invece no, contrordine! Ora sappiamo che coprire i ghiacciai con i teloni, i cosiddetti geotessili, non li salva. Anzi, fa danni ambientali ed è un “greenwashing” di interessi economici. Fa chiarezza in proposito la clamorosa lettera del 21 gennaio di otto istituzioni scientifiche e degli esperti delle massime università italiane. Vi si parla espressamente di “ambigua comunicazione”.
“Come studiosi”, si legge per l’esattezza nel documento, che qui è rintracciabile nella sua integrità, “siamo preoccupati della ambigua comunicazione su questi progetti. Questa narrazione rischia di creare confusione e compromettere la sensibilità ambientale che con fatica si è consolidata negli ultimi anni”.
Per gli scienziati firmatari “sarebbe corretto indicare chiaramente che finanziare la copertura dei ghiacciai oggi non ha nulla a che fare con il contrasto al cambiamento climatico e con la salvaguardia o ‘valorizzazione’ dei ghiacciai. Significa proteggere un interesse economico locale che porterà profitti a imprese e aziende”.
Quali altri inconvenienti vengono denunciati? Leggo, così come può farlo chiunque di noi, che l’utilizzo di gatti delle nevi per movimentare tali geotessili contribuisce al riscaldamento globale e immette CO2 nell’atmosfera, E questo è niente. I teli rilasciano grandi quantità di fibre plastiche. Ancora (dopo quindici anni, pensate!) non è chiaro dove queste pestifere fibre si accumulino una volta espulse dai ghiacciai assieme all’acqua di fusione e quali siano gli effetti ambientali.
Mi fermo qui esterrefatto e il resto vi invito caldamente a leggerlo. Mi limito a segnalare, Wikipedia docet, che i geotessili sono strutture piane composte da fibre sintetiche disposte casualmente e coesionate principalmente con metodi meccanici. Sono dei materiali permeabili che hanno la capacità di separare, filtrare, rinforzare, proteggere e drenare. I geotessili sono fatti con fibre di polipropilene o poliestere, agugliati e termo calandrati. Termini scientifici che col senno di poi sembrano stonare con i luoghi incantevoli in cui vengono utilizzati. Ma ci voleva tanto a sollevare pubblicamente, educatamente, scientificamente il problema?
Roberto Serafin
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