I ghiacciai hanno molto da raccontarci e lo fanno conservando al loro interno memorie di eventi o di epoche passate, ma ci parlano anche con il loro semplice (e purtroppo rapido) ritirarsi e scomparire. Daniele Cat Berro ci presenta tre interessanti esempi derivati dal lavoro di tre diversi gruppi di studiosi.

Qui il podcast con la chiacchierata in cui Daniele ci presenta e spiega questi studi

Fusione e crolli cambiano Rébuffat

Che il riscaldamento atmosferico impatti sulle montagne e sui ghiacciai in particolare non solo è risaputo, ma chiunque può rendersene conto. C’è uno studio però che può farci render conto in modo molto immediato di come questi cambiamenti stiano avvenendo velocemente. Infatti gli effetti dei cambiamenti climatici sono concretamente visibili sulle vie alpinistiche: lo documenta un gruppo di ricerca francese guidato da Jacques Mourey con un lavoro pubblicato sulla rivista Arctic, Antarctic, and Alpine Research. I ricercatori hanno analizzato come gli effetti dei cambiamenti climatici hanno inciso sulle vie alpinistiche del Monte Bianco partendo dalla descrizione che Gaston Rébuffat ne aveva fatto nella sua guida del 1973. È emerso che solo due delle novantacinque vie prese in analisi sono rimaste invariate, mentre tutte le altre sono cambiate a causa delle trasformazioni ambientali indotte dal riscaldamento atmosferico. Tre di queste vie sono addirittura scomparse, come, ad esempio, la via Bonatti al Petit Dru che nel 2005 è stata cancellata da un gigantesco crollo di roccia.

copertina Rebuffat Quello che i ghiacciai ci dicono
Copertina della guida di Rébuffat pubblicata nel 1973

Tra le trasformazioni tipiche analizzate dai ricercatori e individuate come cause dei cambiamenti di queste vie ci sono:

  • crolli di roccia diventati sempre più frequenti e di grandi dimensioni
  • ampliamento e formazione di nuovi crepacci, compreso l’ampliamento delle crepacce terminali, che rendono più difficili queste vie
  • abbassamento dei ghiacciai in prossimità degli attacchi delle vie di roccia, che, lasciando scoperte porzioni di roccia spesso molto lisce mutano complicandolo il punto di attacco delle vie
  • ghiacciai che diventano più ripidi
  • crolli che diventano frequenti anche di notte, mentre una volta con il gelo notturno si poteva essere ragionevolmente al sicuro.

Questa analisi molto innovativa ci permette di capire concretamente come, in relativamente poco tempo, sta cambiando il terreno di gioco per chi fa alpinismo, tanto che le guide pubblicate prima degli anni ’80, anni in cui ha iniziato ad intensificarsi la fusione dei ghiacciai, non possono più essere considerate valide, se non come documenti storici.

Radioattività sui ghiacciai

I ghiacciai sono indubbiamente dei testimoni importanti di come le nostre azioni incidono sull’ambiente. Questo emerge anche da una ricerca di un altro gruppo che fa capo all’Università di Milano-Bicocca che si è concentrato sullo studio della radioattività sul ghiacciaio dei Forni in alta Valtellina e sul ghiacciaio del Morteratsch in Engadina.

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Qui sopra e in apertura: Ghiaccaio dei Forni (Foto L. Serenthà, 2009)

I ricercatori hanno scoperto che in corrispondenza dei fori crioconitici, l’accumolo di materiale (crioconite) funziona da filtro per le acque di fusione che scorrono sopra il ghiacciaio e da accumulatore di elementi chimici anche radioattivi. Ad esempio è stato trovato in abbondanza il Cesio 137 attribuibile all’incidente nucleare di Chernobyl, ma anche altri elementi come isotopi di plutonio e americio o il bismuto-207 derivanti dai test nucleari degli anni ’50-’60. Questo ci dice ancora una volta come l’atmosfera non ha confini: ciò che accade in un luogo, per effetto della circolazione dei venti, può avere effetti anche su zone lontanissime del pianeta.

Nello specifico, significa che dobbiamo temere di essere contaminati camminando su un ghiacciaio? Certamente no, anche perché stiamo parlando di accumuli radioattivi, benché con livelli decisamente superiori ad altri luoghi, limitatati a porzioni piccolissime di ghiaccio. Quello che è sicuro è che i ghiacciai sono incredibili accumulatori di sostanze utili per studiare l’integrità ambientale delle montagne.

Archeologia glaciale: traffici sui ghiacciai

I ghiacciai, se letti, ci possono consegnare una memoria assai utile, non solo per conoscere il passato, ma anche per comprendere meglio il presente e abbiamo visto come emerga da diversi campi di studio. Tra questi c’è anche l’archeologia glaciale, un ambito di ricerca abbastanza giovane, che ci permette di capire come è cambiato l’ambiente glaciale nell’arco di secoli se non di millenni.

Uno straordinario esempio di archeologia glaciale che abbiamo sulle Alpi è Ötzi, la famosa mummia perfettamente conservata ritrovata nel 1991 tra la val Senales e la Ötztal, che con i suoi 5300 anni ci racconta come i ghiacciai alpini non si erano mai ritirati tanto negli ultimi 5 millenni. L’esempio di Ötzi non è l’unico. Molti reperti nei primi anni 2000 sono stati liberati per la prima volta dai ghiacci sulle Alpi, ma anche su altre montagne.

Infatti sulle montagne norvegesi parallelamente venivano trovati molti altri reperti. In particolare in Norvegia, dove è attivo un gruppo di archeologi glaciali che fa capo all’Università di Oslo, sono stati fatti interessanti ritrovamenti. In particolare nell’estate del 2019, che è stata estremamente calda in Scandinavia (con punte anche di 34 gradi al circolo polare!), i ghiacciai si sono notevolmente ritirati portando alla luce nuovi reperti.

horse snowshoe Quello che i ghiacciai ci dicono
Racchetta da neve per cavalli. Foto: Espen Finstad, secretsoftheice.com

Sul ghiacciaio del Lendbreen, tra i 1700 e i 1900 metri di quota sulle montagne della Norvegia centro meridionale, dove già erano emersi reperti negli anni passati, sono stati ritrovati svariati e interessanti materiali: resti di slitte, sci, cadaveri di cavalli da soma, ossa e anche delle racchette da neve per cavalli! Questa zona, che oggi è un passo ormai completamente roccioso, vedeva dunque intensi traffici commerciali anche quando il terreno era innevato. Anzi da questi reperti, databili in un ampio arco di tempo tra il 300 e il 1500 d.C., possiamo evincere che i transiti avvenivano in epoche in cui il ghiacciaio era ben più esteso e ricoprendo anche tutta la zona del passo lo rendeva più facilmente attraversatile che non ora.

Questi ritrovamenti norvegesi ci danno lo spunto anche per scardinare una credenza abbastanza diffusa in merito all’attraversamento delle nostre Alpi: cioè che ciò avvenisse solo quando e perché non c’era neve o ghiaccio. In particolare si fa solitamente riferimento all’attraversamento delle Alpi da parte dei Walser dalla Svizzera per stabilirsi nelle alte valli italiane. In realtà il fatto che le alpi fossero attraversabili non significa che non ci fossero neve o ghiaccio, anzi una montagna coperta di ghiaccio può presentare un terreno più facile di quello detritico e franoso lasciato dai ghiacciai che scompaiono. È vero che il medioevo è stato un periodo relativamente temperato, specie nel nord Europa, ma la moderna climatologia fisica ha dimostrato che oggi siamo oltre quei livelli di temperature: il clima è già ben più caldo di quello del medioevo.

I ghiacciai possono raccontarci molto della nostra storia passata e noi siamo sempre più in grado di leggerli grazie alle varie discipline scientifiche che li studiano. Ma ascoltare questa storia per cambiare il nostro impatto sul presente e sul futuro, lo sappiamo fare?

Per approfondire

Fori crioconitici: sono piccole depressioni, grandi all’incirca come una mano, che si formano sui ghiacciai all’interno dei quali, raccogliendosi l’acqua di fusione superficiale, si depositano sedimenti di materiale limaccioso. A sua volta questo materiale, la crioconite, essendo scuro, favorisce la fusione del ghiaccio in quel punto aumentando le dimensioni della vaschetta.

Mutamenti delle vie alpinistiche. Questo è l’articolo di Jacques Mourey, Mélanie Marcuzzi, Ludovic Ravanel e François Pallandre pubblicato su Arctic, Antarctic, and Alpine Research 2019, VOL. 51, NO. 1, 176–189: Effects of climate change on high Alpine mountain environments: Evolution of mountaineering routes in the Mont Blanc massif (Western Alps) over half a century

Depositi radioattivi sui ghiacciai. Questo il lavoro sulla radioattività ad opera di Baccolo, G., Łokas, E., Gaca, P., Massabò, D., Ambrosini, R., Azzoni, R. S., Clason, C., Di Mauro, B., Franzetti, A., Nastasi, M., Prata, M., Prati, P., Previtali, E., Delmonte, B., and Maggi, V. pubblicato su The Cryosphere, 14, 657–672, 2020: Cryoconite: an efficient accumulator of radioactive fallout in glacial environments

Archeologia glaciale. Il gruppo di archeologi glaciali, Lars Pilø, Espen Finstad e James H. Barrett, pubblica sul sito secretsoftheice.com i loro ritrovamenti. Qui l’articolo che riguarda i ritrovamenti al Lendbreen pass: The Hunt for the Lost Mountain Pass, mentre questo è il loro articolo su Antiquity 2020 Vol. 94 (374): 437–454: Crossing the ice: an Iron Age to medieval mountain pass at Lendbreen, Norway

27 Aprile 2020
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Società Meteorologica Italiana

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