Cassin è stato unico e inimitabile. Serafin ci presenta il terzo dei pregevoli speciali di Meridiani Montagne dedicati ai grandi alpinisti italiani: “Riccardo Cassin e la Grignetta”.
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Le mani pensanti di Cassin
Un uomo pronto alla battuta, buono, con una grande apertura mentale verso i giovani. Così il collega giornalista Daniele Redaelli della Gazzetta dello Sport descriveva Riccardo Cassin (1909-2009) indimenticabile alpinista lecchese che gli era amico. Paolo Paci per raccontarlo nell’esauriente fascicolo ”Riccardo Cassin e la Grignetta” (Meridiani Montagne, Domus, 130 pagine, 7,50 euro, dicembre 2021) preferisce prendere spunto dalle mani di Cassin. “Le mani”, scrive nella presentazione il direttore di Meridiani Montagne, “sono il vero cervello di uno scalatore. Esplorano la roccia, la capiscono, vi si fondono in un’azione che non ha bisogno di pensiero razionale per trasformarsi in gesto perfetto”.
Paci ne è convinto. Cassin, arrampicatore istintivo, tenace, d’incredibile efficacia, “pensava” con le mani. Quelle sue mani da boxeur, da fabbro, furono il miglior cervello alpinistico degli anni Trenta secondo l’amico Paolo Paci. A Cassin è dedicato il terzo volume della collana “I grandi alpinisti italiani”: dopo Gervasutti sul Monte Bianco, dopo Comici nelle Giulie e nelle Dolomiti, ecco un alpinista capace di fondere le due scuole, orientale e occidentale, e compiere imprese che portano l’arte dell’arrampicata a un livello superiore.
Cassin unico e inimitabile
Cassin, unico e inimitabile, capostipite della triade Cassin-Bonatti-Messner, compare nel fascicolo accanto a Bonatti sullo sfondo della Grignetta in una foto diventata un’icona che io stesso scattai negli anni Ottanta in un momento di sfrenata e contagiosa allegria. Nell’immagine i due amici se la ridono. Che cosa avrà suscitato la loro ilarità? Mi risulta che Walter abbia poi offerto la foto in omaggio a Cassin e che nella dedica abbia scritto “il tuo bocia”.
Il prode Riccardo aveva in quegli anni ottanta appena compiuto una tardiva ripetizione della Nordest del Badile nel 1987. E non solo per celebrare i 50 anni della via. Voleva far sapere a chi tanti anni prima lo aveva escluso dalla spedizione al K2 che non si meritava quella bocciatura.
Paci racconta di quando Cassin era un ragazzino apprendista nelle officine del ferro, divenendo poi dirigente, capo partigiano, imprenditore. E marito, e padre. L’intervista ai figli Tono e Guido, raccolta da Umberto Isman, lo restituisce in una luce inedita e profonda. E c’è anche il tempo per approfondire la sua personalità di “Uomo rupe” come ebbe spiritosamente a definirlo Fosco Maraini nella prefazione a “Capocordata”, l’autobiografia alpinistica definitiva di Cassin uscita nel 2001 per i tipi dell’editore Vivalda. L’illustre orientalista e scrittore fiorentino, buon amico di Riccardo e suo compagno di spedizione al Gasherbrum IV, si divertì in quell’occasione a immaginare “Iddio Ottimo e Massimo” intento nella creazione dell’alpinista primordiale – l’uomo croda, l’uomo rupe, l’uomo fulmine, l’uomo guglia – una creatura capace di sfidare la furia degli elementi e le montagne più inaccessibili.
Davvero Cassin pareva costruito con un materiale diverso da noi comuni mortali.
L’ottimismo da capocordata di Cassin
La sua dote umana più grande fu l’ottimismo. Una virtù fondamentale per ogni capocordata e per ogni leader in generale – e Cassin lo è stato nel senso più pieno della parola – che comporta la capacità di non perdere mai la speranza, di infondere fiducia ai compagni anche nelle situazioni più disperate, di saper trovare la nota positiva in ogni cosa, persino nella paura, considerata “anticamera della prudenza”.
Per tutta la vita, il sabato e la domenica il suo fu tutto un andare in Grigna, per ricostruire i rifugi distrutti dalla guerra e/o, semplicemente, per “andare in montagna”.
Redaelli ebbe la possibilità prima di morire di collaborare con la Fondazione Riccardo Cassin e di scrivere a sua volta di lui in un libro. Ricordava gli ultimi giorni di Riccardo. Il 2 agosto del 2009 al ritorno da Cuba, riaccendendo il cellulare all’aeroporto trovò un messaggio di Guido: “Papà sta male, è ai Resi”. A 100 anni e 8 mesi è naturale morire. Corre a casa, prende la moto per essere più veloce. Piove. Arriva ai piani Resinelli. Cassin è a letto e lo vede dalla finestra. “Ciao Daniele, cosa fai in giro in moto?”, gli chiede. “Son venuto a trovare il Guido e la Daniela”. “Sì, in moto con un tempo così?”. Aveva sorriso con gli occhi, come faceva lui. Daniele non era riuscito a imbrogliarlo. Riccardo morì quattro giorni dopo.
Roberto Serafin
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