Due leggende viventi dell’alpinismo ricevono in queste settimane i giusti e meritati riconoscimenti: “Calumer” Giuseppe Orlandi e “Gnaro” Silvio Mondielli
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“Calumer” Giuseppe Orlandi raccontato da Achille Mauri
Vorrei oggi raccontare, caro Luca, di due leggende viventi dell’alpinismo. I loro nomi di battaglia, Calumer e Gnaro, sembrano rubati a una grafic novel. Ma non mi permetterei mai di definirli eroi da fumetti.
Comincerei dal lecchese Calumer, al secolo Giuseppe Orlandi. Ha occhi metallici e pur sereni, direi trasognati. Deve essere un tipo calmo Calumer da quel poco che lo conosco e possedere nervi d’acciaio, ben temprati da quell’impavido fabbro di se stesso che ha l’aria di essere.
A Calumer è stato dedicato dalla Vibram un corto della durata di 12 minuti. A presentarlo ai Piani Resinelli ha provveduto Alessandro Gogna, celebrità dell’alpinismo, con Massimo Mazzoleni, capostazione del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico e Paolo Schiavo, medico del Pronto Soccorso di Lecco. Folla a dir poco oceanica. Considerato un custode della Grignetta, Calumer è uno dei tecnici soccorritori specializzati della Delegazione Lariana. Moschettieri di scorza dura, sempre alle prese con barelle portantine, ganci baricentrici di elicotteri, complicate manovre in parete anche in piena notte e sotto l’imperversare di burrasche che non si fanno certo riguardo di complicare situazioni già di per se delicate per non dire estreme.
Tra il pubblico c’erano ai Piani Resinelli anche i quattro figli di Calumer, buon padre di famiglia, con compagni e nipoti. Ma lo sappiamo tutti, vero Luca?: la montagna vive di storie, racconti e persone che “nell’ombra”, giorno dopo giorno, compiono gesta eroiche per garantire la sicurezza e la salvaguardia di territori a volte ostili. Calumer ha dedicato tutta la sua vita al soccorso alpino della Grigna, salvando centinaia di persone e bene ha fatto il filmmaker e fotografo Achille Mauri a raccontarlo.
“Calumer” (è questo il titolo del film) ripercorre le esperienze del protagonista che, in un mix di autoironia e saggezza, mette a fuoco l’importanza di affrontare la montagna e le sue avversità con il giusto rispetto.
“Gnaro” Silvio Mondinelli: Targa d’Argento della Solidarietà Alpina
Per raccontare di Gnaro, all’anagrafe Silvio Mondinelli, occorrerebbe invece spendere qualche parola in più, non me ne voglia Calumer. Le campane suoneranno a stormo sabato 18 settembre a Pinzolo, nel Trentino per la cinquantesima edizione della prestigiosa Targa d’Argento della Solidarietà Alpina. Quest’anno il premiato è proprio lui, Mondinelli. “Un uomo vero, sensibile, dotato di grande energia e di straordinarie capacità alpinistiche”, lo definisce la giuria guidata dal cavalier Angiolino Binelli che mezzo secolo fa lanciò questo premio unico al mondo.
Bisogna andare parecchio indietro nel tempo per recuperare le prime prove del valore di Mondinelli, protagonista di oltre 30 spedizioni, salito su tutti gli ottomila senza ossigeno, oggi in pensione dopo un onorato servizio nelle Fiamme Gialle.
Sensazionale viene definito in “Soccorsi in montagna” che raccoglie la storia del Soccorso alpino e speleologico nelle Alpi, l’intervento notturno compiuto il 3 dicembre 1983 con l’elicottero al Monte Rosa. Con un potente faro un velivolo di Air Zermatt recuperò poco prima dell’alba una giovane gravemente infortunata con il determinante contributo dello stesso Mondinelli. Nel 2000 è ancora Mondinelli, guida alpina e soccorritore della Guardia di finanza, a mettere in salvo sull’Everest una ragazza bloccata dalla tormenta a quota 8600 metri.
Ma per saperne di più di “Gnaro”, della sua passione per l’alpinismo, della sua vocazione umanitaria (con gli “Amici del Monte Rosa” si è prodigato per gli amici nepalesi raccogliendo fondi e mettendo in piedi ospedali ad uso della popolazione) è consigliabile procurarsi il manuale “Alpinismo d’alta quota” (Hoepli 2009, 305 pagine, 24,90 euro). In queste pagine Mondinelli racconta la sua vita, la passione, la fatica, il desiderio di libertà, i momenti difficili e a volte tragici, la lontananza dalla famiglia, il rischio e i numerosi salvataggi ai compagni in difficoltà. Ma anche la gioia al termine delle esperienze più riuscite.
“Perché”, osserva Gnaro nel suo sito internet, “esistono due tipi di mal di montagna. Uno è quello che viene salendo in alta quota, l’altro è quello che colpisce chi non ci va. Il primo ogni tanto mi viene, ma è raro e di solito molto lieve. L’altro, invece, fa stare davvero male… e non ho alcuna intenzione di beccarmelo!”.
Se mi assegni qualche scampolo di tempo in più, caro Luca, vorrei aggiungere che, insieme con Adolfo Pascariello, Renato Andorno e altri amici, Gnaro fondò l’Associazione Amici del Monte Rosa ONLUS la cui missione è l’aiuto alle popolazioni nepalesi. L’Associazione ha costruito una scuola elementare a Namche Bazar, a 3400 m nella valle del Khumbu, e ne sostiene l’insegnamento con personale docente, strutture ed apparecchiature. A carico dell’Associazione sono decine di adozioni a distanza di studenti cui vengono garantiti studio, vitto e alloggio.
Successivamente l’Associazione, con Pascariello presidente e Silvio “Gnaro” Mondinelli testimonial ed esecutore dei lavori, ha costruito l’ospedale di Maleku, nel distretto di Dhading, sulla Prithvi Highway che collega Kathmandu a 60 distretti nepalesi.
Calumer e Gnaro: la montagna non è solo la cima
Basta così. Sia Gnaro, sia Calumer sono le dimostrazioni viventi che la montagna non è solo la cima. Ed entrambi lo hanno dimostrato con i fatti sempre rispettando i valori dell’onestà, dell’umiltà e della correttezza. Vanno definiti eroi? Gianni Brera non sarebbe d’accordo. “Lo fanno per dovere di casta: sono veri Angeli” direbbe l’indimenticabile Giuanin.
P.S.: Il nostro “Rob” sta bene, ma quei monopattini…
Per concludere consentimi Luca di segnalare ai nostri amici che, come noi, sono o si credono “fatti di montagna” che sono io quella persona dal volto tumefatto, apparsa in MountCity. Quel giorno inciampai in un monopattino maldestramente parcheggiato su un marciapiede di via Marghera. Fui ricoverato al San Carlo con un trauma cranico e per fortuna niente di rotto. Un medico del pronto soccorso fece una smorfia osservando quella mia faccia orrenda. Volli allora capire il perché. Non c’era uno specchio in quel bailamme del pronto soccorso, allora mi scattai il selfie in questione. Cose che capitano a Milano dove anche i monopattini contribuiscono talvolta a rendere la vita una roulette russa.
Tantissimi grazie agli amici che mi hanno fatto avere messaggi di solidarietà. Aldo Audisio, a suo tempo direttore del Museo Nazionale della Montagna, ci tenne a comunicarmi – magra consolazione – che lui “abitando a Torino in via Cernaia, uscendo sotto i portici, rischia giornalmente la vita tra monopattini che sfrecciano facendo lo slalom tra i passanti”. “Concordo con te” mi ha scritto invece Alberto Paleari, insigne alpinista e scrittore. “Milano è il posto più pericoloso del mondo, io da montanaro quale sono, non abituato ai rischi cittadini, cerco di venirci il meno possibile”. In tono più pacato il messaggio del vicentino Tarcisio Bellò, che mi invita a resistere perché “con l’indole montanara si superano tutte le avversità”. Ma davvero pensi che basti, caro Tarcisio, l’indole montanara a sopravvivere in questa città che i milanesi definiscono affettuosamente del menga?
Roberto Serafin
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MountCity è un progetto fondato nel 2013 a Milano che si poggia sulla passione e competenza di uno staff di cittadini appassionati di montagna, all’occorrenza con il sostegno di associazioni di volontariato. La piattaforma, grazie alla competenza e professionalità di Roberto Serafin che l’ha curata per 10 anni, è stata punto di riferimento sull’attualità della montagna e dell’outdoor con migliaia di articoli pubblicati. Ora lo spirito di MountCity vive ancora dentro questa rubrica.
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