Roberto Serafin ci propone un fatto di cronaca dal quale possono scaturire molti ragionamenti e riflessioni interessanti che vanno anche oltre il fatto stesso: il bivacco Pelino sul Monte Amaro ridipinto da tre ragazzi e una ragazza.
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Bivacco Pelino sul Monte Amaro: cosa è successo
È una vecchia storia che risale all’altro millennio quando nelle città il graffitismo dilagava e si esprimeva con deliranti ghirigori sulle carrozze dei treni e delle metropolitane. I graffitari diffondevano la propria creatività tramite interventi pittorici sul tessuto urbano, ma ricordo perfettamente che il più delle volte le loro opere venivano considerate atti vandalici e punite secondo le leggi vigenti.
Agli anni sessanta risale la land art, una forma d’arte caratterizzata dall’intervento diretto dell’artista sul territorio naturale, specie negli spazi incontaminati come deserti, laghi salati, praterie, mari ecc. La maggior parte delle influenze di questi fenomeni possono essere rintracciate nella cultura multiculturale di metropoli come New York.
Mi domando però se c’entra tutto ciò con le terre alte e la loro cultura. C’è da chiederselo a proposito del “caso” del bivacco Pelino, a 2793 metri sul Monte Amaro della Maiella. (Qui un po’ di storia del bivacco) Lassù i carabinieri forestali hanno sorpreso e denunciato tre ragazzi e una ragazza intenti a realizzare una performance artistica decorando lo sconquassato bivacco di cui sopra.
Come interpretare l’intervento al bivacco Pelino? Pareri contrastanti
L’intenzione era evidentemente di realizzare un’opera di land-art o di art-alpinismo per arricchire il paesaggio. O almeno questo è ciò che personalmente ritengo che sia. E mi fa piacere che tu caro Luca sia dello stesso parere. Non ritieni cioè che sia il caso di condannare a priori il fatto e fare i bacchettoni. Se la struttura era arrugginita e malandata vuol dire che non la si riteneva più utile e allora tanto vale rimuoverla oppure farne (perchè no?) oggetto di espressione artistica.
Ma i rappresentanti della legge non hanno voluto sentire ragione. I quattro ora rischiano la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1000 euro, per imbrattamento di bene immobile, oltre all’applicazione della normativa in materia di aree protette e all’obbligo di ripristino e ripulitura.
Il dubbio però rimane. E se quel manufatto arrugginito dopo la cura art-pinistica fosse da considerare un’opera d’arte? Non è già capitato che un bivacco alpino fosse esposto alla Biennale d’arte di Venezia? E non mi si negherà che aspira a essere considerato artistico il recente rifacimento del Bivacco Gervasutti sul ghiacciaio del Freboudze, con la sua struttura aeronautica e i ricami simili a quelli di un maglione norvegese.
È lecito allora riproporre a diversi anni di distanza l’interminabile querelle dei graffitari la cui ricerca artistica negli anni sessanta e settanta si è intrecciata con quella dei criminali che intervenivano imbrattando edifici di interesse storico e artistico?
I pareri raccolti da MountCity sembrano riassumersi in un concetto: macché opera d’arte, quelli realizzati sulla Maiella dai sedicenti artisti sono solo imbrattamenti. Categorica è la condanna di Carlo Alberto Pinelli, presidente onorario di Mountain Wilderness International. “Ovviamente”, spiega Betto, “detesto queste arroganti forme di street art in città e tanto più in ambienti naturali”.
Ma siamo sicuri che ci sia dell’arroganza in questo comportamento o non piuttosto l’intenzione di compiere una buona azione? D’accordo con i carabinieri forestali sono altri frequentatori delle terre alte di mia conoscenza. Questa arte, è un parere diffuso, va bene per le periferie cittadine ma non si addice all’ambiente sobrio del paesaggio di montagna. Dopo croci in ogni dove, panchine giganti, bivacchi dalle forme più stupide, speriamo che non si diffonda anche questa moda. In montagna natura e basta. Il paesaggio alpino non si arricchisce certamente in questo modo.
Dall’imbrattamento pseudo artistico alla giga panchina il passo è cortissimo, dichiara un architetto con aria indignata. Da segnalare che alcuni hanno apprezzato questa pseudo art per ragioni pratiche: il bivacco era in pessime condizioni, aveva bisogno di una mano di vernice e tanto valeva che quei giovani provvedessero a modo loro.
Davvero il loro operare non fa parte della cultura della montagna? Hai ragione tu: nei secoli la montagna ha generato espressioni artistiche di grande valore ed è ancora luogo in cui l’arte può esprimersi. C’è tanto spazio vuoto in montagna e quindi spazio per l’espressione artistica (di ogni genere).
Faccio mia la tua domanda (non sempre di facile e immediata risposta): arreca danno o veicola valore? E ancora una volta concordo con te. Nel giudicare ciò che deve o no far parte della cultura di montagna usiamo di frequente una visione stereotipata. L’alpinismo con la sua smania di “vetta” faceva parte forse della cultura di montagna? No, eppure ora lo è. La cultura è un processo e un progetto: viene da lontano, ma guarda al futuro.
Per concludere, direi che non è il caso di eccedere nel ridipingere i bivacchi con l’intenzione di illeggiadrirli. Di pugni nell’occhio la montagna ne offre di questi tempi anche troppi, a cominciare dalle contestatissime panchine giganti.
Roberto Serafin
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