Salendo all’Ol, alle prese con sentieri che spariscono inghiottiti dalla vegetazione, Marco Triches, avanza una proposta riformista per le Dolomiti Bellunesi. Perché, anziché altre attività, non puntare sul recupero di quello che è il vero patrimonio culturale delle Dolomiti Bellunesi? Perchè non unirsi per ripristinare l’incredibile rete sentieristica?

Ascolta la puntata del podcast con il racconto e la proposta di Marco

Al’Ol a far che?

A Igne (Longarone), Val di Zoldo, è il primo pomeriggio quando mi preparo velocemente per andare a controllare il sentiero che conduce all’Ol: una volta rocciosa scavata nella Dolomia rosa, circondata da boschi, a circa 900 metri di quota. Il luogo è passato alla storia per un minuscolo gruppo di casere in pietra, diventato il quartier generale della resistenza zoldana contro gli austriaci, nel Risorgimento italiano.

Il segno che la scelta dell’itinerario sia quella giusta me lo offrono due locali che, saputa la mia destinazione, mi rispondono: “All’Ol a far che?”

Salita al’Ol: sentieri che spariscono

Il percorso si sviluppa per la prima parte lungo le antiche strade selciate del Col Pedona, il vitale collegamento tra i ripidi campi, i boschi e i piccoli edifici, dove i valligiani ricavavano legna e fieno per trasportarli nel fondovalle. Faggi di notevoli dimensioni disposti in fila sostengono il fondo della stradina tra una scarpata e l’altra. Già qui, nelle rare schiarite del bosco, il sentiero è invaso da rovi ed erba alta, e compaiono qua e là, vicino alle più recenti postazioni umane, cavi d’acciaio all’apparenza dismessi, rovine di cataste di legna e contenitori di plastica ammucchiati o appesi in modo precario. 

Come un presagio ricorrente, appena termina il colle e ci si addentra nella franosa e ripida valle originata dal Rui d’Endra, sparisce il sole e si entra in un cono d’ombra, dove la traccia diventa incerta e sottilissima, su ampie gole di terra. Il confine è casera Perèra (quota 663 m), che rispetto allo scenario moderno di lamiere, cemento e mucchi plastici vari, introduce in un mondo di mattoni squadrati di pietra che appartiene a quasi due secoli prima.

Se da un lato per buona parte del sentiero, ora in transito sotto affioramenti rocciosi che scaricano sassi e stillicidi d’acqua, la copertura boschiva favorisce una più lenta sparizione della traccia, dall’altro la vicinanza con abitazioni, piazzole e antiche strade di boscaioli sottostanti significa che le varianti si moltiplicano, si intrecciano camminamenti e piste varie.

Considerata la severità dell’ambiente è meglio non sbagliarsi di troppo.

casera perera parco nazionale delle dolomiti bellunesi
Casera perera.
In apertura: Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, dal Monte Coro

Appena sotto l’Ol, l’ennesima apertura nel bosco si traduce in una selva di tronchi caduti, ortiche, rovi, e piante infestanti varie quasi ad altezza d’uomo che fanno perdere quasi un quarto d’ora per meno di 50 metri di dislivello. Il rumore delle sforbiciate delle cesoie cancella qualsiasi segnale del mondo che mi circonda: deve essere così per gli animali selvatici quando sono intenti in qualche operazione, il momento di massima attività è anche il momento di massima vulnerabilità, nessuno ti copre le spalle.

Sbuco infine in cima, nel pianoro delle casere dell’Ol, superando i muri a secco. Quello che compare è quanto di più simile abbia mai potuto vedere – all’interno delle Dolomiti Belunesi – ad un tempio. Ci sono le rovine comunque ordinate di una civiltà sparita, ci sono fatti storici di rilievo e poi c’è la natura che imperversa, e da un lato protegge, tutto quanto.

Normalmente, analoghe costruzioni e nicchie, sono evidentemente funzionali, adatte per una sosta comunque tecnica, nulla a che vedere con la quasi mistica contemplazione verso cui conduce un luogo del genere. L’Ol è un’illuminazione, anche per la sua natura morfologica che lo vede innalzarsi, parete di circa 60 metri, roseo, bucato da grotte nere e perfettamente scolpito al di sopra delle chiome nere dei faggi, per prendere tutti i raggi del sole possibili in arrivo da Sud.

Ol Parco nazionale delle dolomiti bellunesi
L’Ol

Tracce di arrampicatori all’Ol

Dopo poco qualcosa emerge distintamente dalla montagna.

Piovono a decine, a destra e a sinistra, corde per l’arrampicata sportiva, targhette indicano i nomi delle vie e i chiodi trapuntano la parete splendente.

In uno dei percorsi d’accesso all’Ol, diverso da quello che ho seguito questa volta, c’erano intagli circolari piuttosto recenti sugli alberi. Un gruppetto di arrampicatori si esercitava proprio su quelle corde. Sorpresi del mio arrivo tra loro mi avevano chiesto le ragioni della mia gita e si erano da un lato dispiaciuti che qualcun’altro conoscesse il posto e, dall’altro, rallegrati perché almeno così “il sentiero sarebbe rimasto pulito!”  

Gli arrampicatori erano indigeni, e proprio questo fatto garantiva loro la disponibilità morale di tutto quell’ambiente, invi incluse le incisioni ai tronchi che, come sappiano, sono assolutamente dannose per gli alberi, perché è proprio in quei centimetri di fibre appena sotto la corteccia che scorre la loro vita vegetale.

C’è anche un fascino tutto particolare che deriva dalla presenza di attrezzature ipermoderne (come le corde e i vari aggeggi d’arrampicata) piantati sopra beni culturali di interesse prioritario: è la sorte pittoresca che occorre a moltissimi reperti storici italiani, circondati dalla noncuranza dell’uomo d’oggi.

Le contraddizioni rendono unico e affascinante il nostro Paese.

Detto questo, a noi una proposta riformista per le Dolomiti Bellunesi.

Ol Parco nazionale delle dolomiti bellunesi
L’Ol

La disputa sui divieti del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi

In giorni recenti si è accesa una localissima disputa sulla catena di divieti che impone il Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi per moltissime attività alpinistiche. Tra queste mi soffermo sulla possibilità di aprire nuove vie ferrate e la pratica del canyooning, entrambe vietate per l’appunto.

Tra i contestatori del Parco, alcuni notevoli esponenti della cultura di montagna locale, hanno rievocato lo spirito dei Padri fondatori del Parco (nella fattispecie io ricordo a memoria Piero Rossi e Giovanni Angelini), che mai avrebbero ostacolato tali attività, secondo il principio di favorire la cultura alpina locale, l’escursionismo (o alpinismo) dolomitico e la purtroppo stentorea impresa turistica bellunese.

Conosco personalmente qualche Guida Alpina che credo sia assolutamente meritevole di vedersi assegnare attività come quelle citate, per poter sviluppare le nostre montagne e trarne anche qualche possibile lavoro, necessario per condurre una vita il più possibile normale.

Non sono il primo a infatuarmi della vitale, per quanto contrastante, presenza di lavoratori alpini, mentre chiuso in qualche baita vedo passare uno di loro con un gatto delle nevi, oppure una jeep, e illuminare la mia notte buia. Magari scambiarci anche due chiacchiere. Per certi versi che importa una nuova via ferrata sopra la mia testa, se questo significa, tra le altre cose, qualche ora di conforto ai nostri cuori solitari.

Sentieri parco nazionale delle dolomiti bellunesi
Sentieri

Le parole dei Padri fondatori del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi

Poste tutte queste premesse, abbandonate le armi, e lasciando un secondo indietro tutto ciò che significa tutela ambientale in tutti i luoghi della terra e quindi anche nei Parchi, ho rivolto l’attenzione ai suddetti Padri fondatori, che da tempo consulto come una specie di oracolo (Fatti della Schiara è in fin dei conti una rubrica dedicata a loro).

E L’oracolo ha risposto così:

Giovanni Angelini, Sentieri.

“È venuto anche il tempo dei sentieri, degli umili sentieri. So che i pochi alpinisti disposti a scorrere queste righe accenneranno un gesto di noia, un sorriso di compatimento o il corrugare della fronte, domandandosi cosa hanno a che fare tali ciance con un tema d’alpinismo, posto che questo semmai comincia dove hanno termine i sentieri; qualcuno al più darà una scrollatina alle spalle al balenare di ricordi che evocano giornate degli esordi in montagna cominciate o finite per malasorte su intricati impervi baluardi, se non terminate addirittura all’addiaccio o in qualche brutta avventura. Ma non parlo di questo. Né mi propongo l’argomento che ha così stretti nessi col più classico alpinismo e concerne ancora amplissimi territori d’esplorazione riguardo ai lunghi percorsi d’avvicinamento a lontani colossi montuosi, alle perigliose marce d’approccio a montagne ancor vergini e innominate. E non intendo neppure considerare specificatamente sentieri così detti alpinistici o comunque attrezzati per agevolare il superamento dei primi gradini delle difficoltà o le traversate per mirabili rupestri ballatoi e corridoi già in territorio pertinente all’alpinismo.

Parlo dei pedestri sentieri che c’erano una volta e ora non ci sono più. In tante parti ormai della valle, sui monti che imparammo a conoscere e ad amare nell’infanzia e nella giovinezza, più non si trovano sentieri.

Sentieri che, sulle orme di boscaioli pastori cacciatori, dirigevano i nostri passi: nelle notti buie e grevi di nuvole a lume di naso e di lanterna o nei chiari eccitanti pleniluni, in notti ammiccanti di costellazioni o solcate da stelle cadenti o animate d’una moltitudine di fantastiche e paurose immagini terrene; in silenzi ritmati dalla cadenza e dall’affanno del salire o rotti dal rotolìo di sassi smossi, dal crocchiare delle foglie e dei rami secchi, da improvvisi sussurri stridii svolazzi misteriosi; nelle ore antelucane e nel rabbrividire dell’alba, fino al trionfale trascolorare d’aurora.

Amiche tracce dell’ora già tarda e che, pur nel rapido imbrunire o spenta ogni luce, tra fitte brume o nella piova dirotta, erano le ultime interminabili scorciatoie per membra gravate di sonno e di fatica; ma anche erano esortazioni ausiliatrici e barlumi di speranza, ancora incuoravano a proseguire, brancicando incespicando sbatacchiando inzaccherando, avanti, fino al riparo al sicuro rifugio.

Dove sono i sentieri della nostra prima età che sicuramente c’erano e più non sono.”

Piero Rossi, Il Parco Nazionale delle Dolomiti. 

“All’interno del Parco saranno necessari rifugi, bivacchi fissi ed altri ricoveri, da raggiungere a piedi, mediante una apposita rete di sentieri, ben segnalati ed attrezzati. Occorre dire che si tratta di strutture in gran parte già esistenti, soprattutto per merito delle Sezioni locali del Club Alpino Italiano (il quale conta, nella zona, diciassette fra rifugi alpini e bivacchi fissi, ha attrezzato numerose vie ferrate ed ha curato la segnalazione e manutenzione di dozzine di sentieri). A tali strutture esistenti, non vi sarà molto da aggiungere ed, in massima parte, si tratterà solo di riattare convenientemente, con modica spesa, alcune malghe e casere abbandonate, ma, spesso, ancora in buono stato. Tutto ciò sarà più che sufficiente per garantire le necessarie basi d’appoggio e gli opportuni ricoveri ad ogni categoria di escursionista, dal modesto camminatore, al più agguerrito alpinista estremo.”

Burel, Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi
Burel, Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi

Proposta riformista per le Dolomiti Bellunesi

Belluno presenta una rete sentieristica quasi infinita (tanti sono i sentieri che circondano e salgono le montagne). Questo perché, se non si tratta certamente di monti alti (la massima elevazione è la Schiara, quota 2565 m), si può tuttavia considerare questa regione alpina come un intrico di valli, torri, crepe e promontori. Il classico labirinto. 

Il patrimonio culturale di Belluno sono i suoi sentieri, specialmente quelli non ufficiali (per quanto decisamente di lunghezza inferiore rispetto a quelli veri, Sono all’incirca il 70% del totale).

A questo punto credo sia doveroso, nei confronti della storia e della natura locale, operare una buona, per quanto ingenua, riforma! Gruppi sparuti, amatori, appassionati, ex cacciatori, solitari di ogni sorta, associazioni, Proloco, club… Uniamoci! E cerchiamo di non additarci e ostacolarci, come le peggiori tradizioni montanare insegnano ai poveri di spirito! Ripristiniamo i sentieri! Diamo voce all’autentica cultura dei nostri Padri! Quelli che se dovevano mettere i piedi in acqua andavano a Venezia, o se usavano ferramenta da montagna indossavano poco di più dei fer da tac (specie di ramponcini da tacco).

Il Parco Nazionale delle Dolomiti è anche un’occasione, per Belluno e per i Bellunesi, di rendere un grande servigio, sul piano culturale e sociale, al Veneto, all’Italia, all’Europa ed a tutti i popoli, destinando una parte rilevante del proprio territorio al culto della scienza, della natura e dell’escursionismo alpino, in un ambiente, come quello delle nostre Dolomiti, assolutamente peculiare ed, anzi, unico.”  Piero Rossi, Il Parco Nazionale delle Dolomiti.

13 Settembre 2021
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RUBRICA A CURA DI:
Marco Triches

Mi piace gironzolare, sono una guida ambientale escursionistica e scrivo. La mia terra natale è Belluno, una terra misteriosa, angusta e selvaggia. Per questo motivo, sogno di accompagnare le persone in quei posti.

 

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