Questa settimana nella sua selezione Roberto Serafin ci racconta della piazza intitolata al giornalista e partigiano Giorgio Bocca e delle Dolomiti che risentono della mancanza del turismo russo. Infine… sapete cosa significa “Arsunà”?
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Una piazza dedicata a Giorgio Bocca

Per celebrare la Liberazione il piccolo centro di Dronero nel Cuneese ha dedicato una piazza a Giorgio Bocca, partigiano che combatté nelle valli Grana e Maria e poi divenne giornalista tra i più autorevoli del dopoguerra. È il primo caso forse in Italia di uno spazio pubblico intitolato a questo intellettuale nato a Cuneo il 28 agosto 1920 e morto a Milano il giorno di Natale di 11 anni fa. Bocca è stato vicino a Dronero non solo nel “partigianato”. Trattò con i fascisti per la liberazione del paese il 26 aprile ’45. Fece poi lui l’orazione per la Liberazione nel 1975, anno del trentennale. Alla cerimonia dell’inaugurazione ha preso parte il 23 aprile anche la figlia di Bocca, Nicoletta, mentre a scoprire la targa ha provveduto l’avvocato Bruno Segre, torinese, 101 anni, che con Bocca fu compagno durante la Resistenza.
Le Dolomiti tradite dai turisti russi

Nelle Dolomiti i russi sono sempre stati i benvenuti, ma la guerra mossa da Vladimir Putin all’Ucraina ha rotto anche questo incantesimo, uno fra i tanti. Il conflitto ha fermato i turisti entro i propri confini rallentando con le sanzioni il motore dell’economia, anche quella del divertimento. Ne ha particolarmente patito la macchina della neve, un duro colpo dopo le misure anti-Covid. Un sofferto addio ai russi è stato quello della Val di Fassa. Addio Suv e auto di lusso, addio appuntamenti golosi al calar del sole davanti a damigiane di spritz. La montagna unisce come recitava lo slogan del Cai nel suo cerntocinquantennale? Mica vero. Non ci saranno di sicuro i russi nemmeno nella prossima stagione, ma – stando a quanto si dice negli uffici dell’Apt di Fassa – si rischia di non vedere neanche polacchi, romeni, cechi, slovacchi, serbi che magari, si ipotizza, “valuteranno bene se muoversi e, visti i tempi, magari resteranno a casa”.
A quanto risulta, in una stagione invernale normale (e quindi prima del 2020) la clientela russa rappresentava il 10% delle presenze. Guardando i dati non ancora definitivi, oggi in possesso dell’Apt circa la stagione che si sta concludendo (quindi da dicembre a fine marzo), si nota una contrazione che va da -12 a -15% di presenze. Che brutta aria, che tristezza.
Il cantare gorgheggiato delle pastore

“Arsunà, ovvero risuonare, si chiama il canto gorgheggiato che le pastore usavano per comunicare da un alpeggio all’altro”. Nei ricordi di Paolo Crosa Lenz, ossolano doc con sangue walser nelle vene, questo canto rompeva la solitudine del lavoro in montagna. Serviva soprattutto per chiamare il bestiame, o per chiedere aiuto. A Ornavasso dove Crosa Lenz è nato e vive, si diceva faa yuglo, o anche yu fi fi: vocali e consonanti a suo dire accostate senza un significato. Sui monti della Val d’Ossola era pratica femminile, perché erano le donne a lavorare sugli alpi, mentre gli uomini erano via in emigrazione.
“Da bambino”, racconta Crosa Lenz nel suo giornalino mensile “Lepontica” che distribuisce gratuitamente agli amici tra i quali il sottoscritto, trascorrevo ogni anno tre mesi all’alpe Sarlede. La sera, dopo aver raccolto le capre e averle munte, la mamma si sedeva sugli scalini davanti alla baita e faceva yuglo”.
“In pochi minuti”, ricorda Crosa Lenz, “rispondevano voci femminili dagli alpeggi vicini. La mamma riconosceva le voci delle amiche. Non so cosa volessero dirsi. Forse non lo sapevano neanche loro. O forse volevano dire che erano ancora vive, che la vita continuava”. Immagino che anche tu, caro Luca, propenda per questa seconda versione.
Roberto Serafín
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