Riprendiamo il cammino sulla Via degli Ospizi che era iniziata nell’8ª puntata del nostro viaggio nelle Dolomiti Bellunesi. In questa seconda tappa, la Via degli Ospizi entra in un altro mondo.
Qui puoi ascoltare la puntata del podcast con il racconto di Marco
Pensieri prima di riprendere la Via degli Ospizi
Il capitan de la compagnia Lé sta ferito e sta per morir E manda a dire ai suoi alpini Di venirlo a ritrovar.
Ci sono tre pensieri che mi frullano in testa.
- È sacrosanto il bisogno medio di “staccare”, di prendersi una pausa dal lavoro quotidiano, di divertirsi nel tempo libero. Eppure già i situazionisti negli anni Sessanta dicevano che non esiste tempo libero, ma solo tempo liberato dal lavoro: in poche parole “non lavorare” o “lavora il meno possibile”.
- Un mio amico mi ha detto che la scelta della povertà è bella solo perché è una scelta. Perché uno, deliberatamente, sceglie di essere povero, cioè si libera dagli averi. Per uno che non ha mai avuto niente, solo debiti, la faccenda cambia. La miseria non è bella!
- La nostra società, noi, abbiamo una certa predisposizione per gli allevamenti. Proviamo un umano comfort nel fare tutti la stessa cosa, ad avere tutti la stessa idea: in montagna, in città, nelle case di campagna o al mare (cito: “Per quest’anno/non cambiare/stessa spiaggia stesso mare”). Batterie, pollami, manze, code alla cassa, frutteti industriali, cambiamento climatico.
E di certo, in conclusione, è bene diffidare di una guida (come il sottoscritto) che scrive una guida, un viaggio sentimentale, con delle soluzioni belle e pronte: perché non si capisce se la guida scrive quello che scrive per favorire la propria attività, per mostrare un mondo diverso, ma a che scopo? Forse per fargli funzionare le cose?
Riprendiamo il cammino sulla Via degli Ospizi
I suoi alpini le manda a dire Che non han scarpe per camminar O con le scarpe o senza scarpe I miei alpini li voglio qua.
A questo punto, per procedere – lettore –, urge un atto di fiducia: non di una soluzione voglio parlare, ma di un problema; non di uno svago, ma di un grattacapo.
Perché la Via degli Ospizi, giunta alla seconda e ultima tappa, è un fatto di Pace. Non esiste non violenza senza disobbedienza civile.
La conclusione dell’itinerario, dopo aver affrontato il Vaion, La Val dei Zoldani e la Val del Mus (siamo sempre nel gruppo dei Monti del Sole, Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi) e discesi al fondo della Val Pegolera e all’insediamento di Agre (vedi l’articolo “Incamminiamoci sulla Via degli Ospizi”) entra in un mondo, e in un gruppo montuoso, completamente nuovo.
Se fin ora le tracce storiche narravano di pellegrini, lavoratori, viaggiatori in cammino tra selvagge rupi, e ricoverati negli “ospizi”, locus magne misericordie, per difendersi dai pericoli del viaggio; ora entriamo nel tetro scenario della guerra: soprattutto delle recenti Prima Guerra Mondiale e Seconda.
Il gruppo del Piz de Mezodì, luogo dove ci troviamo appena superata la piana di Agre, presenta insieme le caratteristiche (di fondo valle) dei Monti del Sole, che lo precedono, e dell’Agordino, che segue. Alterna infatti forre impervie a pendii di bosco più docili, argillosi.
La coincidenza tra un’antica grande frana (dalla quale originò il lago di Agordo) e la strettoia della Val Carbonere hanno deciso l’esistenza di uno dei “tappi” alpini meglio fortificati della storia: la Tagliata di San Martino, nel Canale d’Agordo.
“Salendo da Belluno la stretta gola che – appena oltre La Muda – rinserra la valle del Cordévole, si raggiunge la ‘Tagliata di San Martino’ naturale baluardo storicamente utilizzato per contrastare possibili invasioni da Nord. Questo passaggio – localmente chiamato ‘tajada de San Martin’ – ha anche la denominazione de ‘I Castei’, considerato il grande numero di fortificazioni che qui si sono susseguite (…) Nel 1483 Martin Sanudo il Giovane descrivendo il Castello Agordino scriveva: ‘Or mia 4 si trova un castello mal conditionato, dove è uno passo forte chiamato Castello Gordino, et qui è una chiesa di San Martin; non si pol andar a cavallo; bisogna dismontar”.
Da Tiziano De Col, Maurizio Olivotto, La montagna dimenticata. Vie militari e antiche strade di minatori, Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, 2001.
“La prima opera difensiva di cui si ha notizia fu il ‘Castello Agordino’ eretto già nel primo Medioevo, distrutto nel 1510 e più volte riedificato. Più recentemente, verso la fine dell’800 e negli anni precedenti alla Grande Guerra, il sasso costituì un caposaldo della linea difensiva detta ‘Linea Gialla’, in funzione anti-austriaca. Infine,. Negli anni 1944-45 i tedeschi dell’organizzazione ‘Todt’ completarono le opere che avrebbero dovuto consentire la resistenza a oltranza del ‘Ridotto Alpino’. Fu invece una grossa unità della Wermacht che rimase bloccata al Tornèr da un pugno di partigiani che avevano minato la strada alla fine dell’aprile del 1945.”
Arvedo Decima, Note geografiche e storiche, in Monti del Sole e Piz de Mezodì, antologia a cura di Piero Sommavilla e Luca Celi, Fondazione Giovanni Angelini – Centro Studi sulla Montagna, 2014.
Così ci troviamo noi, tra uno smontar da cavallo, un forte e una ripida discesa, nel tratto chiave della parte conclusiva della Via degli Ospizi.
La chiave della Via degli Ospizi
Cosa comanda sior capitano Che adesso noi semo arrivai Io comando che il mio corpo In cinque pezzi sia taglià
Chissà che effetto facevano queste montagne, allo stadio attuale lontane da ogni benedizione, con pochissima luce, ripiani prativi e consolazioni, nel tempo in cui se uno correva lo faceva con la paura di beccare un colpo. Oppure durante un viaggio verso il Nord, con le poche misere cose nelle tasche, eppur le uniche racimolabili prima della partenza, nel bel mezzo di una frana di sassi o di banditi tra i boschi.
Procediamo con circospezione ancora oggi verso la meta. Picchi neri gridano l’allarme nell’ombra ancora infinita della fine dell’inverno.
Schianti di alberi frammisti a neve e ghiaccio, sull’altra sponda (sinistra idrografica del Cordevole), ruspe e piste di ghiaia fino al greto. I boschi inceneriti del Monte Zélo, le macchine che superano rumorose la galleria e si dirigono verso Agordo.
Il primo pezzo alla mia Patria Che si ricordi del suo soldà Il secondo pezzo alla mia mamma Che si ricordi del suo figliol
Il sentiero procede sempre in piano, a una quota di circa 500 metri sul livello del mare; la distanza che ci separa dalle Miniere di Valle Imperina è di pochi chilometri. Col passo che rimbomba cadenzato a terra non è difficile volare lontano con la mente, e introdursi in una qualunque delle accidentate rotte della migrazione: il Mediterraneo, i Balcani, il Centro America. Perché, nonostante l’equipaggiamento, la certezza di un arrivo, la pace della sera, certi luoghi storici hanno la stessa portata di località dove attualmente si svolgono battaglie.
La Via degli Ospizi è in fondo un problema di Pace.
Alla fine della Via degli Ospizi
Il terzo pezzo al battaglione Che si ricordi del suo capitan Il quarto pezzo alla mia bella Che si ricordi del perduto amor
Quando arriviamo alla fine si fatica a trovare un angolo di sole. I paesi di Rivamonte, Mòttes, Zeních, Montás, Pedandola, Valchesina brillano all’orizzonte sui colli, alcune centinaia di metri più in alto, alle pendici del Gruppo Agnèr, Croda Granda, Sass de Ortiga. La linea di confine della faglia della Valsugana, lo spacco del torrente Imperina, che scavalchiamo con un ponte di legno, è stato il centro di una fiorente attività mineraria nata nel 1400, e della quale l’Istituto Tecnico Minerario ”Follador” di Agordo è l’attuale testimonianza.
Di tutto il bene che si può dire della tecnica, e del progresso dell’uomo e della scienza, si possono spendere capitoli. Certamente la distruzione ambientale, la desertificazione dei boschi, i fumi nocivi, gli scarichi nelle acque, e il buio dei minatori, rappresentano a pieno titolo quanto di male può nascere da un’opera così tanto meritevole.
E non è senza una certa emozione che il viaggio odierno si interrompe nella stessa area da cui il viaggio era cominciato, qualche tempo fa, quando prendevamo le mosse dal bosco di Vallalta (vedi l’articolo: I monti di Belluno sono una nicchia): lo stesso identico squarcio, di terra, sassi, boschi, acqua e uomini, da dove sorgono bianchissime le Dolomiti Bellunesi.
Il quinto pezzo alle montagne Che lo ricoprano di rose e fior Il quinto pezzo alle montagne Che lo ricoprano di rose e fior.
(Il testamento del Capitano, canto alpino)
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Mi piace gironzolare, sono una guida ambientale escursionistica e scrivo. La mia terra natale è Belluno, una terra misteriosa, angusta e selvaggia. Per questo motivo, sogno di accompagnare le persone in quei posti.
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