Partendo da “Rispet” presentato al 71° Trento Film festival, Serafin ci guida in un percorso attraverso altri due pellicole (“As bestas” e “Il vento fa il suo giro” ) che hanno saputo raccontare quello spaesamento e disagio esistenziale spiegato dall’antropologo Annibale Salsa nel suo famoso saggio “Il tramonto delle identità tradizionali”
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“Rispet”, “As bestas” e “Il vento fa il suo giro” tre casi esemplari
Quando ero piccolo posso tranquillamente affermare che le località delle Alpi dove i genitori mi portavano in villeggiatura per me erano un mondo a parte, isolato, incontaminato, “altro”. Si lasciavano le città stremate dalla guerra e dai bombardamenti e in un paio d’ore con la Balilla o la Topolino “balestra corta” lo scenario cambiava. E per me era come entrare in un sogno.
Poi ci abituammo a considerare le Alpi quali portatrici di una cultura urbana a noi familiare e l’incanto sembrò rompersi. Come denunciò Annibale Salsa nel 2007 nel libro “Il tramonto delle identità tradizionali” pubblicato da Priuli&Verlucca, spaesamento e disagio esistenziale si diffusero. Addio pace, se mai in quelle comunità si vivesse in pace e senza le crudeltà subite dai contadini nell’indimenticabile ”Albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi.
A creare disagi nelle comunità montanare provvidero le trasformazioni di fine secolo: emigrazione permanente, turismo di massa, affermazione del modello consumistico urbano, crisi e scomparsa della cultura del limite e della solidarietà. Le cineprese non hanno comunque smesso di ronzare intorno a questi temi come dimostra il film “Rispet” di Cecilia Bozza Wolf da poco presentato al Trento Film Festival. E ancora una volta spaesamento e disagio esistenziale sono ingredienti ineliminabili di un filone cinematografico che vorrei qui sintetizzare rifacendomi anche a due opere esemplari in cui si dispiega una sorta di neorealismo trasferito ad alta quota: “Il vento fa il suo giro” (2007) di Giorgio Diritti e il recentissimo “As bestas – La terra della discordia” dello spagnolo Rodrigo Sorogoyen dove, come suggerisce il titolo, una natura fonte di pace e bisognosa di cure non impedisce che i valligiani si trasformino in “bestie” con tutto un corredo di malefatte e orrori.
“Rispet” di Cecilia Bozza Wolf
Corvaz nel film “Rispet” della Bozza Wolf è un trentenne semplice e istintivo che lavora sodo nella vigna del padre e adora andare in giro con il suo cane Toni. La vita del villaggio di montagna è tutta incentrata sul bar, di proprietà del ricco viticoltore/proprietario terriero e gestito dalla fidanzata del figlio. Gli uomini passano il loro tempo bevendo, tra rancori e false amicizie, quando una notte, le statue di legno che decorano la piazza, sono vandalizzate. La colpa è attribuita a Corvaz. Anche Mara, l’energica barista, crede che sia stato lui.
Cercando però di superare l’ostilità collettiva, i due s’incontrano e tra loro nasce un’amicizia mentre il desiderio di vendetta della comunità diventa sempre più forte. E ancora una volta s’infrange il codice del “rispet” che ha tenuto tutti insieme.
Sarai anche tu d’accordo, caro Luca, di quanto sia falsa l’idea che in montagna si debba vivere sereni, immersi nell’idillio alpino. E viceversa non sempre la vita di chi sceglie la montagna per vivere è una fiaba a lieto fine. E le spietate “voci che girano” possono divenire un marchio indelebile nel tempo creando pregiudizi ed emarginazioni.
“Rispet” è stato girato nella primavera 2021 in Val di Cembra e tutto è filato liscio. Leggo che decisivo è stato l’appoggio della comunità del paese di Cembra Lisignago. “Abbiamo trovato persone meravigliose”, racconta Cecilia Bozza Wolf, “che si sono spese senza sosta per darci una mano, aiutandoci a reperire location, oggetti di scena, contatti. Molti sono diventati anche comparse e appaiono all’interno del film”.
“As Bestas – La terra della discordia” di Rodrigo Sorogoyen e “Il vento fa il suo giro” di Giorgio Diritti
Non molto diversa è l’aria che tira in “As Bestas – La terra della discordia” a cui si è prima accennato. Il film è parlato in galiziano, francese e spagnolo, e pazienza se i sottotitoli banalizzano leggermente i dialoghi. Forse è ammissibile che il regista spagnolo Sorogoyen, classe 1981, abbia tratto ispirazione da “Il vento fa il suo giro” che nel 2005 rivelò Diritti. Anche in quel caso la storia si presentò a tratti surreale e controversa. A fronteggiarsi era l’acculturato professore francese Philippe, determinato a vivere di pastorizia e di libero amore, con la comunità di Chersogno, un paese in balia del proprio “disagio esistenziale e dello spaesamento” per citare il saggio di Annibale Salsa, illustre antropologo, che tratta del tramonto delle identità tradizionali nelle Alpi.
Nel film di Diritti il giovane e tenace pastore francese incontra in val Maira la diffidenza o addirittura l’ostilità dei residenti. La sua chiave di lettura è illuminante. “La violenza è figlia della repressione sessuale e della frustrazione che da questa deriva, e un uomo represso prima o poi vorrà vendicarsi”: questa la folgorante battuta del protagonista.
Un’atmosfera minacciosa unisce i due film, quello italiano girato sulle Alpi Occidentali, quello spagnolo in un fatiscente borgo della Galizia dove i francesi Antoine e Olga si sono trasferiti per fare gli agricoltori “eco-friendly”, recuperando casolari cadenti per metterli a disposizione della comunità.
I due, lui massiccio e taciturno, lei tosta e amorevole, vorrebbero vivere in buoni rapporti con i locali, e perlopiù ci riescono. Ma due fratelli del posto, Xan e Lorenzo, contadini impoveriti e incattiviti, li prendono di mira. I rapporti si fanno sempre più tesi, atmosfere del resto già viste anche in diversi film dell’epopea western americana. “As Bestas” ha il merito di ricostruire uno scontro di culture. La cornice è livida, invernale. Atmosfere non estranee, si direbbe, anche alle “Otto montagne” del bravo Paolo Cognetti. Tornando al “Vento fa il suo giro” chissà mai che qualche aspirante pastore neorurale rivedendo il film non si innamori di Chersogno, e dalla città non ritenti l’impresa andata buca a Philippe di trasferirsi lassù a governare mucche e pecore. Sempre che il vento non si trasformi in ciclone.
Roberto Serafin
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