Recentemente sono arrivati nelle sale bei film che ci raccontano di terre, culture e animali lontani dal nostro mondo. Ce ne parla Serafin fresco della visione del consigliassimo Utama – Le terre lontane di Alejandro Loayza-Grisi
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Film da terre lontane
Gli eleganti lama, gli instancabili yak, una rara pantera delle nevi. Da mondi per noi occidentali decisamente remoti se non addirittura sconosciuti arrivano sugli schermi della grande distribuzione immagini di terre dimenticate, abitate da animali esotici. Tutto ciò in tre film che hanno conquistato platee sia pure ristrette anche se qualificate. Film che colpiscono per la ricercatezza delle immagini e la ricchezza di significati che emerge da ogni sequenza.
Utama. Le terre dimenticate
Si potrebbe cominciare dall’ultimo arrivato prodotto dai boliviani di Alma Films e dagli uruguayani di La Mayor Cine. Con “Utama – Le terre dimenticate”, questo il titolo, il regista Alejandro Loayza-Grisi ci porta tra i pascoli tradizionali della Bolivia, una terra poco frequentata dal cinema e che si meriterebbe un briciolo più attenzione da parte delle nostre recalcitranti platee dedite a film banalmente commerciali.
Purtroppo, se questo particolare può avere un significato, eravamo non più di una decina a godercelo una domenica di novembre nella confortevole sala dell’Anteo City Life a Milano.
Il film racconta la storia di Virginio e Sisa, un’anziana coppia quechua che vive sull’Altipiano boliviano devastato dalla siccità. Lui è un allevatore di lama che ogni giorno deve compiere un percorso di diversi chilometri per trovare qualche stentato ciuffo d’erba e un po’ d’acqua per gli animali che lo seguono impettiti e infiocchettati. Succede che la città in cui il nipote Clever (un ragazzo di oggi, puntualmente dotato di laptop sempre a portata di mano e di cuffiette alle orecchie) vorrebbe, con tutte le migliori intenzioni, condurre i nonni è una realtà a cui Virginio, non intende adattarsi. Tra l’altro ha problemi di salute che cerca di nascondere, che beneficio può offrirgli l’aria inquinata delle città?
Virginio non ha dubbi. Meglio vivere lassù anche se la siccità si fa ogni giorno più drammatica. Invano Sisa cerca di spremere qualche goccia d’acqua dalla fontanella davanti alla loro casa mentre i lama frugano tra i rari cespugli. Cogliendo questi e altri particolari di una vita diventata ingrata, il film, vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance, lancia un forte grido di allarme sui mutamenti climatici. Ma senza lasciarsi andare in sterili proclami. Al contrario, guardando al clima ostile con un soffio di malcelata speranza. E infatti la pioggia dopo un anno finalmente verrà come Virginio ha previsto. E come è sempre stato da che mondo è mondo.
Lunana: il villaggio alla fine del mondo
È invece un mondo in cui le persone sembrano aver perso il loro rapporto con la natura insieme con la loro spiritualità, uno scenario di gente che va ostinatamente in cerca del benessere materiale il film del Buthan “Lunana: Il villaggio alla fine del mondo”. Dove il PIL è sostituito dal FIL, l’indice di Felicità Interna Lorda.
Ma che cosa significa essere felici? E davvero il giovane maestro Ugyen salito riluttante a Lunana dove pascolano gli yak riuscirà giocarsi la sua vita cantando in uno squallido bistrot di Sidney dopo avere voltato le spalle a quel paradiso?
“Lunana”, che è anche il titolo del film di Pawo Choyning Dorji al debutto nella regia e candidato al premio Oscar, è un piccolo villaggio sulle pendici dell’Himalaya. Lo si raggiunge dopo otto giorni di cammino. Lassù non arrivano elettricità o connessione internet. La scuola non possiede né libri né lavagna, soltanto un placido yak che bruca nel cortile. Eppure i piccoli dei pastori crescono in apparenza felici. Così come si può essere felici o perlomeno sereni e appagati anche in tarda età – è il caso del film “Utama – Le terre dimenticate” – tra i pascoli ai piedi della Cordillera Blanca a tu per tu con i lama che forniscono carne e lana.
La pantera delle nevi
Sugli altipiani riarsi del Tibet è ambientato, per concludere questo giro d’orizzonte su cui soffia una particolare aria sottile, il francese “La pantera delle nevi“, regia di Vincent Munier. Il documentario è impreziosito dalla colonna sonora di Warren Ellis e Nick Cave. Vi si racconta di un gruppo che va alla ricerca della fantomatica pantera. Fanno base in vari siti e rifugi tra i 4.000 e i 5.000 metri di altitudine, spesso a – 20 gradi.
Oltre al lupo grigio, l’orso e la volpe, i cineasti individuano anche animali rari come l’antilope tibetana, lo yak, il baral, il gatto di Pallas. Curiosi e dotati di un’infinita pazienza, si mettono in dialogo con la natura. Lo fanno da ospiti, sempre disposti a esprimere il proprio stupore che oggi, in questo mondo distratto, è diventato merce rara.
Non è un’esagerazione affermare che questo cinema-verità ai confini del mondo ci regala una serenità di cui è persa cognizione mentre sul mondo incombe la stolta minaccia della catastrofe nucleare.
Roberto Serafin
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