Da decenni si ignorano i climatologi che segnalavano un clima in cambiamento destinato ad incidere anche sulla montagna invernale così come la si è conosciuta. Ora si parla di piani straordinari… eppure non è che non ci furono già i segnali: ora l’eccezione sta diventando la norma.

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Quando non ci fu la neve per i fondisti

Sento parlare in questi giorni di un “piano straordinario governativo per le nostre montagne senza neve” ma in tutta sincerità, a costo di essere smentito, non capisco che cosa ci sia oggi di straordinario nell’assenza o scarsità di nevicate. Permettimi allora, caro Luca, un breve riepilogo basato sulle mie esperienze in quei paradisi perduti che oggi vengono definite molte località sciistiche sottoposte ai capricci dell’anticiclone africano. Comincerei dalla stagione invernale 2001-2002, quando l’assenza di nevicate creò drammatici scompensi nel turismo alpino, preludio alle emergenze che in questo inizio del 2023 si stanno vivendo

A farne le spese siamo stati ieri come oggi noi sciatori fondisti come risulta dalla straordinaria immagine qui pubblicata che ho ritrovato nel mio archivio. La popolare Marcialonga di Fiemme e di Fassa che si corre alla fine di gennaio, dopo due edizioni soppresse per assoluta mancanza di neve venne disputata in estate sull’asfalto con sci a rotelle. Si usarono i famosi skiroll allora assai diffusi. 

Marcialonga a rotelle 1984 Montagne senza neve: i segnali ignorati
Marcialonga a rotelle 1984

Ricordo che si sciava anche lungo percorsi di plastica ad anello con vari saliscendi che un magnate brianzolo mise a disposizione degli amici fra le betulle del suo parco. In mancanza di cannoni, la neve veniva anche trasportata in loco con i camion. Fu nel 1974 che la quarta edizione della Marcialonga si effettuò su un “serpentone” di neve riportata. Un atto di fede e di coraggio degli organizzatori, scrissero i giornali locali, a dispetto delle condizioni meteorologiche che “si ostinavano a negare la neve sul tracciato”. 

Poi venne la neve artificiale o “programmata”

Le piste correvano su prati rinsecchiti dal favonio, simili a strisce di carta igienica srotolata, come spiritosamente (ma non troppo) osservò il sindaco di un comune della valle di Fiemme. Sembrò poi una grande conquista la neve programmata. Poi ci si accorse che per innevare le piste si lasciavano a secco gli acquedotti, e perciò anche le toilette degli alberghi nel momento cruciale delle vacanze di Natale e delle settimane bianche. Per questo non irrilevante motivo a Bardonecchia i cannoni smisero di sparare sulle piste il 6 gennaio 2002. 

Ma era da tempo che la terra si faceva via via più arida e il caldo record attribuito all’effetto serra non conosceva confini di quota e di latitudine. Al Polo Nord erano state avvistate copiose e inquietanti pozze di acqua. Per non parlare delle celebri nevi del Kilimanjaro ridotte del 77%. A proposito di neve programmata fece amaramente riflettere ciò che il compianto Guido Ceronetti sulla Stampa del 13 gennaio 2002 definì “il consumo demenziale di acqua, privato e pubblico”. Un consumo imposto dal nostro stato di “perpetua ubriachezza economica e tecnologica”, per dirla ancora con Ceronetti. Ancora più severo il giudizio di Franco Michieli, geologo ed esploratore. L’uso sempre più sfrenato della neve artificiale non poteva a suo avviso che essere frutto di un irrefrenabile masochismo di massa

Serpentone Marcialonga Montagne senza neve: i segnali ignorati
Marcialonga sulla striscia di neve

Segnali ignorati e scelte discutibili: la montagna presa in giro?

I segnali di avvertimento dunque non mancarono. Porta addirittura la data del 30 aprile 1993 un opuscolo della Commissione internazionale per la protezione delle Alpi (Cipra) dedicato ad Alpi ed effetto serra. Un’altra ricerca della Cipra (Grandi manifestazioni sportive invernali nelle Alpi, 1998) evidenziava come il periodo vegetativo della flora viene modificato dalla copertura nevosa artificiale. “Nelle aree sottoposte a questo trattamento”, trovo scritto, “si concentrano infatti quantità di acqua da scioglimento notevolmente superiori alla norma, il che produce conseguenze negative sul deflusso superficiale e sull’erosione del suolo, così come sulla ripresa vegetativa delle piante dopo lo scioglimento della neve”. 

Si iniziarono a depredare i ghiacciai della loro bianca copertura. “Un’operazione improvvisata e fuori da qualsiasi tipo di regolamentazione” si rammaricò il geologo trentino Franco Secchieri.  Questa asportazione di neve, Secchieri ne era certo, avrebbe avuto ripercussioni negative sul bilancio idrologico dei ghiacciai. Come è puntualmente avvenuto. 

Ad alzare bandiera bianca furono da principio i gestori degli impianti a bassa quota, nelle Prealpi o in alcune zone dell’Appennino. Così al Passo Penice sugli Appennini dopo 70 anni di attività la vecchia località sciistica del Pavese chiuse definitivamente i battenti. Neve o no, non piegò invece la testa come ho accennato la Marcialonga dopo avere rinunciato per due volte a far partire i “bisonti” tra i prati brulli della valle di Fassa. A soffrire fu anche la famosa Millegrobbe sull’altopiano di Asiago confinata su una striscia innevata di soli 9 chilometri, tra sassi e sterpaglie. 

Ma ancora più esorbitante apparve la decisione di fare disputare il 6 gennaio pur in mancanza di neve la Ciaspolada nella cornice della Val di Non. Gli organizzatori spararono decine di migliaia di metri cubi di neve per consentire agli atleti di zampettarvi sopra con le ciaspole o racchette che dir si voglia. E nacque un sospetto: che la montagna ancora una volta, per dirla con le parole dello scrittore Bepi Mazzotti, fosse stata presa in giro.

Roberto Serafin

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12 Gennaio 2023
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