Un viaggio tra i monti più suggestivi del mondo perchè ogni montagna ha le sue storie, ma alcune suscitano suggestioni e sentimenti più di altre. Questo è il nuovo “Atlante dei monti arcani” di Albano Marcarini che Serafin ci presenta.
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Le montagne più suggestive
Certo, è vero: i monti possono essere “arcani” nel senso che Leopardi volle dare alla parola. “Arcano”, sentenziò il poeta di Recanati, “è ciò che per la segretezza o il mistero in cui si avvolge è motivo di fascino o di attrazione”. È così che Albano Marcarini ha preso la palla al balzo creando con la sua fervida fantasia il nuovissimo “Atlante dei monti arcani”. Scritto, occorre precisare, con il medesimo linguaggio leggero dell’”Atlante inutile del mondo”, altra opera letteraria di cui è autore Marcarini, che in quel caso provvide a confezionare tavole cartografiche ad hoc e acquerelli, e un apparato d’appendice che diventava, come in questo caso, approfondimento e guida per raggiungere le mete.
Se l’”Atlante inutile del mondo” veniva definito dall’autore come “un repertorio cartografico di anomalie geo-politiche passate e presenti”, l’”Atlante dei Monti arcani” (Hoepli, 255 pagine in grande formato, 24,90 euro) è un volume dedicato alle montagne più suggestive, dall’Olimpo all’Ararat. L’elegante copertina è cartonata e un segnalibro rosso di tessuto aiuta a non perdere il segno in questo lieto girotondo alpestre.
L’idea dell’amico Marcarini è che si possano costruire itinerari ideali e viaggi anche solo con la mente. Si è messo perciò d’impegno sulla scia di Phileas Fogg, il protagonista del romanzo di Jules Verne “Il giro del mondo in 80 giorni” pubblicato nel 1873. Anche in questo caso ogni tappa del viaggio è corredata da una serie di mappe dei luoghi attraversati e da una scheda di approfondimento scientifico-letterario.

Marcarini, una sconfinata vocazione per la geografia
“Be’, anche questo libro è frutto della mia sconfinata vocazione per la geografia e ancor più per le carte geografiche”, spiega Marcarini, milanese, urbanista con passione per le strade e la bicicletta, collezionista di vecchie carte geografiche, disegnatore di mappe, curatore di guide e atlanti.
“Sono cresciuto a ‘pane, nutella e atlante’ e i risultati si vedono”, aggiunge. A scuola la mia prima poesia mandata a memoria fu l’Indice dei nomi dell’Atlante Geografico Baratta-Visintin De Agostini. A casa, da piccolo, rovinai irreparabilmente la collezione di carte del XVIII e del XIX secolo di mio padre perché con un pennarello nero pesante mi ero convinto che, senza autostrade e ferrovie, si dovessero aggiornare! E potrei continuare…”.
Non si nasconde Marcarini che da sempre la montagna suscita sensazioni enormi e a volte contrastanti: stupore, meraviglia, potenza, paura o aspirazione, sacralità e vicinanza a Dio, rispetto o conquista, ignoto. Quasi mai indifferenza. Alcune montagne sono circonfuse di un’aura ancora più elevata di quanto la loro altezza geografica riveli. Sono montagne sacre o mitiche o mitizzate o idealizzate. Non vi è regione del mondo che ne sia priva, non vi è popolo che non ne abbia una. E ognuna ha la sua vicenda, la sua narrazione: dimora degli Dei come l’Olimpo, poteri arcani come il Monte Calamita, meta di pellegrinaggio come il Monte Kailas, ultimo rifugio come il Monte Ararat, rivelazione come il Monte Sinai.
Sfogliando l'”Atlante dei Monti Arcani”
Prima di sfogliare l’atlante va letta con attenzione la guida alla consultazione. Raccomandazione importante, perché non è mai esistito un atlante dedicato ai monti arcani. Molto opportunamente il contenuto dell’Atlante, ovvero le sue 88 tavole, segue una progressione altimetrica: fino agli 8848 del Sagarmatha, meglio conosciuto come Monte Everest. Gli acquerelli realizzati dall’autore sono poi un simpatico corredo aggiuntivo nella parte “Approfondimenti e figure” posta in fondo al volume.
Particolare importante. È possibile che a una prima lettura si vadano a cercare cime note o addirittura salite. Per meglio identificarle, per saperne di più, per entrare nei meccanismi di Marcarini. Pronto a testimoniare che pure il GPS della sua bicicletta all’Elba ha perso la bussola nelle vicinanze del Monte Calamita di nome e di fatto.
Via via che si sale di quota, ecco comparire nell’Atlante il monte Masada (473 m) nei pressi del Mar Morto dove le reclute dell’esercito israeliano pronunciano fedeltà alla nazione, il Monte Novo che svetta a 133 metri su Pozzuoli, la Rocca di Cerbaia ben nota a Dante Alighieri e pressoché sconosciuta a noi comuni mortali, Hangig Rock (718 metri) in Australia che fornì lo spunto a Peter Weir per il film “Pic nic a Hanging Rock”, il Monte Porchiriano (962 m) in Piemonte, montagna sacra all’imbocco della Val di Susa dove sorge la Sacra di San Michele, la celebre Pietra di Bismantova (1047 metri) nell’Appennino reggiano che spicca come un tronco di quercia tagliato alla base.
Si potrebbe continuare, non senza segnalare – Marcarini mi perdonerà – una mancanza o che almeno tale mi sembra.

Riguarda il passo della Croce Arcana sul crinale dell’Appennino modenese, alla quota di 1669 m. Quassù da alcuni anni a questa parte i veicoli a motore si riversano senza alcun rispetto né dell’evidente cartello di divieto (che viene regolarmente divelto) e della sbarra (che per ovvie ragioni non è chiusa con lucchetto per permettere accesso ai mezzi di soccorso) né dell’ambiente, parcheggiando dove capita, recando con sé lettini, tavoli, sdraio e sedie per picnic a pochi metri dal monumento in memoria delle vittime della Seconda Guerra Mondiale. Arcane ma fino a un certo punto sono le ragioni di questa diffusa maleducazione. Brutta storia, e vabbè.
A voler cercare il pelo nell’uovo, di un’altra vetta avverto la mancanza nell’atlante. È il Monte Stella, la montagnetta di Milano, che cela nelle viscere le macerie dei bombardamenti del 1944 e oggi ospita il suggestivo Giardino dei Giusti con le relative pietre d’inciampo. Una vetta di poco più di cinquanta metri molto frequentata, dove ci si allena in salita e in discesa minacciati dai tanti cani che detestano quelli che corrono. Ricordo i Dodge alleati nel dopoguerra impiegati per scaricare detriti da cui emergeva di tutto, perfino bende, ingessature e chissà quali altri orrori di provenienza ospedaliera. I festival dell’Unità dilagavano in uno sventolio di bandiere rosse, e Tomba la bomba si cimentava con altri campioni sulla neve in parte artificiale in un applaudito slalom parallelo.
Come sostiene Marcarini, ogni montagna ha la sua vicenda, la sua narrazione, e questo nostro amato Monte Stella (da noi milanesi, intendo) di vicende da raccontare secondo me ne avrebbe a bizzeffe.
Roberto Serafin
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