Il dibattito che imperversa in questi giorni sui media, in merito all’opportunità di apertura degli impianti sciistici, manca sicuramente di approfondimento. Manca di tutte quelle riflessioni che da anni si fanno sull’errore strategico di puntare in maniera quasi esclusiva sull’industria dello sci. Manca della prospettiva che consente di vedere la montagna non solo come luogo (o non luogo) dei caroselli delle piste. Quello che ne esce è un beccarsi a vicenda utile a nessuno.
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Dibattito apertura impianti sciistici 2020: come i capponi di Renzo
Renzo va dall’Azzeccagarbugli e, per ripagarlo del servizio che gli chiederà, gli porta quattro capponi destinati a finir male. Quei polli sono compagni di sventura di Renzo, ma non trovano di meglio che beccarsi tra loro. Nel concitato preludio delle festività 2020, sullo sfondo delle località alpine, mentre il Covid ancora imperversa, di capponi che si beccano se ne incontrano qualcuno più dei quattro di cui racconta Alessandro Manzoni nel secondo capitolo dei Promessi Sposi.
Aprire o no per Natale le stazioni invernali e i relativi impianti di risalita e innevamento? L’argomento sta deflagrando con una miriade di dichiarazioni pro e contro, tenuto conto di uno spauracchio: con la prima ondata di coronavirus le località sciistiche austriache si erano rivelate perniciosi focolai che gli enti turistici hanno tenuto a lungo nascosti.
A Montecitorio continuano così a tenere banco le questioni relative all’apertura della stagione sciistica su cui l’Europa però, tanto per cambiare, è divisa. E intanto Alberto Tomba e, subito dopo, Federica Brignone si schierano a favore dell’apertura delle piste da sci e quindi contro la decisione del governo di bloccarle. Mentre di parere contrario si dice Reinhold Messner, in linea con quanto deciso dal premier Giuseppe Conte, ricordando a tutti che è errato o quantomeno parziale legare i destini della montagna al solo sciare.
Sci e Covid 19: si evidenziano problemi non nuovi
Tutti d’accordo allora su un aspetto, senza bisogno di beccarsi come i capponi di Renzo: il Coronavirus sta mettendo in evidenza le falle dell’attuale apparato economico alpino, costruito in larga parte attorno all’industria dello sci. Finalmente insomma ci si accorge che lo sci è una delle tante attività che si possono svolgere in montagna, ma non l’unica. Parere espresso, prima di Messner, anche dall’illuminato giornalista Paolo Mieli durante una trasmissione radiofonica e prima ancora dall’esperto Stefano Ardito nel suo sito.
Facile a dirsi, si dirà. Che cosa farsene allora delle 400 aziende funiviarie presenti in Italia con 1500 impianti di risalita serviti da circa 3.200 km di piste che per il 72% sono dotate di innevamento programmato? Come ridefinire il comparto montagna che nel solo arco alpino offre lavoro a oltre 120mila persone?
Un cambio di cultura per la montagna oltre lo sci
Che a dispetto del Covid 19 non sia ancora arrivata la fine dello sci lo aveva previsto in primavera Luigi Casanova, presidente onorario di Mountain Wilderness Italia. Lo si era capito in quei fine settimana dall’assalto frenetico alle piste, proprio ciò che il governo ora intende evitare. “La fine, o meglio il ridimensionamento dello sci”, aveva spiegato Casanova in un’intervista a MountCity, “arriverà solo attraverso un cambio di cultura, il maturare di un rispetto verso gli ambienti montani e la volontà di cercare e saper comprendere i tanti silenzi della montagna”.
La riflessione globale dei comprensori sciistici francesi
Su questa strada, la notizia è dell’ultima ora, sembra adesso che si stia avviando Mountain Wilderness Francia lanciando un accordo con Domaines Skiables de France (DSF), il sindacato dei gestori dei comprensori sciistici. “L’urgenza della situazione”, spiegano i cugini d’oltralpe, “richiede di lavorare insieme e in modo diverso per definire quali saranno le stazioni di domani e quali le dinamiche territoriali percorribili per renderle vivibili tutto l’anno”.
Via libera dunque in Francia a una riflessione globale comune che vedrà impegnati imprenditori, ambientalisti, pubblici amministratori e anche il mondo della scuola che nel dopoguerra lanciò le famose classes de neige. Con un precedente importante. A inizio di ottobre, Domaines Skiables de France (DSF) annunciò di aver stabilito 16 “impegni ecologici” per ridurre l’impatto ambientale delle attività dei comprensori. Un documento che non trova riscontro tra gli imprenditori italiani, a parte una “Carta di Cortina” elaborata in vista dei Giochi olimpici del 2026 e di cui si è già persa memoria.
Non più come grilli parlanti
Per concludere è un sogno, questo del dialogo in corso in Francia, cullato anche dagli ambientalisti italiani, stanchi di venire messi alla porta dagli imprenditori ed essere costretti a svolgere il ruolo di grilli parlanti secondo una beffarda definizione del presidente generale del Club Alpino Italiano. Che in tutto questo beccarsi a vicenda sembra ancora una volta brillare per un granitico immobilismo. (Serafin)
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