Quando si pongono le ragioni economiche sopra ogni cosa si va incontro a situazioni gravi come quella che si è verificata ad Ischgl in Austria. Purtroppo però anche sulle montagne Italiane la gestione dell’inaspettata emergenza sanitaria ha creato problemi: da una parte chi vuole comunque raggiungere la propria seconda casa rischiando di spargere il contagio e dall’altra chi dà seguito a sconcertanti cacce alle streghe. Per un quadro più completo sono molto interessanti da leggere i due contributi che Serafin cita nell’articolo: l’intervista a Paolo Cognetti e la lettera del medico di Borca di Cadore. Sono stati inseriti i link ai siti dei partner di FdM (Dislivelli e MountCity) dove potete leggere anche questi due contenuti.

Qui la puntata del podcast in cui ascoltare anche questa notizia

Forse la notizia, che è dilagata sui social, si saprà già, ma non è detto. E’ a Ischgl, in questa fabbrica austriaca del divertimento senza limiti di orario, detta anche la Ibiza austriaca, che il Coronavirus i primi di marzo ha sferrato l’attacco. Niente di strano. Ma la colpa di Ischgl è l’averlo nascosto per oltre una settimana, prima della quarantena ordinata dal governo federale, e ciò per evitare i contraccolpi sull’economia turistica della valle. Brutto, bruttissimo episodio che getta un’ombra in queste valli dove i maestri di sci austriaci hanno messo a punto negli anni cinquanta, quando si era appena usciti dalla guerra, la tecnica che ha rivoluzionato lo sci, la famosa tecnica dell’Arlberg che teorizzò il cristiania a cortoraggio con gli sci uniti, con quella posizione del corpo a virgola che appassionò Dino Buzzati fino al punto di indurlo a scrivere un elzeviro in proposito nella terza pagina del Corriere.

Nel frattempo il contagio da Ischgl è dilagato: dalla Danimarca, dalla lontana Islanda e soprattutto dalla Germania sono giunte segnalazioni di decine, forse centinaia di persone rimaste infettate mentre erano in vacanza in quel paradiso dello sci. Una volta tornate in patria, ignare di essere portatrici del virus, hanno diffuso il contagio tra i loro connazionali. 

Si parla poco sui media di montagna e coronavirus come nota un po’ dispiaciuto il sito Dislivelli affidando al bravo scrittore montanaro Paolo Cognetti il compito di farlo. Che sia per convenienza, per non turbare equilibri consolidati e diventati precari al tempo del coronavirus? Molte situazioni come questa, incredibile ed eticamente riprovevole, della località del Tirolo non corrispondono all’immagine della montagna virtuosa, di quella ideale montagna che unisce come recitava lo slogan del Cai in occasione del suo centocinquantennale. 

Si è visto come si comportano i cugini austriaci dei “nostri cugini” sudtirolesi. E pensare che noi li abbiamo sempre visti come i più verdi e più bravi in Europa! Come si legge nel sito di Repubblica di fronte all’irresponsabile inerzia delle autorità locali, il governo federale austriaco ha ordinato la quarantena e l’isolamento dell’intera Paznauntal (Ischgl, Kappl See, Galtür) e di St. Anton am Arlberg, e ha schierato l’esercito alle porte della valle. Insomma, ha chiouso la stalla dopo che i buoi erano scappati. Nessuno può uscire, nessuno può entrare. Soltanto ai turisti non austriaci è stato concesso il ritorno a casa con le dovute precauzioni.

cognetti2 Epidemia? Tutti zitti
Foto pubblicata da Dislivelli.eu nel del citato articolo con l’intervista a Paolo Cognetti.
In apertura: turisti in fuga a piedi da St. Anton, alla ricerca di un mezzo per raggiungere Innsbruck

Ma non è che nel Sud Tirolo si dormano sonni beati. Dopo l’ordinanza che intima ai non residenti di lasciare le seconde case, alcuni sindaci della provincia di Bolzano hanno spedito i vigili a controllare casa per casa. Una sorta di rastrellamento. E sono andati decisamente oltre in Alto Adige: sulle porte delle abitazioni, al posto delle stelle a sei punte sono comparsi cartelli intimidatori per invitare i non residenti a fare ritorno nelle proprie regioni d’origine. Anche i carabinieri del comando provinciale di Genova hanno avviato un’intensa attività di verifica con la collaborazione dei sindaci dei Comuni dell’entroterra. L’obiettivo è verificare la presenza di persone all’interno delle tante seconde case dei centri abitati che animano la Valle Scrivia, la Valle Stura, la Val Trebbia. E scoprire se chi è arrivato provenga da zone già considerate rosse prima dello stop agli spostamenti imposto dall’ultimo decreto, oppure da Piemonte, Lombardia o riviera genovese. 

Dovunque nevichi “griffato”, per dirla con Mauro Corona, i sindaci sembrano ignorare che gli oneri di urbanizzazione li hanno a suo tempo intascati, assecondando la devastazione urbanistica e paesaggistica che tutti ben conosciamo. Una settimana prima che le cose precipitassero, come nota Toni Farina, una colonna di Mountain Wilderness, i turisti erano oro. Cercati, blanditi, adescati. Catturati con lusinghe fatte di pendii di neve scintillante. Di polvere alzata da gioiosi e abbronzatissimi e giovani sciatori. Da piatti fumanti di concia polenta, innaffiata da Donnas rigorosamente doc. Pensiero indotto, osserva Farina, anche dall’appello apparso su La Repubblica: “Il Presidente della Regione Valle d’Aosta Renzo Testolin ha emanato un’ordinanza che vieta l’ingresso in Valle d’Aosta ai non residenti e invita quelli presenti a rientrare a casa”. Nell’articolo si descriveva il “disappunto” con cui sono stati accolti i proprietari di seconde case in quel di Courmayeur e altrove.”Ci infettate, tornatevene a Milano”, era la frase più carina che si ascoltava a Courmyeur, la Courma tanto amata proprio dai milanesi.

Con i sindaci si sono schierati nel Trentino e in Alto Adige i governatori che ripetutamente hanno lanciato messaggi contro i proprietari di seconde case invitati a sloggiare. “E dire che fintanto c’era da incassare soldi, Kompatscer e Fugatti invitavano a venire sulle Dolomiti in quanto ‘territori della salute’”, osserva Luigi Casanova, presidente onorario di Mountain Wilderness. “Ora respingono chi cerca salute. Ipocrisia totale”.

“L’ospitalità della nostra montagna è calibrata per il turismo non certo per un’emergenza sanitaria”, osserva quasi giustificandosi Enzo Bozza, medico di base di Borca di Cadore in una lettera al Gazzettino di Belluno. “Una cosa è accogliere e rifocillare turisti, altro è accogliere e curare malati”. Sarebbe una buona ragione per far sloggiare i turisti di troppo. Senonché la sanità della Regione Veneto in quelle valli lascia a desiderare anche in tempi normali. Provate a rompervi un dito mignolo scivolando su un sentiero d’estate. All’Ospedale di Pieve di Cadore al massimo vi mettono una stecca invitandovi, in mancanza di ortopedico, a recarvi a Bressanone. Inconcepibile. Ma così vanno le cose mentre si progettano con i soldi dei contribuenti milionari caroselli sciistici con annessi impianti di innevamento artificiale in vista delle prossime Olimpiadi.

19 Marzo 2020
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MountCity

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