Che cosa è rimasto dell’ondata pacifista che all’inizio del millennio riempì le cime di bandiere per la pace. Fu così che le vette, comprese quelle degli ottomila, divennero pulpiti da cui manifestare il proprio dissenso verso la più atroce di tutte le ingiustizie: la guerra. Ed è giusto che si sia manifestato e manifestare il proprio dissenso alla guerra. Oggi poniamo però la questione: forse un’educazione alla pace continua a servire quotidianamente, al di là delle cime, partendo dalle relazioni umane e dall’atteggiamento verso l’ambiente.

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Educare alla pace e mai disperare

Educare alla pace è uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. L’Agenda, è bene ricordarlo, ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile. Prevista un’azione a vari livelli volta a uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla valorizzazione delle diversità culturali. Fatica sprecata, pia illusione? La parola pace oggi è fuori dai nostri radar. Coinvolse invece, una ventina abbondante d’anni fa, molti di noi fatti di montagna la campagna “Cime di pace”.

Certo, il mondo si sta scavando la fossa, ma mai disperare. Mentre in piazza dell’Esquilino a Roma arrivava in novembre la notizia di nuovi massicci bombardamenti su Gaza, migliaia si erano dati appuntamento per chiedere il cessate il fuoco immediato. Niente bandiere di partito, solo quelle arcobaleno. 

Mai disperare, ripeto. Il movimento pacifista prova qua e là a rialzare la testa. Furono almeno in dieci mila nel 2022 a prendere parte a Milano a una delle manifestazioni in solidarietà al popolo ucraino. Per l’occasione l’Arco della Pace fu illuminato di azzurro e di giallo, i colori dell’Ucraina, e la piazza era gremita di gente.

Che fine hanno fatto le “Cime di pace” e tutte le altre iniziative?

Un sia pur cauto ottimismo andrebbe sempre riservato alle iniziative pacifiste promosse in tutto il pianeta. Albert Einstein sostenne che “il mondo è un posto pericoloso, non a causa di quelli che compiono azioni malvage, ma per quelli che osservano senza fare nulla”. 

C’è da chiedersi piuttosto che fine abbiano fatto le bandiere delle “Cime di pace” che sventolavano sulle vette quando all’inizio di questo tribolato millennio venne annunciata una “guerra duratura” contro gli stati canaglia. 

Due forse le spiegazioni sul dimenticatoio in cui sono finite. La prima potrebbe riguardare l’impossibilità di contrastare in modo pacifico un delirio che sembra avere contagiato il mondo, dal Medio Oriente all’Ucraina. La seconda potrebbe essere il declino di quello che un tempo veniva chiamato “sentimento della vetta” all’insegna di un esibito buonismo. 

La scritta “Grazie Dio” vergata con il pennarello su una striscia di tela bianca e portata in vetta all’Everest; se ricordo bene, illustri alpinisti si fecero fotografare in vetta a un ottomila stringendo tra le mani dei foulard con il termine inglese “Peace” in modo che tutto il mondo capisse, ovvero furono immortalati con la bandiera bianca e rossa di Emergency: iniziative che non ebbero un seguito a differenza dei conflitti che dilagarono. 

Nuovi sentieri vennero dedicati al beato Frassati in un tripudio di bandiere della pace che tu, caro Luca, sei troppo giovane per ricordare.

Il 18 maggio del 2004 si celebrò la prima giornata italiana della Cima per la Pace. “Abbiamo scelto le cime e non le piazze”, si sentì dire, ‘per non contagiare’ il Cai con la politica. La montagna, da sempre luogo di introspezione e di spiritualità, può aiutarci meglio del Cai a trovare l’unione e la fratellanza”. Insomma quell’arcobaleno delle bandiere della pace in montagna anziché unificare sembrò dividere il Club alpino.

Forse la pace non si fa mettendosi in mostra…

Devo ammettere però, e credo di non essere il solo, che questa idea di chiamare in causa le cime in periodi di emergenza un po’ mi imbarazza. Anche se ciascuno è libero di fare della vetta un pulpito da cui manifestare il proprio dissenso verso la più atroce di tutte le ingiustizie: la guerra.

Roberto Serafin

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21 Dicembre 2023
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