Nella tredicesima tappa del nostro viaggio nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi con Marco Triches ci dirigiamo al Bus de le Neole. Con alcuni pensieri per la testa però: che ha a che fare il nostro andare in montagna con la società di cui pure facciamo parte?

Ascolta qui il racconto di Marco

Portare la società dentro la montagna. Che senso ha andare in montagna?

Una motovedetta libica spara e sperona un barcone di migranti. Alla vista della guardia costiera, un’altra imbarcazione si rovescia qualche giorno prima. Ci sono vittime. Questi i casi di cui ci giunge notizia, per tutti gli altri episodi c’è solo il mare e il silenzio.

In quanto a brutte notizie il periodo ci assiste: le fotografie in bianco e nero dei bambini indigeni spariti in Canada, l’avanzata dei talebani in Afghanistan, le ondate di calore, il lavoro minorile nelle miniere dell’Africa, gli incendi, i pestaggi nelle carceri italiane (nulla di nuovo, è solo che con un video il fatto è sotto il sole). Cito a memoria, poi ognuno ha il fatto che lo impressiona di più, in base alla propria sensibilità.

Posto tutto questo, che senso ha andare in montagna? Cioè: nel momento in cui fatico e scalpito su un sentiero, e devo mantenere la calma e la determinazione per proseguire, se mi distraggo e penso a questi fatti, cosa faccio? Che senso può avere la mia fatica (salvo i presupposti sportivi, della vacanza o dell’esplorazione fine a sé stessa!) visto che pure io, anche se in questo caso un po’ me ne allontano, faccio parte di questa stessa società?

Taglio tra i mughi, sentiero nel gruppo del Piz di Mezodì
Taglio tra i mughi, sentiero nel gruppo del Piz di Mezodì
In apertura: Piz de Mezodì nel Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, giugno 2021

È  vero che normalmente io mi rivolgo alla montagna proprio per fuggire dal caos della vita; e quindi che motivo c’è di parlare delle tragedie del mondo quando sono su uno qualunque degli innumerevoli sentieri CAI del nostro (o di qualche altro) Paese? L’eco si spande tra le valli e le rupi.

Credo che il motivo sia perché la montagna si merita (ma è una persona?) molto di più che ospitare i nostri spiriti ardenti, le idilliache passeggiate, o la gloria delle alte cime conquistate, e basta!

La montagna, come le pianure, i colli, i fiumi e i mari, è nel mondo. Ha il vantaggio fondamentale di essere un po’ più ostica, e quindi di concedere spazio, in genere, in prevalenza ad anime belle. E se anche uno non possiede un’anima di questa risma, comunque è invitato a salutare sui sentieri (cosa che succede di rado nei percorsi natura in tutti gli altri ambienti, dove prevale l’ostilità del “che ci fai tu qui?”)

Facciamo fatica a contemplare che la nostra idea più originale, quella per la quale spendiamo molto del nostro spirito, non solo l’abbiano già avuta prima di noi, ma che ci sono diverse persone, in questo stesso istante, che la stanno avendo, e magari migliore della nostra!

La montagna si muove, è soggetta al cambiamento climatico, e soprattutto ospita la vita: flora, fauna e uomini. Come una qualunque città: ci sono abitanti che per vivere e lavorare danneggiano l’ambiente e i simili, altri che tentano di sopravvivere, gruppi di buisinessman che alzano il tiro, viabilità, macchine, merci, litigi.

Lo spopolamento come la migrazione clandestina

Prendiamo per esempio il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, e territori limitrofi. I centri abitati che circondano quelle montagne soffrono da tempo del tipico problema dello spopolamento delle aree montuose classificate di serie B. Sempre più paesaggio antropico (inclusi i sentieri e le belle radure) viene inghiottito dalla avanzata del bosco (in particolar modo dal suo pioniere: il nocciolo). La storia si perde!

Il sentiero di origine militare ora itinerario tematico “La montagna dimenticata”
Il sentiero di origine militare ora itinerario tematico “La montagna dimenticata”

Chi rimane nel territorio si accanisce per ottenere i permessi per tagliare i boschi, oppure per eliminare i lupi (che danneggiano il bestiame, specie i piccoli allevamenti), per favorire iniziative economiche che possano “rialzare il territorio”, mettendo mano ai divieti del Parco. Ci vorrebbero autostrade, trasporti efficaci, piste da sci, maggior afflusso di turisti. Questo è quello che vantano i centri di serie A della catena alpina, perché non fare lo stesso anche qui? 

Tralasciando le ragioni naturali (e quindi incontestabili) del ritorno (autonomo) del lupo, della necessità di habitat (tra cui quelli boschivi), della riduzione dei consumi, della sostenibilità, ecc…, per ritornare al nostro punto di partenza, vorrei porre l’attenzione su un punto.  

Quello che in Provincia di Belluno (e altrove) si chiama spopolamento, in altre latitudini è brutta, sporca, cattiva migrazione clandestina (ricordo un bel coro “torinese”: “Permesso di soggiorno / Carta d’identità / La carta è solo carta / La carta brucerà!”) 

Questo fenomeno sociale è della stessa pasta, che sia Africa o Dolomiti. Quello che fa la differenza sono soltanto i soldi, ossia l’ultima cosa a cui vorremmo dare valore quando andiamo, pieni di buona volontà e spirito armonioso, sulle nostre cime. Siamo gli stessi: occorre dare valore agli uomini, alla Terra, alla montagna su cui saliamo. 

Escursione al Bus de le Neole: non ridurre la montagna a un percorso di salita

Per questo motivo, per cercare di non ridurre la montagna a un percorso di salita da un punto A ad un punto B, ho deciso in questo caso di ricopiare a mano la carta dell’itinerario di oggi: quello diretto al Bus de le Neole, nel gruppo del Piz de Mezodì, Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi.

Carta del percorso per il Bus de le Neole

L’obiettivo di questa carta artigianale (lungi dal voler guidare qualcuno in quei posti, le curve sono fatte visibilmente a occhio) è quello di rappresentare la storiografia del posto. Quelle che io stesso definisco “erroneamente” le varianti (tracciate in blu), coniando dal lessico escursionistico, sono in realtà percorsi a sé stanti, che conducono a mete ben definite.

Cito ad esempio da “Monti del Sole e Piz de Mezodì”, Antologia a cura di Pietro Sommavilla e Luca Celi.

“Senza abbassarsi, si svolta a destra incontrando i miseri ruderi della Casèra Vècia 1240 m, presso un colossale abete schiantato tra i faggi (il luogo è suggestivo e spettrale)”.

“In alto si prende un buon sentiero, con pendenza moderata e svolte tra i faggi (caratteristico masso erratico 930 m c.) si raggiunge il bivio 960 m c., poco evidente, per Le Pale. Qui si abbandona la mulattiera militare e si sale in breve a destra per un costone di faggi e abeti ai ruderi della Casèra de le Pale 980 m c.”

Forzèla de l’Òm 1822 m: alto valico tra l’alta Val del Colàz e la testata della Val Carbonère. Il toponimo origina da un caratteristico e affilato gendarme sulla cresta tra la forcella e il Piz de l’ Òm”.

La nostra escursione a questo punto diventa una specie di archeologia: quale storia inseguire, quale destinazione scegliere, quale antico sentiero? Occorre una scelta, prendere una direzione, ma tenendo ben presente che la realtà è complessa, la varietà storica è ricchissima, piena di variabili e contraddizioni. Come tutto il resto del mondo.

Che sia questo il nostro esercizio per portare la società dentro la montagna? 

Sentiero per il Bus de le Neole

La partenza al Pont dei Castei, quota 527 m, nel punto più stretto del Canale d’Agordo, tra gole, torrioni e frane scavati da camminamenti, bunker, forti e piazzole per l’artiglieria (della Grande Guerra e della Seconda) consente al viaggiatore di immergersi nel frastuono del torrente Cordevole che rimbomba tra le rupi.

Dopo le prime rampe il sentiero, di origine militare, si trasforma in un lungo e articolato serpentone che attraversa tre gallerie (in cui quasi si sprofonda tra le ghiaie e i sassi) e supera le bancate verticali di Dolomia nei soli punti accessibili. Si tratta in questo caso di un eloquente punto di incontro tra ingegneria umana e concessioni della natura, per cui la mulattiera (per sua norma) rimane sempre a pendenza costante seppur in un ambiente ameno.

Lungo la mulattiera militare poco sopra il Pont dei Castei
Lungo la mulattiera militare poco sopra il Pont dei Castei

Aggirati i versanti della bassa Val Carbonère, cominciano i boschi di abete rosso e soprattutto faggio. Il faggio da questo punto in avanti, almeno fino ai dintorni del Ricovero Forestale Mandre, rappresenta un importante segnale storico e ambientale: i monti, che prima di questo punto (e più a Sud) sono impervi e favoriscono vegetazione rada e rupicola (pini, mughi,…) qui cambiano fisionomia. Si alternano pianori e pendii più docili, ampi spazi, cambia la geologia, e aumentano i boschi “più propriamente detti”: le faggete, territori di boscaioli e cedui.

A quota 1050 m si attraversa il “pianoro brutto” del Pianáz:

vasto ripiano, invaso dalla vegetazione; ruderi, tettoia, particolarmente notevole un faggio con quattro tronchi” (da “Monti del Sole e Piz de Mezodì”, Antologia a cura di Pietro Sommavilla e Luca Celi) 

con resti di un’intensa attività di estrazione di materiali dalla montagna.  

Il Pianaz, quota 1050 m con il caratteristico faggio a 4 quattro tronchi
Il Pianaz, quota 1050 m con il caratteristico faggio a 4 quattro tronchi

Il sentiero prosegue con lo stesso andamento fin qui conosciuto, con una sorta di inquieta monotonia tra gli alberi, fino a raggiungere Le Mandre, quota 1373 m, il ricovero forestale dotato di 2 posti letto attrezzati e altri 4 ricavabili su soppalco, con camino e tavolo al pian terreno.

Il ricovero forestale Le Mandre, quota 1373 m - bus de le neole
Il ricovero forestale Le Mandre, quota 1373 m

Anche in questo caso ci troviamo su un pianoro circondato da abeti e faggi, da dove dipartono due tracce verso Sud, per Costede Bass e il Bus de le Neole, una a Ovest per la Val de Zenìch e una a Nord (quella del nostro ritorno) diretta alle Miniere di Valle Imperina.

Il tratto che ci separa dalla meta di giornata (ossia il il Bus de le Neole) risulta accidentato: uno stretto sentiero, spesso e volentieri obliquo e immerso nella vegetazione (sono soprattutto i rami degli alberi schiantati a dare problemi) regala la costante sensazione di essere completamente soli, almeno da qualche tempo a questa parte. Questo presagio termina con l’intersezione del sentiero CAI 874 presso il Pizòn de Costede, quota 1548 m, dove riemergono dal bosco delle tracce, e una segnaletica, più certi! A volte incontrare qualcosa di ufficiale è di sollievo!

Bivio con il sentiero CAI 874 da Valchesina per il Bus de le Neole
Bivio con il sentiero CAI 874 da Valchesina per il Bus de le Neole

Il tratto finale del percorso coincide con la parte terminale della Val Fresca, ovvero dove origina, e in giugno inoltrato, in alcune zone d’ombra, permangono alcuni piccoli nevai nei canaloni e slavine insidiose.

Nella testata di una valle, quando i due versanti si avvicinano, e c’è solo il corto e quasi pianeggiante vallone a dividerli, si ha quasi l’impressione di veder sbucare qualcuno, dall’altra parte, tra i larici solitari che crescono di là.

La testata della Val Fresca con i larici solitari - bus de le neole
La testata della Val Fresca con i larici solitari

Tra i mughi, seminascosto, appena sopra il sentiero che prosegue tra le rocce verso il Piz de Mezodì, da una parte, e la Val Pegolèra dall’altra, ci si può quasi affacciare (meglio farlo poco), per osservare, dall’alto, il Bus de le Neole.

Il Bus de le Neole da vicino 1 Al Bus de le Neole riflettendo su montagna e società
Il Bus de le Neole da vicino

È chiamato Bus de le Neole, (Buco delle  Nuvole) perché, specie dopo le piogge, è facile vedere nebbia e vapori, che dalla Val Pegolèra sbucano alla forcella attraverso il foro.” (Castiglioni)

Le dimensioni del fenomeno, originato verosimilmente da crolli successivi su frattura carsica preesistente, sono invero colossali: quota del foro d’uscita superiore 1780 m c.; diametro c. 20 m; quota del pianoro presso la parete basale interna 1650 m c.”  Monti del Sole e Piz de Mezodì”, Antologia a cura di Pietro Sommavilla e Luca Celi.

Il Bus de le Neole e il Piz de Mèz visti dalle pendici del Piz de Mezodì
Il Bus de le Neole e il Piz de Mèz visti dalle pendici del Piz de Mezodì

Portare la montagna dentro la società: come formiche d’alta quota

Mentre sono tutto concentrato a osservare il buco, sdraiato per terra, con i piedi intrecciati ai rami dei mughi, nella forte impressione che produce il vuoto tra le rocce e il vento, preso da uno di quei sentimenti grandiosi che ci colgono sulle cime, mi accorgo quasi di sfuggita di un enorme formicaio nelle vicinanze.

Le formiche! Una delle cose più comuni e quotidiane. Cosa c’entrano ora le formiche? 

È sulla via del rientro che mi chiedo come potremmo, già da domani, portare la montagna dentro la società, aver cura di ogni cosa, pure dei marciapiedi, come se fossimo formiche d’alta quota. 

19 Luglio 2021
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RUBRICA A CURA DI:
Marco Triches

Mi piace gironzolare, sono una guida ambientale escursionistica e scrivo. La mia terra natale è Belluno, una terra misteriosa, angusta e selvaggia. Per questo motivo, sogno di accompagnare le persone in quei posti.

 

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