Le estati (e non solo) alpine sono sempre più caratterizzate da crolli oltre che da eventi disastrosi come le colate detritiche a seguito di intense precipitazioni. Così è stato anche quest’anno. Per quanto riguarda le frane di alta quota (non tutte, ma molte delle quali sono causate dalla fusione del permafrost) c’è un portale del CNR che le registra: il Catasto delle frane di alta quota nelle Alpi Italiane che è ora stato con i dati fino al 2022.

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Anticicloni e disastri africani

Cara estate quanto mi sei costata. Siamo in tanti a dirlo aprendo desolati il portafogli. Secondo fonti nazionali e internazionali, quella del 2023 in media è costata a una famiglia 800 euro in più dell’anno scorso. Ma ancora più desolante è il prezzo pagato dalle nostre amate montagne che gli anticicloni africani hanno fatto qua e là cadere come birilli. E non è che nelle aree africane non i siano verificati disastri e eventi avversi.

Basta pensare alla Libia invasa dalle acque come era successo in Romagna. Mentre un terremoto devastante ha provocato in settembre quasi tremila vittime in Marocco, con l’epicentro nelle meravigliose montagne dell’Alto Atlante sulle quali svetta a quattromila metri il maestoso Toubkal

Aggiornato il Catasto delle frane di alta quota nelle Alpi Italiane

Piange il cuore enumerare uno per uno questi crolli, ma a dire le cose senza reticenza provvede il Catasto delle frane di alta quota nelle Alpi italiane a cura di GeoClimAlp, Gruppo del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il documento proposto sul web è aggiornato rispetto alla prima versione pubblicata a luglio 2021 con dati del periodo 2000-2020. 

Il catasto contiene informazioni relative a 772 processi di instabilità naturale (frane, colate detritiche, instabilità glaciale), avvenuti nelle Alpi italiane ad una quota superiore ai 1500 metri durante il periodo 2000-2022. È vero, mancano ancora i dati sulla torrida estate del 2023 quando è stato registrato un nuovo record di zero termico a 5.328 metri. Occorre dunque che io mi arrangi con una rilettura dei media più informati.

Screenshot 2023 09 20 alle 10.30.28 Aggiornato il Catasto delle frane di alta quota nelle Alpi Italiane del CNR

Alcune frane recenti nelle Alpi orientali

Per cominciare, di frane e crolli sono state testimoni le Dolomiti e, per non essere da meno, anche le Piccole Dolomiti. Dove risale al giugno scorso il crollo dell’Omo. Una serie di crolli ha riguardato, proprio mentre l’anticiclone africano imperversava il 29 agosto, il Teston della Schiara nel Bellunese con notevole distacco di roccia: un crollo che ha interessato le ferrate sottostanti. 

Frane e cadute di sassi sulle pareti delle Dolomiti hanno più volte rialzato l’allarme per la sicurezza in alta quota e sul futuro delle montagne. È successo al Sass Rigais sulle Odle e sulla Punta delle Cinque Dita, nel gruppo del Sassolungo. Il bravo presidente dell’Alpenverein Südtirol Georg Simeoni ha avvertito che in montagna “non si dovrebbero costruire nuove infrastrutture” chiedendo “di rinunciare alla costruzione della nuova cabinovia per la Forcella del Sassolungo, evitando così ulteriori smantellamenti di roccia a dimostrazione delle fragilità della montagna”.

Ma basterà l’invito di Simeoni a comportamenti più in sintonia con la crisi climatica? Verso la metà di settembre un altro crollo di roccia si è intanto verificato alle Punte di Campiglio, in zona cima Tosa, nel Gruppo delle Dolomiti di Brenta occidentale

Per restare tra i Monti Pallidi, una frana di sassi si è staccata dal Sassolungo, in val Gardena. Non c’è stata pace nemmeno a Taibon Agordino dove una frana si è staccata dalle creste sul Castello Busazza, scendendo per 500 metri, con un fronte di una cinquantina, fino alla base della Torre Trieste, dove si è accumulata in un canalone. Alcuni sassi sono arrivati fino al tornante della strada che porta al Rifugio Vazzoler

Alcuni degli ultimi crolli e colate detritiche nelle Alpi centro-occidentali

Situazione delicata anche sulle Alpi occidentali. Una frana si è registrata in zona Monte Rosa staccatasi dalle Torri di Castelfranco, ai margini della parete Est del Rosa sino alla morena del Ghiacciaio del Belvedere. Un’altra frana si è verificata il 10 settembre sul versante italiano del Cervino (4.478 metri), lungo la parete sud. Scontata la decisione delle guide alpine del Cervino di sospendere le salite alla vetta. 

Frane anche sul Monviso, il re di pietra. L’8 settembre distacchi di materiale si sono registrati nella parte più alta, oltre i 3500 metri di altitudine. Lo sgretolarsi delle montagne piemontesi ha creato diverse situazioni di disagio per i turisti bloccando il passaggio di un sentiero sterrato che attraversa una zona turistico-naturalistica vicine a diverse aree camping della valle Argentera a Sauze di Cesana

Ma più di tutte si è rivelata disastrosa la colata detritica che si è riversata su Bardonecchia nel ponte di Ferragosto, con le pale in azione per sgomberare le vie del paese e il letto del Rio Merdovine dai detriti trascinati dall’ondata di fango.

A rischio per concludere anche i rifugi alpini a causa del caldo. Il Cai Torino ha segnalato la chiusura della Capanna Quintino Sella sul Monte Bianco per un sospetto cedimento strutturale. Dopo il crollo del Bivacco Alberico-Borgna al Col de la Fourche sulla cresta Sud-Est del Mont Maudit, stessa sorte è toccata al Bivacco Meneghello, di proprietà del Cai Vicenza, situato nel tratto di cresta fra la Punta Cadini (m.3524) ed il S. Matteo (m.3678) in Valfurva.

In alta quota il pericolo maggiore è la fusione del permafrost

Tornando al Catasto delle frane, fra le tipologie di processi più frequenti si segnalano 279 crolli di roccia, pari al 36% del totale e 191 colate detritico-torrentizie, pari al 25 % del totale dei processi censiti. Le regioni maggiormente colpite risultano la Valle d’Aosta (311 processi, pari al 40,3 % del totale), la Lombardia (147 processi, pari al 19,1 % del totale) e il Piemonte (126 processi, pari al 16,3 % del totale), seguito a breve distanza dal Trentino Alto Adige con 121 processi, pari al 15,7 % del totale. 

Come difendersi dalle frane, ci si chiederà. Già, gli interventi di bonifica del versante franoso incidono soprattutto sul regime delle acque sia di superficie sia di sottosuolo. E la copertura vegetale rappresenta un elemento di stabilità. Ma nella Val Pola in Alta Valtellina, non è bastata la rigogliosa foresta a evitare una catastrofe nel 1987. Ma in alta quota è, ripeto, il malaugurato permafrost, lo strato di ghiaccio che si nasconde sotto terra, a rappresentare la maggiore incognita quando il termometro sale.

Roberto Serafin

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21 Settembre 2023
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