La ricorrenza del 25 Aprile è stata anche un’occasione per riaccendere una luce su evento di cui si è forse persa troppo la memoria: la nascita della Carta di Chivasso delle popolazioni alpine. Un documento di immenso valore che auspicava un’Italia libera e rispettosa delle minoranze

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25 aprile e 80 anni delle Carta di Chivasso

A qualcuno non sarà sfuggito che, a ottant’anni dall’inizio della lotta di Liberazione dal nazifascismo (1943-2023), la Fondazione Nuto Revelli ha celebrato la ricorrenza del 25 aprile con una serie di appuntamenti tra Paraloup, Rittana e Cuneo dove ebbe inizio la Resistenza italiana. Impossibile è stato secondo il politologo Marco Revelli, figlio dello scrittore Nuto, considerarlo un 25 Aprile come gli altri. “Perché”, ha spiegato, “per la prima volta nella storia della Repubblica abbiamo un governo i cui membri non riescono a pronunciare la parola antifascista, che costituisce la prima radice della nostra Costituzione. Perché continuiamo a vivere l’orrore di una guerra disumana che sta portando il mondo sull’orlo dell’abisso”. 

Non so se questa mia rubrica sia la sede più adatta per affrontare l’argomento, ma il 25 Aprile è stata anche quest’anno un’occasione per sollevare il sipario su un evento di cui si è forse persa la memoria: la nascita ottant’anni fa della Carta di Chivasso delle popolazioni alpine

Chi ora ha la pazienza di seguirmi sappia dunque che correva l’anno 1943. Gli anglo americani erano da cinque mesi sbarcati in Sicilia e l’8 settembre Badoglio aveva annunciato la firma dell’armistizio. Ma come è ben noto la guerra continuava a dividere gli italiani, a creare sofferenze inaudite. Chivasso era occupata dai tedeschi e dalle milizie fasciste. Mussolini nella cittadina era stato posto da poco sugli altari come cittadino onorario. Un’onorificenza di cui si è poi persa la memoria finché il suo nome non è stato cancellato, meglio tardi che mai, dai pubblici registri.

Targa carta di Chivasso 1943-2023: resistenza e Carta di Chivasso
Targa commemorativa del 60° anniversario

In dicembre il convegno clandestino della Carta di Chivasso

Fu in quel 1943, nel mese di dicembre, che nella cittadina piemontese una Dichiarazione detta anche Carta con la C maiuscola venne firmata da alcuni che si qualificarono rappresentanti delle popolazioni alpine. Senza clamori perché la guerra continuava ed era meglio non svegliare il can che dorme. Ma con la ferma volontà di lasciare il segno. Infatti l’incontro per la stesura della Carta (con la C maiuscola mi raccomando!) si svolse durante un convegno clandestino organizzato da esponenti della Resistenza

Nel documento si postulava per l’Italia finalmente liberata uno scenario da considerare per l’epoca rivoluzionario, ovvero la trasformazione della futura repubblica in un sistema politico federale su base regionale e cantonale. Insomma la Carta di Chivasso sapeva guardare avanti elaborando in poche righe i concetti di autonomie politiche ed amministrative, ma anche culturali, scolastiche, economiche. Fu in questo quadro che si inserì l’esigenza di affrontare i temi concernenti la specificità e la rilevanza delle aree montane nel contesto europeo

Si diede per scontato che tali zone, la cui estensione arriva a coprire il 38,8% della superficie totale dell’Unione Europea, possiedono caratteristiche tali da renderle assai diverse dagli altri ambiti territoriali. La Carta di Chivasso prefigurò addirittura una regione alpina aperta con una serena convivenza sotto ogni bandiera.

Fu così che in un alloggio nell’attuale Piazza d’Armi di Chivasso, il gruppo di rappresentanti della Resistenza Valdostana e delle valli valdesi, quasi tutti vicini al movimento Giustizia e Libertà, si riunirono per mettere a fuoco un’Italia libera e rispettosa delle minoranze

All’adunata clandestina parteciparono personalità della Resistenza come Emile Chanoux, Ernesto Page, Giorgio Peyronel, Osvaldo Coisson, Gustavo Malan e Mario Alberto Collier. La riunione fu ospitata nella casa di proprietà di Augusto Matteoda, vice presidente del Comitato di Liberazione Nazionale (CNL) di Chivasso, il cui merito fu di vigilare coraggiosamente per evitare le attenzioni poco gradevoli dei militari del presidio fascista presso la vicina Caserma Giordana.

Matteoda e De Martin 1943-2023: resistenza e Carta di Chivasso
Matteoda e De Martin

La Carta di Chivasso era proiettata nel futuro e conserva un immenso valore

A quanto si legge nelle memorie di Matteoda, il convegno godette dei contributi dello storico e alpinista Federico Chabod al quale è dedicato un rifugio nel Parco del Gran Paradiso, impossibilitato tuttavia a partecipare. Il simposio andò avanti nel corso di tutto il 19 dicembre del ’43. Alla fine sortì un documento stringato di appena 339 parole.

Personalmente oggi mi colpisce, a quanto leggo sul web, la serenità e la foducia mostrata da questi montanari reduci da anni di angherie e sacrifici. Nessuno manifestò dubbi o incertezze. Tutti si dissero convinti che poteva ancora esistere un futuro senza rancori e volontà di rivalsa. 

Venendo a epoche più recenti, ricordo che Roberto De Martin, Presidente generale del Cai, volle insignire negli anni ottanta Matteoda con una piccola onorificenza, una medaglietta che il presidente stesso gli appuntò sul bavero tra gli applausi dei consiglieri durante una breve e suggestiva cerimonia presso la Sede centrale del Cai. Io stesso provvidi al servizio fotografico con la mia fida reflex e conservo gelosamente l’immagine dell’amico De Martin e Matteoda che ora appare in questo sito.

“Non potrò mai dimenticare l’entusiasmo”, ricorda De Martin, “con cui Augusto, socio novantenne del Club Alpino Italiano, corse ad abbracciarmi quando parlai della Carta nella sua Chivasso in occasione di un convegno delle sezioni liguri, piemontesi e valdostane”. 

“Anche nel redigere la dichiarazione ‘Popolazione e cultura’ della Convenzione delle Alpi, ricorda ancora De Martin, “ la ‘Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine’ (così recitava l’intestazione della Carta di Chivasso) ebbe un posto di rilievo”.

La filosofia e il contenuto del documento, ebbe a sua volta a dire Annibale Salsa, altro past presidente del Cai, sono ispirati da un’antropologia della diversità che si rivolge a tutte le comunità culturali delle Alpi, soprattutto a quelle più fragili e più deboli, più bisognose di attenzione e rispetto. 

Nel nuovo scenario che ottant’anni fa si annunciava, l’aspirazione all’’unità nella diversità si tradusse in una nuova scala di valori etico-culturali, dove lo spazio sociale alpino avrebbe acquistato un proprio ruolo non più subalterno. E ce n’è abbastanza, credo, per ritenere che in questo sciagurato 2023 la Carta di Chivasso conservi un grande, immenso valore. Così mi illudo anzi ne sono certo che di questa Carta (con la C maiuscola) in questo 2023 avremo tutto il tempo di riparlare, vero Luca?

Roberto Serafin

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27 Aprile 2023
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