Nella rassegna settimanale di notizie dalla montagna Serafin ci riporta l’approvazione da parte della Provincia di Trento della legge che vieta di lasciare i cani alla catena. Serafin ci parla poi dei rischi sanitari e ambientali connessi alle scioline in uso nel fondo e infine del libro “Don Claudio e la luna”
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Mai più cani legati alla catena. Era ora!

Al pari di te, caro Luca, mi piacciono i cani anche se vivendo in città evito di possederne. Avrà fatto anche a te piacere leggere che questi amici non si possono più tenere alla catena. Una barbara pratica molto diffusa, soprattutto nelle zone rurali e di montagna, che la Provincia di Trento ha deciso di mettere al bando. Mi stupisco che solo ora ciò avvenga.
Da anni che io sappia la associazioni animaliste denunciano i casi di cani tenuti alla catena, spesso cortissima e in condizioni penose. Mia madre da brava cinofila dava in smanie se le capitava di imbattersi in una di queste povere bestie e se la prendeva aspramente con i padroni se le capitavano a tiro. Ora un disegno di legge in proposito, a quanto si apprende dal quotidiano L’Adige (dalle cui pagine proviene la commovente foto pubblicata nel nostro sito) è stato presentato dall’assessora alla Salute Stefania Segnana e approvato all’unanimità dalla giunta provinciale.
Il testo prevede che al responsabile della detenzione di un animale d’affezione sia vietato l’utilizzo della catena o di qualunque altro strumento di contenzione similare “salvo che per ragioni sanitarie, documentabili e certificate dal veterinario curante, o per ragioni urgenti e temporanee di sicurezza”. Nel caso di violazione la sanzione amministrativa andrà da 400 a 800 euro e potrà essere raddoppiata a fronte di una reiterazione del comportamento.
Particolare importante. Le nuove norme in vigore dall’anno prossimo in Trentino non intervengono sulla conduzione degli animali d’affezione nelle aree urbane e nei luoghi aperti al pubblico che rimane disciplinata da una legge statale sull’incolumità pubblica.
A fine stagione quanto veleno rimane sulle piste da fondo?

Pensavo, caro Luca, di soprassedere sul misfatto che sto per segnalarti anche per non guastare la festa degli amici fondisti che in realtà ai Giochi di Pechino non si sono fatti troppo onore. Ma ora che la stagione dello sci di fondo sta per concludersi o si è già conclusa non riesco a stare zitto. Da tempo si proclama che le diffuse scioline al fluoro usate nel fondo rappresentano un serio rischio per ambiente e salute. Si era letto che sarebbero state vietate. Tu ne sai qualcosa? A risollevare la questione è stato il celebre giornale sportivo francese L’Equipe, che qualche settimana fa ha dedicato un dossier al rischio sanitario connesso con l’impiego di scioline contenenti sostanze perfluoroalchiliche, meglio note per l’acronimo Pfas.
Si tratta di sostanze chimiche di sintesi, caratterizzate da una forte resistenza e idrorepellenza, impiegate nell’industria anche come impermeabilizzanti per tessuti e calzature, nelle vernici, in alcuni tipi di pentole antiaderenti eccetera. Queste scioline si posano a caldo sulle solette. E proprio il riscaldamento degli acidi di fluoro ne accentua la volatilità rendendone più facile l’assorbimento da parte dell’organismo umano.
Conseguenze sanitarie si segnalano infatti tra gli esperti preparatori degli sci utilizzati nel fondo, nel biathlon e nella combinata nordica. Questo denuncia L’Equipe.
Il problema è serio, ma ho la sgradevole sensazione che si continui a prenderlo sottogamba.
Del resto, il commercio di queste cere è fiorente, basta dare un’occhiata a internet. E poi sulla neve rappresentano un fenomenale “acceleratore” a cui non si vuole rinunciare. Se le provi, spiegano gli esperti, non le lasci più perché con le scioline al fluoro sotto gli sci si “vola”. A qualcuno interessa se sulle piste si lasciano scie di veleni che finiranno nel terreno allo sciogliersi delle nevi? La passione per lo sci nordico può indurci a fare orecchie da mercante?
In un libro l’ultima sfida di “don Slavina”

Lo chiamavano “don Slavina” per l’impeto con cui affrontava scendendo con gli sci terreni sicuramente delicati. Ma niente ha potuto fare il suo santo protettore nella notte del 2 dicembre 2009 quando don Claudio Sacco morì nelle Dolomiti sotto una valanga che lui stesso probabilmente ha provocato tagliando un ripido costone con gli sci. Il religioso era parroco di Mas-Peron, a Sedico, un paese ai piedi delle Dolomiti bellunesi.
A don Claudio ha dedicato un libro Fabio Bristot “Rufus”, illustre personalità del Soccorso alpino, tra i maggiori esperti di neve e valanghe. “Don Claudio e la luna” (Dolomedia editing, 2021) è un racconto a più voci, fatto da chi ebbe modo di conoscerlo. Al sacerdote si devono, fra l’altro, molte prime discese su montagne famose quali la Tofana di Mezzo da Ovest, il Pelmo per la fessura Nord o il Cristallo.
C’era anche Bristot tra i 130 uomini del soccorso alpino con dieci cani da valanga che quella notte parteciparono alla ricerca del sacerdote. Il suo corpo fu trovato dopo due giorni sotto un metro di neve, travolto da un costone staccatosi dal Monte Pore, 2.405 metri, sul versante del Passo Giau opposto a quello di Cortina. La valanga era scesa per 800 metri, su un fronte di 700 metri, profonda in alcune zone di accumulo anche tre metri.
“Deve avere qualche santo in paradiso”, dicevano ovviamente a Cortina parlando di don Claudio. E non stento a crederlo. Ma dai e dai lassù qualcuno potrebbe essersi distratto. Un giorno dalla funivia si vide un puntolino con gli sci in mezzo alle rocce. Oggi sulla Tofana di Mezzo, un budello verticale strettissimo senza un nome sulle cartine dove a stento entra un paio di sci viene chiamato “il canalino del prete”. Era il “don” quel puntolino avvistato dalla funivia, ed è stato il “don” a percorrerlo per la prima volta.

Quell’epiteto di “don Slavina” il sacerdote se lo trovò cucito addosso. Niente di irriverente. Spesso era lui stesso a cercare di provocare le valanghe, montandoci sopra, spingendole dall’alto, per poi scendere sicuro nello stesso canalone che aveva fatto scaricare.
Quella volta nel 2009 invece i soccorritori videro le tracce dei suoi sci entrare proprio nella slavina. Era salito in vetta al Pore da solo nella notte per godersi l’incantevole spettacolo della luna piena sul vastissimo orizzonte.
“Ricordo con grande simpatia”, spiega Rufus, “la caparbia volontà di don Claudio , deciso a essere con carità tra gli uomini. Virtù che io stesso ho toccato con mano più volte. Nel mio libro sono riportate le vicende di quell’ultima notte. E c’è anche una notevole serie di scatti realizzati da Virgilio Sacchett che quella notte era anche lui salito a godersi il plenilunio”.
Per concludere vorrei segnalarvi, cari amici di “Fatti di montagna”, che se salite il monte Pore trovate un’edicola di legno con la scritta “Ti ringrazio per essere venuto a trovarmi” incisa sulla croce addossata a un tronco, sulla sella a metà della cresta orientale. La scritta è dedicata a don Claudio, “amante delle montagne e delle sue genti” come si legge.
Alla prossima…
Roberto Serafín
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