Torniamo volentieri sul tema “Skylodge” cogliendo lo stimolo di una lettrice proprietaria del “Rifugio dell’anima” ad Usseglio. Se da una parte riteniamo che ogni situazione vada ben contestualizzata per essere compresa dall’altra vogliamo ampliare il discorso cercando di raccogliere elementi utili ad una riflessione: quando e dove la costruzione di una nuova struttura o erogazione di un servizio turistico contribuiscono al valore della montagna? E quando e dove invece la banalizzano? Sicuramente originalità o proliferazione è un discrimine da tenere presente, ma molti sono gli aspetti che si possono considerare. Serafin ci propone alcuni spunti il cui fine è alimentare un collettivo e costruttivo ragionamento.
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Il “Rifugio dell’anima” di Usseglio per ammirare e scoprire la Valle di Viù
Tanto inesplorata dai turisti quanto amata dai suoi abitanti, la zona nord-occidentale del Piemonte vive ingiustamente nell’ombra. Lo rivela anche la garbata lettera a Fatti di Montagna di un’imprenditrice di Usseglio (vedi commento a questo link), in provincia di Torino, autrice di un progetto definito “Rifugio dell’anima”: un grazioso chalet affacciato su una vallata, il classico “due cuori e una capanna” trasferito in alta quota.
Imprenditrice coraggiosa e determinata, va detto subito, risulta che sia la nostra interlocutrice. Il suo progetto a lungo inseguito si è realizzato grazie allo sportello “Mettersi in Proprio” gestito da Città Metropolitana e al contributo fondamentale del GAL Valli di Lanzo: 25.000 euro attinti al fondo del PSL 2014-22. Nel riferirne in questa rubrica di Fatti di Montagna non era stato in realtà messo in luce che le autorizzazioni dell’amministrazione comunale e della Sopraintendenza, i problemi tecnici e tutto l’armamentario burocratico è stato affrontato da lei con grande determinazione a quanto racconta il direttore del Gal Mario Poma “perchè la comunità ha voluto cogliere la sfida: portare innovazione in una vallata conosciuta soltanto come meta preferita della borghesia di inizio ‘900, ancorata al turismo del passato e poco incline all’evoluzione”.
L’innovazione in questo caso è nota agli esperti come skylodge con riferimento alla vicinanza al firmamento non solo astronomico che caratterizza il pernottare in queste strutture. Nel caso dello skylodge di Usseglio, tre vetrate permettono (come si era puntualmente spiegato in questa rubrica) di ammirare il panorama sulla Val di Viù.
Anche una parte del pavimento è trasparente e il risultato è o vorrebbe essere un’immersione profonda nella natura. Si tratta, va ribadito, di una elegante camera di charme rivestita in legno dotata di un comodo locale spogliatoio, il necessario per la preparazione della colazione e di un pasto e la camera da letto che ha la particolarità di affacciarsi direttamente sullo strapiombo sottostante grazie al pavimento trasparente, oltre che ad ampie vetrate che consentono uno sguardo a 180°.
In Veneto si apre la strada alla proliferazione di Skylodge?
Analogamente nel Veneto è nato il progetto delle “stanze panoramiche” costruite con vetro e legno o altro materiale, collocate stabilmente sul suolo e caratterizzate da un elevato rapporto tra superficie finestrata e quella del pavimento. Anche in quel caso il messaggio del marketing mira a promuovere un “turismo emozionale”. Ecocompatibile, sostenibile? Qui sorgono i dubbi.
Tra paesaggi sublimi e visioni banalizzanti
Va precisato che tali strutture, perlomeno nel Veneto, verrebbero allestite in deroga all’attuale divieto di costruire sopra i 1.600 metri di altitudine. Ma a parte questo dettaglio non da poco, non si è fatta attendere l’opinione di chi dissente dal proliferare di questi artificiosi richiami alla frequentazione di una natura selvaggia. Si è tuttavia notato che da tempo va facendosi strada l’idea che all’economia montana possa giovare un certo impulso al ritorno alla natura, una parvenza di disobbedienza civile: virtù postulate nientemeno un secolo e mezzo fa dal filoso americano Henry David Thoreau.

Giustificato, per citare le evocative parole di Thoreau, sarebbe oggi, specialmente da parte di chi vive in città, il desiderio di poter fruire di una capanna messa a disposizione nel bosco ovvero di un “Rifugio dell’anima”. Per ripensare, semplificare e purificare la propria vita. E anche per esplorare i confini della nostra esperienza.
Pia illusione? Si tratti o no di illusione, lo skylodge andrebbe percepito come un espediente per mettere in trappola i sentimenti. Rispetto ai normali rifugi alpini dovrebbe esercitare una più intensa e coinvolgente attrattiva. Occorrerebbe soltanto stabilire, e il compito lo assunse il compianto filosofo Remo Bodei nel libro “Paesaggi sublimi” (Bompiani, 2008), se è in grado di salvarci dall’ottusità intellettuale e dal torpore emotivo dei nostri tempi sollevandoci dalla banalità del quotidiano.
Nelle intenzioni di chi affitta e promuove gli skylodge a quanto pare si è sedimentata l’opinione che i luoghi del sublime pongono l’individuo che li contempla (in solitudine o in coppia) dinanzi a spettacoli solenni strappandolo alla normalità e all’affannoso trascorrere dei giorni. Il tutto tradotto però in un consistente ritocco alle tariffe. Ma niente di male. Quando si prenota un hotel o b&b, le camere con vista hanno sempre un prezzo più alto. O no?
Peccato che tali atteggiamenti e comportamenti, sempre secondo Bodei, possano apparire, e spesso lo siano, del tutto banali, se per banalità intendiamo l’assenza di spessore intellettuale e di risonanza emotiva. Si sa che i rifugi alpini sono oggi in parte “banalmente” griffati. Bike charger e cuochi stellati rappresentano due presenze ormai inalienabili. Ma non bisognerebbe dimenticare, e di questo mi faccio carico io stesso, che la montagna non è solo estasi: è anche civiltà, industria, sviluppo e cultura sia pure pseudo-romantica. E che il Creato è stato antropizzato quando il primo pastore walser cominciò un duro lavoro di spietramento per far crescere l’erba a beneficio del suo gregge.


Ci domandiamo: quali iniziative turistiche colgono il valore della montagna? Quali la banalizzano?
Se ne deduce che, affacciandosi a una vetrata di skylodge, si potrebbe osservare come fece uno scrittore francese: “Montagne? Dove sono le montagne? Qui intorno vedo solo feticci”. Mi sia infine concesso di osservare che oggi si è persa l’idea di rifugio, il suo significato profondo. E che certi espedienti considerati d’avanguardia suscitano la diffidenza dei turisti più tradizionali tra i quali mi ci metto io stesso. Mi lasciò indifferente, per fare un esempio, la cupola geodetica sistemata nell’estate 2016 sulla vetta del Grignone in corrispondenza con il rifugio Brioschi per ospitare fino a notte fonda concerti che potessero attirare lassù il popolo del ballo e dello sballo. E ancor più fui contrariato dal megaschermo del rifugio V Alpini in val Zebrù collocato all’esterno per offrire film adrenalinici agli ospiti. E che dire delle ostentate panchine giganti tanto vituperate? E delle passerelle sospese in Svizzera nel vuoto “peak to peak” per congiungere due cime? Attrazioni redditizie per il botteghino oppure ordinarie bambocciate da far cascare le braccia?
Roberto Serafin
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