Torniamo a parlare di speleologia nella rassegna di questa settimana. Dopo “L’Abisso” di Francesco Sauro, la Spluga della Preta è raccontata anche da una graphic novel appena pubblicata da Alpine Studio. Serafin, avendoci già annunciato il premio ricevuto a Venezia da “Il Buco” di Frammartino, è andato a vederlo: ecco la sua recensione.

Qui puoi ascoltare queste notizie nella puntata del podcast

“L’Abisso” anche a fumetti: “Nel profondo” di Manfredo Occhionero e Giancarlo Brun

L’Alpine Studio Editore pubblica in questi giorni “Nel profondo”, una graphic novel sceneggiata e illustrata da Manfredo Occhionero e Giancarlo Brun. Come è stato annunciato in “Fatti e misfatti”, la storia è ambientata nella Spluga della Preta, una delle grotte più famose d’Italia. Racconta, a detta degli autori, una discesa nel profondo della terra e nell’animo umano. Il fumetto è arricchito da una prefazione di Francesco Sauro, geologo, esploratore e speleologo di fama internazionale incluso dalla rivista Time nella lista di 10 leader della “next generation”, giovani che “stanno lavorando duramente per cambiare il mondo”. 

La notizia non sorprende. Mai come di questi tempi la speleologia è sembrata in auge. Ti dirò, caro Luca, che la speleologia sembrò a lungo un’ideologia e una filosofia di vita che con l’alpinismo manteneva legami piuttosto tenui e occasionali, pur godendo di diritto di cittadinanza al Club Alpino Italiano con un efficiente organo tecnico e un soccorso speleologico. 

Qui il trailer della graphic novel “Nel profondo”
In apertura un’immagine tratta dalla stessa graphic novel illustrata da Manfredo Occhionero e Giancarlo Brun

Le prospettive cominciarono a cambiare con il film “L’abisso” realizzato dallo stesso Sauro e ambientato in quella Spluga della Preta che ora viene riproposta a fumetti. Il film costò nel 2014 due anni di riprese, con oltre 70 speleologi coinvolti di 19 gruppi speleologici italiani, 30 discese nella Spluga della Preta per un totale complessivo di 11.100 metri di dislivello, 237 ore di ripresa all’interno della grotta, – 800 metri la profondità raggiunta con le telecamere. 

Come noto, la Spluga della Preta è uno dei più famosi abissi del mondo, un vuoto profondissimo all’interno del Corno d’Aquilio, sotto i pascoli dei Monti Lessini Veronesi. L’esplorazione di questa voragine cominciò nel 1925. La vertiginosa profondità dei suoi pozzi e la difficoltà delle numerose fessure che ne caratterizzano il percorso hanno reso questa grotta un mito per generazioni di speleologi. A questo “vuoto profondissimo” Sauro ha anche dedicato nel 2007 un volume dal titolo “L’abisso” (CDA&Vivalda, 264 pagine+16 tavole fuori testo).

 Il buco Michelangelo Frammartino
Frame dal film “Il buco” di Michelangelo Frammartino

“Il buco” di Michelangelo Frammartino è un capolavoro

A dare nuovo impulso alle esplorazioni sotterranee di questi tempi mi risulta però che sia soprattutto “Il buco” premiato a Venezia dalla giuria con un riconoscimento speciale.  Ne riparlo in questa rubrica, perché dopo averlo visto, mi sono fatto l’idea che…non sia un film sulla speleologia, così come l’hemingwayano “Il vecchio e il mare” non è un romanzo marinaro. Si potrebbe definirlo un film esistenziale per la sensibilità con cui il regista riesce a cogliere il senso della vita osservando la rustica esistenza dei malgari in concomitanza con la discesa agli inferi degli speleologi. 

Ma gli inferi in realtà sono quelli che si annidano in superficie dove non c’è medico che tenga quando giunge il momento di andarsene ed è scontato che da questa vita non si esce vivi mentre tra quelle viscide e inerti rocce della grotta da esplorare, regna una pace irreale.

È con tenerezza che la telecamera del regista Michelangelo Frammartino spia la vita del vecchio malgaro e ne ripropone i curiosi richiami per radunare il suo gregge e poi quel suo naturale spegnersi come una fiammella, con la stessa discrezione con cui è vissuto, nella penombra della sua squinternata capanna.

Trailer de “Il buco”

No, non c’è bisogno di dialoghi in un’opera come questa, e infatti non ce ne sono di dialoghi. Il film si concentra sul rudimentale operare degli speleologi, a cominciare dal loro arrivo, zaini in spalla, nello sperduto paesello della Calabria. Memorabile rimane il lancio nel vuoto dei giornali infiammati per individuare dall’alto le strutture dell’abisso. E alla fine affascina la stesura manuale del cartiglio, tuffando la penna nel calamaio, con il percorso appena scoperto dagli intrepidi speleologi mentre una nuvola sommerge il bucolico paesaggio facendolo sparire dallo schermo, ma non del tutto. 

Grande cinema, direi, la cui originalità non poteva certo sfuggire alla giuria internazionale che ha voluto assegnargli il premio speciale. E miglior decisione non fu mai presa da una giuria cinematografica


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14 Ottobre 2021
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