Partendo da un incredibile documento in possesso di Laura e Giorgio Aliprandi, i maggiori studiosi della cartografia alpina, riscopriamo la strada del Sempione come opera dell’ingegneria civile italiana. Un’opera che era stata progettata per la guerra, ma fu usata per la pace.
Qui il podcast con anche questo fatto
Quando percorriamo la strada del Sempione, nel tratto svizzero in cui si inerpica, tra una galleria e l’altra, nelle selvagge e pittoresche gole di Gondo, dovremmo rivolgere un grato pensiero agli italiani – tecnici, operai, ingegneri – che i primi dell’Ottocento per conto di Napoleone realizzarono questo capolavoro. Del loro operare è testimone un album di grande formato rivestito di finta pelle conservato nelle raccolte dei milanesi Laura e Giorgio Aliprandi, insigni studiosi della cartografia storica delle Alpi. Si tratta di un resoconto raro e forse unico, tutto vergato a mano, di quest’arditissima impresa destinata a sfidare i tempi.
Fu in effetti un capolavoro di ingegneria civile quel tratto di strada costruita a carico della Repubblica Cisalpina. Si tratta, come si legge nell’intestazione, del “piano della parte di via Napoleonica eseguita dal Regno d’Italia sul territorio ex Vallese”. Ebbero inizio nel 1801 i lavori per quella che doveva essere una strada militare “praticabile ai cannoni”. Quattro anni dopo ci fu l’annuncio trionfale di Napoleone “qu’il n’y a plus d’Alpes”, cioè che le Alpi non costituivano più una barriera.
Non occorre essere dei tecnici per valutare in base al documento – che comprende anche una dettagliata carta manoscritta ripiegata in cinque parti all’interno del volume – l’entità delle opere e la cura di cui furono oggetto in un ambiente sicuramente ostile. Un ambiente che solo grazie alla determinazione del barone vallesano Gaspare Stockalper, “re del Sempione”, era stato ben prima di Napoleone attraversato nel Seicento con un tracciato che ancora oggi porta il nome del barone e costituisce un’attrazione turistica nei mesi estivi.
“La strada che si consegna”, si legge nel documento (rivolto ovviamente all’istituzione napoleonica), “abbraccia una lunghezza di metri 7426. Il principio è determinato alla estremità del contromuro, ossia alla metà della piccola Casa d’Algabio, che sovrasta immediatamente alla strada. Il termine al Riale che precede le Case di San Marco, confine tra il territorio di Trasquera soggetta al Regno d’Italia, e il territorio di Gondo appartenente all’ex Vallese”. Alla relazione sono uniti il piano, il profilo della strada, il modello generale della struttura, il disegno dei ponti e quello delle Case cantoniere.
Dei cannoni previsti da Napoleone non si vide per fortuna neanche l’ombra. La strada servì invece a diligenze e carrozze che nel corso dell’Ottocento trasformano il Sempione in una delle vie d’accesso all’Italia dei “grand tour” e dei “voyages pittoresques”. Molto opportunamente gli Aliprandi in un quaderno pubblicato dal Circolo dell’Ossola si riferiscono, nell’illustrarne la genesi, alla “strada del Sempione pensata per la guerra, utilizzata per la pace”. Il percorso attraversa i paesi della valle: salendo, il primo centro è Varzo. Poi, percorrendo una valle sempre più stretta e con una strada più tortuosa, affiancata da cascine diroccate e case cantoniere abbandonate, si sfiora Trasquera, più a monte della strada, e infine le piccole frazioni di Iselle e Paglino, ove si trova il confine di Stato di Iselle.
Particolare significativo: in un primo tempo fu un generale francese il capo dei lavori ma successivamente, come riferiscono gli Aliprandi sulla scorta delle loro ricerche, la direzione fu affidata all’ingegnere civile Nicola Céard, capo della ripartizione del Lemano, che si avvalse della collaborazione di tre tecnici italiani per la parte affidata alla Repubblica Cisalpina. Furono dunque i tecnici Gianella, Bossi e Viviani gli artefici della parte più impegnativa del percorso, le gole di Gondo oggi diventate un moderno paradiso del free climbing, risolta passando sulla riva sinistra della Diveria con due gallerie successive e un ponte sul torrente Frassinone. Finalmente il 9 ottobre 1805 dopo avere scavato come talpe, anche grazie agli italiani la strada fu aperta. Nella carta manoscritta firmata il 30 settembre 1811 dal direttore dei lavori è ben visibile la strada in rosso mentre in giallo viene illustrata la vecchia mulattiera Stockalper. Un ringraziamento va sicuramente rivolto, e questa è una sede per farlo, a Laura e Giorgio Aliprandi per aver riportato alla luce del sole questo capolavoro dell’operosità italiana di cui non si può che essere orgogliosi.
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