È curiosa la storia di come Monteviasco ha ottenuto la funivia che gli permette di rimanere collegato con la valle. Più di un’anno fa però un malfunzionamento ne ha provocato l’arresto e ad oggi il piccolo borgo rimane isolato. Prima però altri due fatti e misfatti. Roberto Serafin rievoca per noi la sua esperienza alla nascente Marcialonga: famosissima manifestazione che molti conoscono, ma forse pochi ricordano come era mezzo secolo fa. Torniamo inoltre sulla notizia dell’illuminazione della ferrata a Varallo Sesia che, come previsto, ha provocato diverse reazioni con punti di vista diversi: è un opera d’arte futurista o un inutile spreco di risorse?
Passo alternato negli anni di piombo
Domenica 26 gennaio 2020 si corre nelle valli di Fiemme e di Fassa la Marcialonga di Fiemme e di Fassa. Come passa il tempo. L’anno prossimo sarà trascorso mezzo secolo dalla prima edizione. A inventare la Marcialonga furono quattro simpatici trentini fanatici dello sci nordico. Dei quattro, Roberto Moggio fu quello che inventò la parola marcialonga che senza quella parola sarebbe stata una gara qualsiasi e invece attecchì subito e fu un successo in quegli anni di piombo. Noi cittadini ci fiondammo lassù a frotte curiosi di vedere se ce l’avremmo fatta. Per la nostra goffaggine nel vestire e nell’arrancare eravamo chiamati bisonti. Chi scrive è stato di quelli che trovarono il cancello chiuso a Predazzo: fuori tempo massimo, fui buttato fuori dopo quarantacinque chilometri. Tornò a casa con le pive nel sacco. Che vergogna. Ma l’anno successivo ci riprovò e ne collezionò quindici marcelonghe più la mitica Vasaloppet in Svezia. C’era, ci sarà ancora oggi, o almeno lo si spera, tanta allegria lungo quei settanta chilometri di pista allestiti all’epoca a badilate con la poca neve che c’era, non di rado rubata nottetempo alle località della confinante provincia di Belluno. Mica c’erano i cannoni a quell’epoca.
I tempi sono cambiati. Oggi si legge che la Marcialonga è composta da una miriade di appuntamenti con un preludio vintage al lago di Tesero riservato a trecento fondisti con abbigliamento e attrezzatura d’epoca. Oggi 150 mila metri cubi di neve sono assicurati dal comitato organizzatore grazie a 25 cannoni di nuova generazione di sua proprietà, ai quali si sommano quelli noleggiati dai comuni e dagli impiantisti. Oggi è obbligatoria la tecnica classica. Gli sci ben sciolinati devono scorrere “dentro” ai binari. Guai a chi si azzarda a pattinare fuori dai binari. Ricordo che se qualcuno si fosse azzardato a farlo ai miei tempi veniva coperto d’improperi.
I più forti oggi si limitano a spingere di braccia e chi più spinge più va veloce. Stile redditizio ma monotono, poco elegante a mio avviso da vedersi. I tradizionalisti classici, non tutti, ci tengono invece a esibirsi a passo alternato, passo e spinta, passo finlandese, passo triplo. Un piacevole repertorio che rende varia la progressione. All’epoca ci si sforzava d’impararlo copiando dai Siitonen, dagli Hakulinen e dagli altri assi dello sci nordico oggi ormai entrati nella leggenda. Un po’ come ci siano entrati noi bisonti d’antan, modestia a parte.

Meglio la luce della luna
Come previsto, la ferrata di Varallo Sesia illuminata a giorno sta sollevando le perplessità di chi la interpreta come una nuova tappa nella banalizzazione delle nostre montagne ridotte a rutilanti luna-park. Ma va rispettato anche chi viceversa esprime ammirazione per l’indubbio effetto scenografico richiamandosi alla poetica dei pittori futuristi ai tempi delle prime centrali elettriche e delle sbuffanti ferrovie alpine. A considerarla un’opera d’arte che sarebbe piaciuta a Depero, Marinetti e agli altri futuristi è Dario Monti, direttore di Vie Storiche. Rifacendo il verso ai cronisti dell’altro secolo, Monti definisce la ferrata “un fulmine permanente che nella notte, anche nella nebbia o fra le nuvole, ci dice che la montagna è lì, ne sottolinea la bellezza accentuando le geometrie spigolose creando un panorama notturno nuovo e allo stesso tempo futurista”. Condividere o no gli entusiasmi dell’amico Monti? Illuminare le montagne significa valorizzarle e non piuttosto snaturarle? Va ricordato che il Cai prese posizione contro il progetto di illuminazione artificiale della parete orientale del Monviso durante le Olimpiadi invernali 2006. Il Comitato centrale di indirizzo e controllo approvò una mozione in cui venne espressa “ferma contrarietà al progetto di illuminazione notturna del Monviso” ritenendo che tale iniziativa “non fosse corrispondente alle esigenze del turismo montano, con un forte disturbo delle componenti dell’ambiente naturale, e fosse un inutile spreco di risorse energetiche, risultando pertanto un esemplare caso di cattivo uso di fondi pubblici”. “Vogliamo e preferiamo il Monviso illuminato solo dalla luna, come immagine vera della montagna che amiamo”, fu la conclusione degli organi direttivi del Club alpino. Con tutto il rispetto per i futuristi, come non essere d’accordo?
La funivia di Portobello
Ci volle la popolare trasmissione televisiva “Portobello” condotta dal compianto Enzo Tortora perché nel 1989 nella lombarda val Veddasca, al confine con la Svizzera, si trovassero i soldi per attivare una piccola funivia che si rivelò decisiva sia nel contenere l’emigrazione dei residenti del piccolo borgo di Curiglia con Monteviasco, nel Varesotto, sia nel consentirne la valorizzazione turistica. Dal 2018 purtroppo quella funivia è bloccata per un malfunzionamento che ha provocato anche una vittima e Monteviasco lo si può raggiungere solo con una mulattiera con mille gradini.
A chi rivolgersi, in mancanza di Portobello, perché il borgo di Monteviasco sia strappato al lungo isolamento? Quale autorità può intervenire in questo remoto angolo di paradiso perché la funivia, messa sotto sequestro, possa riprendere le corse a beneficio dei turisti e dei quattro abitanti rimasti lassù?
L’impianto, molto semplice, si compone di una sola vettura della capienza di 15 persone che percorre la via di corsa lunga circa un chilometro in senso bidirezionale. Risulta che faccia parte del trasporto pubblico locale della Regione Lombardia. Per ragioni burocratiche i lavori per l’ammodernamento non sono ancora partiti e nel nostro piccolo ci permetteremmo di sollecitarli. Monteviasco è un gioiello, una meta ambita anche per le scolaresche anche se non appartiene alla montagna griffata dei megaimpianti sciistici tenuti in vita con il concorso di noi contribuenti.
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