L’iniziativa degli Svizzeri di proiettare sul Cervino-Matterhorn messaggi di speranza e vicinanza in questo difficile periodo a qualcuno piace e ad altri no: Roberto Serafin ce ne offre una lettura con il suo solito sguardo ampio e storico.

Qui il podcast che contiene anche questa notizia

Nell’antichità la montagna era temuta, era il luogo del male. Verso l’anno Mille ha iniziato ad attrarre. E’ diventata un rifugio, il luogo della catarsi, il luogo della fede. È quello che sta succedendo in questi giorni al Cervino ovvero Matterhorn. Non più la montagna da conquistare, da concatenare, da scalare a tempo di record, da possedere (ho fatto il Cervino…) come è sembrato che fosse il suo destino da quando nel 1865 Whymper e compagni calcarono per primi la vetta, bensì il luogo della pace, della speranza in questi tempi di magra. Questo per dire che non si può che rivolgere un cenno di plauso agli svizzeri che tutte le sere fino al 19 aprile proiettano sul Matterhorn messaggi di pace e di speranza. Ciò avviene dal tramonto alle 23 e le web cam immortalano nella rete quelle bellissime immagini. Un fascio di luce orientato sulla cima lancia ora un cuore ora gli hashtag #hope e #stayhome. E di recente, piacevole sorpresa, si è anche proiettato il tricolore italiano. L’iniziativa promossa dal Comune elvetico di Zermatt nel Canton Vallese è stata purtroppo anche denigrata da scriteriati sui social come un abuso, una violazione di chissà quali codici etici. Ma c’è qualcosa di male nell’aderire, sia pure in modo spettacolare e sprecando un po’ di energia, all’attualissima, innocente retorica del “balcone” e dell’”andrà tutto bene” specialmente ora che le cose sembrano aggiustarsi? 

A nostro modestissimo avviso, esistono diverse buone ragioni per approvare gli svizzeri senza voler processare a tutti i costi le loro buone intenzioni. Prima di tutto va riconosciuto che il Matterhorn, visitato ogni anno da 3 milioni di turisti, rappresenta una risorsa irrinunciabile per un Paese, la Svizzera, che ha la fortuna di disporne (così come gli italiani dispongono, e non ne fanno certo buon uso, delle Dolomiti). Guardando al dopo coronavirus, è perciò lecito che il focus venga mantenuto su questa incommensurabile risorsa naturale che in parte appartiene anche all’Italia.

IMG 20200402 151400 Il Cervino lasciato in pace
Illustrazione della prima salita del Cervino inserita nel libro con cui Whymper ne rievoca i fatti

Come si ricorderà, la Gran Becca ebbe un giusto tributo anche per i 150 anni della prima scalata con illuminazioni e fuochi d’artificio. Niente di male, anche se il luna park del turismo ne minaccia da sempre la presunta “purezza” e addirittura molti italiani, il cantore del Cervino Giudo Rey per primo, si opposero quando negli anni 30 una strada violò la pace del Breuil.

E poi, che diavolo, a illuminare con le fotoelettriche il Cervino furono per primi proprio gli Alpini nel 1965 in occasione del centenario della prima scalata. L’esperienza fu ripetuta nel 2017 in occasione delle celebrazioni per il centocinqantennale. Nessuno che si sappia ha mosso critiche alle “penne nere”.

Fu invece giudicata una “scempiaggine” nel 2018 l’iniziativa dell’ex campione di sci elvetico Pirmin Zubriggen di farsi trasportare in elicottero sulla cima del Cervino dove diede fuoco all’olio contenuto in un grande bidone. Tutto ciò per promuovere con un grande falò la candidatura olimpica della città elvetica di Sion per i Giochi invernali del 2026 che poi sono stati assegnati a Cartina d’Ampezzo e a Milano alla faccia di Zubriggen.

A voler essere pignoli, furono poi indiscutibilmente gli italiani ai tempi dell’Unità d’Italia a “usare” il Cervino a scopi di propaganda. La prima scalata del Cervino, che fu poi appannaggio della cordata inglese di Whymper, faceva infatti parte nel 1865 di un piano patriottico per replicare all’invadenza degli inglesi dell’Alpine Club. Tale piano era stato inaugurato dalla “riconquista” italiana del Monviso capitanata dallo statista Quintino Sella nell’estate 1863 e venne consolidato il 23 ottobre di quell’anno con la fondazione del Club Alpino Italiano al Castello del Valentino. È evidente, per concludere, che certe lezioni di stile indirizzate agli svizzeri per i messaggi di speranza proiettati da Zermatt vanno rispedite al mittente e che gli amici svizzeri fanno bene (a nostro modesto giudizio, perlomeno) a tenere alta l’attenzione del mondo su questa meraviglia che abbiamo la fortuna di poter condividere con loro. (Serafin)

2 Aprile 2020
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MountCity

MountCity è un progetto fondato nel 2013 a Milano che si poggia sulla passione e competenza di uno staff di cittadini appassionati di montagna, all’occorrenza con il sostegno di associazioni di volontariato. La piattaforma, grazie alla competenza e professionalità di Roberto Serafin che l’ha curata per 10 anni, è stata punto di riferimento sull’attualità della montagna e dell’outdoor con migliaia di articoli pubblicati. Ora lo spirito di MountCity vive ancora dentro questa rubrica.

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