I ragionamenti sono aperti e il tema è ampio: i rifugi riusciranno comunque a garantire i loro servizi rispettando le regole sanitarie? Servizi che non sono solo di ospitalità, ma anche di presidio sul territorio e sicurezza. Non è un problema solo per chi vorrebbe usufruirne, ma si parla anche del reddito di tante persone. Intanto che le proprietà, il CAI in primis, con i gestori si stanno impegnando per trovare le soluzioni, in molti iniziano a pensare alla tenda come soluzione alternativa. Anche questa opzione che avrebbe il vantaggio di dare l’opportunità di scoprire una montagna diversa, vissuta in autonomia, ha anche i suoi contro, soprattutto se si concentrano le tende nelle zone limitrofe ai rifugi.
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Spazi di 10 metri quadrati sono previsti quest’estate per evitare il contagio sulla sabbia, con picchetti e corde per delimitare l’area dell’ombrellone assegnato. E con una distanza di almeno un metro fra un lettino e l’altro nella stessa area. Ma come fare con i rifugi alpini? E’ sicuramente il caso di scordarsi il turno per la cena assordante, le camerate asfissianti, la coda ai cessi. Escluso che quest’estate nei rifugi, anche se aperti, ci si debba aspettare questo tipo di scenario che è stato giocoforza accettare prima del coronavirus. E che quasi tutti noi abbiamo accettato senza troppo badarci. Mentre si attendono le linee guida per la riapertura annunciate in primis dalla Società Alpinisti Tridentini che di rifugi ne possiede 35. l’argomento si presta ad alcune ipotesi e a qualche inevitabile scontro tra due fazioni contrapposte. Quelli che non si rassegnano alla chiusura totale indubbiamente disastrosa visto che il solo Club Alpino Italiano in nome dei suoi 300 mila e più soci possiede la bellezza di 373 rifugi in tutto il Paese e dunque rappresenta una delle voci più importanti per posti letto nel turismo nazionale. E quelli che vedono di buon’occhio l’utilizzo di tende e sacchi da bivacco opportunamente organizzati e disciplinati nei pressi dei rifugi o anche altrove dove è consentito.
In fatto di campeggi, il Cai vanta un’esperienza pari forse solo a quella degli scout. Basti pensare, per fare due esempi, al campeggio estivo dei Ragni di Lecco che ebbe tra gli habitué grandi alpinisti come Riccado Cassin e Casimiro Ferrari o al frequentatissimo “Attendamento Mantovani” del Cai Milano. Sulle Alpi dunque ci si andrà anche, giocoforza, in tenda, con sacchi a pelo e cibo negli zaini. Questo risultava il 18 aprile nelle pagine del quotidiano La Repubblica. Un’ipotesi suggerita e supportata da un dirigente del Club Alpino Italiano. “La soluzione potrebbero essere le tende, come in un trekking su montagne lontane o come facevamo quando eravamo giovani”, aveva in precedenza ipotizzato il presidente generale. Com’era facilmente prevedibile, l’ipotesi delle tende non è però piaciuta ai rifugisti e non solo a loro. Numerose sono state le prese di posizione che hanno costretto la dirigenza del Cai a rimangiarsi questo scenario scoutistico. Di qui la precisazione tempestivamente messa in rete dallo stesso Cai. In base alla quale “pur essendo vero che possono esserci difficoltà a riaprire i rifugi, soprattutto quelli di alta quota, deve essere chiaro che il Club Alpino Italiano si è attivato e sta lavorando per scongiurare questa ipotesi”.
Niente tendopoli ha sentenziato la presidentessa della Sat Anna Facchini annunciando le citate linee guida per l’apertura dei rifugi, e ha confermato Angelo Iellici, presidente del Coordinamento Nazionale Rifugi che rappresenta più di 400 strutture in quota. “La metodologia delle tende e dei sacchi a pelo”, ha precisato Iellici, “rende lo scenario ancora più complesso e fallace dal punto di vista igienico-sanitario e della sicurezza, perché queste persone dovranno comunque servirsi dei rifugi, è imprescindibile. Ci sono anche molte responsabilità nei confronti della protezione delle persone in caso per esempio di maltempo, se lo facessimo in un modo non corretto”.
In via preliminare risulta chiaro che occorrerà comunque accettare il numero chiuso, una scelta così ovvia che viene da chiedersi come è stato possibile non averla adottata prima con il moltiplicarsi dei frequentatori nelle ultime stagioni specie nelle Dolomiti, con certe strutture traboccanti di gente affamata, costrette a cucinare salamelle sotto un tendone all’aperto. Per non dire dell’affollamento in quelle raggiungibili in taxi o pedalando comodamente in sella alle bici elettriche.
Numero chiuso, già. Ci si mette in coda nei musei, ci si prenota a volte mesi prima, lo si faccia anche per salire a un rifugio. Così come, anche senza pandemie in vista, è stato necessario accettare, sia pure a denti stretti, un contingentamento per salire il Monte Bianco. Unica incognita nel caso di una dilagante campeggiomania sono i liniti imposti al campeggio libero. Che dovrebbe essere permesso e possibile laddove non è approvata una esplicita normativa dagli Enti Locali, resa nota da cartellonistica ben visibile. Il bivacco notturno dal tramonto all’alba, con o senza tenda, risulta che resti lecito. Si tenga infine conto che il campeggio libero in Valle d’Aosta è consentito solo al di sopra dei 2.500 metri di altitudine, dal tramonto all’alba mentre il bivacco in tenda è sempre vietato vicino ai rifugi e in tutta l’area protetta del Parco nazionale Gran Paradiso. (Serafin)
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