Esce nelle librerie la riedizione del romanzo di Lorenzo Revojera “Le fragole dell’Alpe Devero”. Il libro può suggerire una riflessione antropologica sull’alpinismo come lo stesso autore dichiara.
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Lorenzo Revojera
Per Lorenzo Revojera, ingegnere milanese che sa maneggiare la corda e la piccozza definendosi un “normale alpinista”, leggere certe cronache provenienti dalle regioni himalayane è come ricevere un pugno nello stomaco. Troppi gli interessi in campo, troppi i “fenomeni” che si contendono uno spazio nei media specializzati, troppe le vittime da beatificare per poterne meglio sfruttare l’immagine nell’ambito di una certa editoria sia pure di nicchia. Due morti e tre dispersi è il tragico bilancio a oggi della stagione invernale al K2 di cui tanto si è parlato sui social e molto meno sulla stampa ganeralista ormai vaccinata contro queste temerarie esibizioni.
A maggior ragione cresce il disagio se a lasciarci la vita è una giovane mamma come – il fatto risale all’altro millennio – l’inglese Alison Hargreaves, 33 anni. Non dimenticherà mai Revojera che sul Corriere della Sera del 21 agosto 1995, in una corrispondenza da Londra intitolata “K2 missione suicida”, la povera Hargreaves venne indicata come un esempio “d’incosciente temerarietà”. Il corrispondente non esitò infatti a riportare un’opinione che in quei giorni circolava. Alison avrebbe potuto rinunciare alla scalata. Non lo fece perché, invece del K2, “stava scalando una montagna di denaro”. Questo si poteva leggere sul Corriere.
Nell’apprendere della Hargreaves, Revojera (che oggi scala con passo alpino la novantunesima primavera della sua vita) concluse in quel 1995 che era arrivato il momento di divulgare modelli virtuosi, farli conoscere, scriverne, parlarne. Allo scopo di sviluppare una storia che facesse da contrappunto a un alpinismo in cui non si riconosceva, mise così a frutto il suo naturale talento di narratore, autore di apprezzati racconti, romanzi e saggi di montagna tra i quali va segnalato il fondamentale “Milano e le sue montagne” e il bel catalogo della mostra “La Lombardia e le Alpi” che lui stesso curò nel centocinquantenario del Cai.
“Le fragole dell’Alpe Devero”, la trama
Questo a cui si è accennato è più o meno il retroterra in cui è nato il suo romanzo “Le fragole dell’Alpe Devero” (Persico editore, 98 pagine, 25 euro), oggi ripubblicato dopo una prima edizione risalente al 1995, quando il libro venne editato per i tipi di Mountain Promotion. Il punto di partenza della narrazione è l’atmosfera idilliaca dell’Alpe Devero dove ci si sente di casa. E dove si pratica un alpinismo “dal volto umano” anche se non esente da incognite. Uno scenario ideale, perfetto a giudizio di Revojera per essere contrapposto alle folli corse agli ottomila governate da interessi economici che a giudizio dell’autore sono simili a quelli delle gare di formula uno, con l’aggiunta di un inaudito strascico di vittime.
Nel romanzo “Le fragole dell’Alpe Devero” due amici esperti di alpinismo sono dunque sul punto di trasformare in business quella passionaccia per le scalate che per uno di loro si era manifestata proprio nella meravigliosa area protetta delle Lepontine dove da ragazzo aveva fatto le prime esperienze d’arrampicata. Ma è proprio costui durante un bivacco a comunicare all’altro che quel progetto di vita avventurosa è in contrasto radicale con il desiderio della fidanzata di formare una bella famiglia normale. Desiderio da lui condiviso. Del resto il lavoro non gli manca e questa sua serena scelta di vita sembra appagarlo più di ogni altra.
Scolpiti nella memoria del giovane rimangono pur sempre i tempi in cui trascorreva al Devero le vacanze nella baita della zia e le portava in regalo un barattolo di miele e un cestello pieno di fragole. Tutti particolari che l’autore sa tratteggiare con mano esperta mettendo a frutto la conoscenza delle montagne che descrive alla perfezione e certi suoi ricordi di gioventù.
Una lettura antropologica del romanzo di Revojera con Huizinga
Nelle pagine accattivanti del suo romanzo, rinunciando a ogni forma di erudizione, Revojera dà fondo anche a una particolare vocazione a considerare l’alpinismo come un gioco degno dell’uomo, come risulta dal celebre saggio “Homo ludens” di Johan Huizinga, antropologo olandese alle cui idee l’autore ammette di ispirarsi. Dunque la nozione di “gioco” appare all’autore una costante dei comportamenti da tenere in montagna a patto che le regole siano lealmente rispettate.
“Il fenomeno alpinismo”, precisa Revojera.“analizzato in base a questa definizione di Huizinga – che peraltro non si interessò mai di scalate – ci appare in una luce più netta quasi scientifica. Huizinga ci aiuta a conciliare l’esperienza di montagna con la retta ragione evitando radicalizzazioni ed estremismi”. Sono concetti questi che, sapendoli cogliere, rendono molto particolare, anzi speciale, il romanzo di Revojera appena uscito nelle librerie. Che non è azzardato definire profumato di fragole. Sicuramente è intriso di buoni sentimenti, rivolto a celebrare un alpinismo “vintage” e purtroppo irripetibile. Quell’alpinismo eticamente consapevole che piaceva perfino a “mostri sacri” come Riccardo Cassin, gente che sulle pareti compiva prodigi. Ma erano altri tempi. (Serafin)
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