“Perché” è sempre un domanda rischiosa, ma attrattiva. Esattamente come l’alpinismo. E così anche se la ricerca delle motivazioni di una delle attività umane apparentemente più inutili, è argomento ampiamente percorso, rimane sempre affascinante addentrarvici. Lo fa il numero 13 de “Lo Zaino”.
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Le componenti della passione per l’alpinismo
Si apre con un articolo intitolato “Il dono dell’alpinismo” il numero 13 de Lo Zaino, rivista delle Scuole lombarde di alpinismo e scialpinismo del Club Alpino Italiano. Su quel “bruciante desiderio che un individuo prova quando vuole scalare una montagna” indaga Gian Maria Mandelli, ma non è il solo in questo fascicolo della bella e ricca pubblicazione a spendersi su un tema tanto delicato e controverso. Che sia Mandelli ad aprire la serie è più che giustificato considerato il suo curriculum. “Sono figlio di un alpinismo minore, quello dei valmadreresi che sulle montagne di casa hanno scritto la loro storia”, spiega Mandelli, Istruttore nazionale del Cai e membro del prestigioso Club Alpino Accademico.
Mandelli, per tutti Gianni, ci tiene a spiegare che la sua passione cominciò sulle montagne di casa, intorno a Valmadrera, sui Corni di Canzo, sul Moregallo, e via dicendo. Dopo un lungo preambolo sulla sofferta ricerca delle difficoltà – che sarebbe a suo dire alla base della pratica alpinistica, con il risultato che qualche alpinista quando non riesce più a esprimersi sulle grandi difficoltà si ricicla nelle corse in montagna o nella mountain bike – Mandelli si concentra sulla parola “passione”.
Un libro gli suggerisce questa scelta, ed è “Il principio passione” (Garzanti) del teologo e filosofo Vito Mancuso. “In effetti”, conclude Mandelli, “la passione per l’alpinismo ha due componenti, quella dell’ordine che dovrebbe essere la componente della sicurezza, con un particolare riguardo all’uso delle attrezzature, mentre la seconda componente è quella del caos che risponde più alla smania di salire su una montagna o una parete che ci attira, per curiosità verso luoghi sconosciuti, con coraggio o anche, in qualche caso, incoscienza”. Subito però Mandelli aggiunge che per generare una vera passione per la montagna le due componenti devono sempre convivere ed essere perfettamente bilanciate”.
Personali motivazioni per l’alpinismo
Più avanti nella rivista occorre andare a leggere un articolo di Walter Polidori, altro autorevole istruttore lombardo, autore dell’appassionante libro “Quando arrivi in cima continua a salire”. Il suo breve saggio è intitolato “Le (mie) motivazioni”. Argomento trito e ritrito, avverte Polidori, ma è bello parlarne. E si deve concordare con lui che l’argomento attira, tanto più se a parlarne sono persone che hanno accumulato esperienze anche estreme nella consapevolezza che il rischio zero non esiste. Resta il fatto che la motivazione, secondo Polidori, non è mai univoca: essa è supportata da una serie di obbiettivi personali. “Al primo posto”, annota, “metto l’amore per l’ambiente, ma a soddisfare quello basterebbe fare escursionismo, o al massimo delle vie normali su grandi montagne. Poi c’è la voglia di avventura, quella che ti fa mettere in gioco e provare sensazioni che nella vita di tutti i giorni non sono più presenti”. E qui viene la parte interessante in questo scritto di Polidori che mette sul conto la voglia di stare con gli amici e quella di emergere per sentirsi migliori. Sentirsi vivi se non proprio migliori è in ogni modo una bella sensazione offerta dalla pratica dell’alpinismo, e questa sembra la conclusione a cui approda Polidori. Che non manca di svelare un suo piccolo segreto che però va lasciato tutto intero alla curiosità dei lettori.
La psicologia dell’alpinismo
Un’analisi delle motivazioni che rendono nobile e appassionante scalare le montagne è il filo conduttore di questo fascicolo de Lo Zaino. E infatti dopo avere preso atto dei punti di vista di Mandelli e Polidori, niente di meglio che leggere quanto sul alpinismo e psicologia raccontano Giuseppe Saglio e Cinzia Zoia nella nuova edizione del libro “In su e in sé” da poco uscito con la prefazione di Enrico Camanni. Dal libro di Saglio e della Zoia emerge ad avviso di Camanni una magia: la pratica alpinistica è una passione (dipendenza?) a tutto tondo che mal si presta a mediazioni e mezze misure. “Credo che l’alpinismo sia la rappresentazione di un amore adolescenziale mai consumato fino in fondo, proiezioni infantili di sogni, speranze, capricci, egoismi, illusioni”, azzarda Camanni.
Le opportunità che offre l’alpinismo
L’impressione è che su questa visione dell’alpinismo possano concordare sia Mandelli, sia Polidori. Ma non si può concludere questa carrellata sulle motivazioni senza affrontare il tema delle opportunità offerte dall’alpinismo a persone con particolari fragilità e in condizioni di vulnerabilità e precarietà. Il tema viene opportunamente trattato da Beppe Guzzeloni che dal 1985 fa parte della scuola Alpiteam, impegnato per sua scelta a comunicare a ragazzi problematici la sua passione per la montagna. Compito non facile alla luce di quanto si è letto circa le motivazioni.
La continua ricerca dei perché dell’alpinismo
Per concludere, come indica l’epigrafe alla fine della rivista firmata da Hermann Buhl, l’alpinista è un inquieto inguaribile: continua a salire e non raggiunge mai la meta. Così come, si è tentati di aggiungere, non arriva mai a una definizione definitiva delle motivazioni (e qui correrebbe l’obbligo di suggerire la lettura del fondamentale “I perché dell’alpinismo” di Armando Biancardi, 1918-1997).
L’argomento è più aperto che mai ed è un bel segnale che a fornirci testimonianze tanto qualificate sia una rivista degli Istruttori di alpinismo. Rivista che anche in questo tredicesimo numero si presenta ricca di resoconti di ascensioni, di recensioni di guide di arrampicata, di relazioni tecniche sull’impiego dei materiali. Con un piacevole intermezzo botanico di Anita Cason “apprendista alpinista” e un doveroso ricordo dell’istruttore milanese Mario Bertolaccini spentosi a 84 anni, docente del Politecnico, a lungo responsabile dei corsi di alpinismo della Scuola centrale del Club Alpino Italiano. Un socio del Cai che per tutta la vita si è speso per promuovere un alpinismo tecnicamente eccellente all’insegna della sicurezza (Serafin)
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