Le migrazioni climatiche più che uno scenario futuro sono una realtà con cui bisogna iniziare a fare i conti. Il progetto MICLIMI è uno dei primi studi ad aver indagato la potenziale propensione alla migrazione verso le aree montane.
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Il progetto MICLIMI è di estrema attualità
“Vi inviamo il report finale del progetto MICLIMI sulle migrazioni climatiche dalle città padane alle Alpi, sperando sia di vostro interesse e che possiate darne notizia”, scrive cortesemente a Fatti di Montagna Andrea Membretti, coordinatore scientifico del progetto. Salvo errori non se ne è finora parlato molto sui media, ma il progetto è senz’altro di estrema attualità e si merita più di una riflessione. Il rapporto si apre con l’immagine di spettrali profughi climatici in cammino verso le vette, messi in fuga dall’afa o dai fiumi che esondano o dal livello del mare che continua a crescere a dispetto delle dighe e presto si divorerà in un sol boccone Venezia con tutti i suoi splendori.
Cosa si immaginò su FdM nel 2021
Lo scenario che ci aspetta va delineandosi da tempo. Nel 2021 in una lettera spedita a Fatti di Montagna si finse che il futuro fosse già arrivato con tutti i suoi incerti.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) spiegò in quel 2021 che per nutrire in modo sostenibile una popolazione mondiale che alla metà del secolo conterà dieci miliardi di persone serve una trasformazione radicale nei sistemi di produzione, vendita e consumo degli alimenti.
Ci si immaginò nella lettera citata che dalla Spagna settimanalmente arrivassero dalle nostre parti bistecche vegetali colorate artificialmente di rosso. Si disse che l’agricoltura verticale avrebbe permesso di controllare in un ambiente chiuso i parametri ambientali, la temperatura, l’esposizione alla luce solare, la quantità dell’acqua da fornire alle coltivazioni insieme con una precisa quantità di elementi nutritivi. Si immaginò che per consolarci sui pendii delle prealpi prosperassero i vigneti con risultati eccellenti.
Il progetto MICLIMI
Ora sul sito del progetto miclimi.it il problema delle migrazioni climatiche nel prossimo futuro risulta che sia concretamente esaminato con una miriade di dati. Si viene a sapere che il progetto è realizzato grazie al sostegno della Fondazione Cariplo ed è curato da Andrea Membretti e Gianni Tartari mentre il documento che ne è testimonianza è realizzato con i contributi di Filippo Barbera, Silvia Di Gennaro, Luciana Favaro, Silvia Keeling, Andrea Membretti, Marco Modica, Gianni Tartari, Viktoriia Tomnyuk.
Tutto il prevedibile è frutto di studi approfonditi. Nessuna improvvisazione. I dati climatici recano la firma di Luca Mercalli, gli scenari climatici fino al 2050 sono di Arpa Lombardia mentre quelli fino al 2040 e 2060 di Arpa Piemonte. Lo studio viene indicato come uno dei primi che indagano la potenziale propensione alla migrazione verso le aree montane.
Intanto due città al mondo hanno raggiunto picchi di temperatura talmente alti da divenire invivibili. Si tratta di Jacobabad, in Pakistan e, di Ras Al Khaimah, negli Emirati Arabi Uniti. Luoghi già caratterizzati da un caldo torrido, hanno ora superato la soglia dei 52 gradi centigradi. Solo una piccola élite può permettersi sistemi di aria condizionata. Ad aggravare la situazione, poi, sono i continui blackout cittadini. E’ questa la situazione che dovremo aspettarci? E fino a quando, ci si chiede, l’aumento della temperatura media globale verrà tenuto al di sotto dei 2°C? Nel frattempo però negli Stati Uniti il Blacksmith Institute stilato una lista nera dei luoghi del pianeta più invivibili. Pessimo segnale.
Intanto in Italia come si legge nel progetto, dopo decenni di abbandono delle aree montane delle Alpi e degli Appennini è stato documentato negli ultimi 15-20 anni un flusso crescente verso le aree interne, in particolare quelle alpino-appenniniche, sia da parte di cittadini italiani, i cosiddetti “nuovi montanari” o “neo rurali”, come evidenziato dalle ricerche dell’associazione Dislivelli e dell’associazione Riabitare l’Italia.
Queste nuove forme di migrazione e di mobilità residenziale interessano in larga parte territori colpiti da decenni di spopolamento e invecchiamento della popolazione rimasta. Peggio ancora, le aree interne e montane del Paese sono per la maggioranza territori fragili, oggi ancora più esposti a molteplici rischi (frane, incendi, siccità, ecc.), in relazione al crescente manifestarsi di eventi estremi collegati al cambiamento climatico.
Migrazioni climatiche, il confronto Milano-Torino e le “migrazioni interne”
Nel progetto sulle migrazioni climatiche s’innesta un curioso confronto fra Torino e Milano. Chi se ne va da Torino sembra leggermente più propenso a trasferirsi verso un comune montano e relativamente marginale rispetto a chi se ne va da Milano. A fronte di fenomeni nuovi e complessi che interessano anzitutto le aree rurali e montane si apprende dal progetto curato da Membretti che nel nostro paese le migrazioni interne – perlomeno se definite con questa “etichetta” – attirano mediamente un’attenzione decisamente minore a livello pubblico e politico rispetto a quelle internazionali. Le previsioni di medio-lungo termine indicano in ogni modo un probabile incremento di tali spostamenti rispetto ai movimenti transfrontalieri, intra o inter continentali.
Ben venga dunque il progetto MICLIMI che oggi si propone di effettuare una prima investigazione, a carattere esplorativo, per iniziare a quantificare e comprendere il fenomeno della migrazione interna per cause o concause climatiche. Sotto osservazione è la “metromontagna” padana, ovvero quel territorio variamente interconnesso che ricomprende il tessuto abitativo e produttivo delle città principali della pianura, unitamente a quello montano e interno delle valli alpine e appenniniche.
Come illustrato nel capitolo “Mobilità residenziale dalle grandi città ai comuni montani: i casi di Milano e Torino” di cui è autrice Silvia Keeling, si è proceduto nel progetto a quantificare tali flussi nel quinquennio 2018-2022, da un lato verificandone la consistenza numerica e il trend nel periodo considerato, e dall’altro lato individuando le località montane maggiormente attrattive, in termini residenziali.
Vado a vivere in Montagna?
La terza e ultima fase della ricerca ha posto l’attenzione sulle opinioni e sulle percezioni di chi vive nelle aree urbane della metromontagna padana, da Torino a Venezia. Nel capitolo intitolato “Vado a vivere in montagna? Indagine campionaria sulla percezione del cambiamento climatico nelle grandi città della pianura padana e sulla propensione dei loro abitanti a trasferirsi in montagna”, di cui sono autori Filippo Barbera, Andrea Membretti e Viktoria Tomnyuk, si sono analizzati e interpretati i dati raccolti in un campione statisticamente rappresentativo di residenti nei poli metropolitani di Torino, Milano, Bologna, Padova, Venezia e Treviso. Lo scopo è evidentemente quello di valutare la “spinta verso la montagna” che sembra emergere.
Il report si chiude con il capitolo “Raccomandazioni finali”, di cui sono autori Luciana Favaro e Gianni Tartari, nel quale si vanno a proporre alcune possibili azioni positive e linee di intervento, tenuto conto di un maggiore coinvolgimento dei cittadini.
Le aree metromontane di Piemonte e Lombardia
Le aree studio risultano essere Lombardia e Piemonte e in particolare le aree metromontane di queste due regioni. Che presentano dei profili morfologici interessanti e in un certo senso similari. Entrambe infatti comprendono grandi centri metropolitani relativamente vicini ad aree montane, facilmente raggiungibili e accessibili.
Per quanto riguarda la composizione territoriale dei due casi, il territorio della Lombardia è composto per il 40% circa da aree montane, il 12% da aree collinari e il restante 48% circa da aree di pianura in termini di superficie. Invece il territorio del Piemonte è caratterizzato da circa il 43% di aree montane, il 30 % da aree collinari e per il restante 27% da aree di pianura.
Tra le due regioni si ritrovano differenze e similarità. Se infatti la distribuzione della popolazione risulta essere simile in entrambe, il territorio della Lombardia sembra maggiormente polarizzato tra aree montane e aree di pianura con una minore presenza di aree collinari. In Piemonte queste aree assumono maggiore peso a scapito delle aree pianeggianti.
Effetti già presenti del cambiamento climatico e previsioni
A esser colpite dalle radicali modifiche dell’ambiente risultano le attività umane, a cominciare dall’agricoltura. In Friuli Venezia Giulia già si nota un forte aumento della salinità dei terreni nelle pianure vicine all’Adriatico. Nel vicino Veneto e in Trentino è iniziata la corsa ai terreni alpini per spostare i vigneti più in alto. In pianura fa già troppo caldo
Previsioni? In Padania si andrà verso una media di 38 gradi e sarà inevitabile avere migrazioni anche prima del 2050. L’esodo verso le montagne sarà progressivo, ma ci sarà.
Va notato peraltro che il flusso migratorio da Milano sembra spaziare molto di più che altrove sul territorio italiano. Infatti, solo 3 dei 10 comuni più gettonati dai fuoriusciti da Milano sono ubicati nella stessa regione del capoluogo lombardo.
Il dato è confermato anche dalla media aritmetica del chilometraggio: chi lascia Milano percorre in media 276,3 km per arrivare al comune montano di destinazione finale, mentre chi si sposta da Torino percorre in media 69,7 km, delineando un raggio di mobilità più corto rispetto a quello milanese.
Tutti verso Alpi e Appennini, allora? Le regioni alpine sono oggi più popolate grazie a immigrati “stranieri” in cerca di “qualità di vita migliori”. “I territori alpini non possono e non devono farsi trovare impreparati perché il rischio è di un’invasione assolutamente non sostenibile”, avverte il climatologo Luca Mercalli. Eppure si può stare certi che chi viveva nel Delta del Po o nella laguna veneta alla metà del secolo sarà costretto a scappare.
Basta consumo del suolo!
Quanto alle speculazioni, spiace dirlo, la misura è colma.
Da tempo si deplora invano che nessun sindaco, in nessun luogo d’Italia, abbia mai veramente ridotto a zero il consumo di suolo, vera piaga nazionale (va perduto un metro quadrato di territorio vergine ogni secondo che passa). Tutti i sindaci hanno continuato a concedere licenze per costruire, a indurre condoni, a non abbattere alcuna costruzione abusiva.
Ecco, questo è il futuro che non soltanto noi Fatti di Montagna purtroppo siamo costretti a immaginare e che il progetto MICLIMI non fa che confermare.
Roberto Serafin
Fonti:
Andrea Membretti, PhD Sociology – https://www.researchgate.net/profile/Andrea_Membretti/publications –
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