La corsa è diventata un’abitudine imprescindibile per molti. Lo vediamo anche in montagna dove una volta il passo cadenzato era l’unico modo di procedere, mentre ora la corsa è uno dei tanti modi “normali” con cui scegliere di fruire dei sentieri. La corsa è ormai parte della nostra quotidianità e lo si percepisce chiaramente in questi giorni in cui si è realizzato un paradosso che nessuno poteva immaginare: non correre per la salute. Soprattutto per chi abita nei grossi centri urbani, in cui gli spazi sono limitati, è una faticosa rinuncia. Serafin ci ricorda però un tempo in cui correre non era da persone “normali”.

Qui la puntata del podcast in cui si racconta anche di questo

Niente corsette per le strade, ci vuole pazienza. Lo dice un po’ arcigna anche Mara Venier, veterana delle maratone domenicali televisive: basta per ora con queste corsette al parco. Contrario al divieto è invece il professor Silvio Garattini, scienziato e farmacologo: non lo condivide perché fare attività motoria, camminare o correre fa bene alla salute, rinforza le difese immunitarie. Eppure a ben guardare c’è stato un tempo, fino a una cinquantina d’anni fa, che tra le persone “normali” non correva nessuno. E non è che si stesse peggio anche se poi la speranza di vita per varie ragioni si è allungata. Chi provava a correre si trovava di fronte a due spauracchi: quello di Dorando Petri, miseramente crollato al traguardo della maratona olimpica di Londra nel 1908 quando era in testa e quello di Jim Fixx, profeta della corsa e autore del best seller (un milione di copie!) “The complete book of running” stroncato a 52 anni da un infarto. Il leggendario Jacques Mayol si affidava allo yoga per le sue prodigiose immersioni in profondità rifiutandosi di fare jogging perché – sosteneva – nel mondo animale non si corre se non in caso di necessità: quando si è inseguiti da un predatore o quando si insegue una preda, stop. 

Grande libro della corsa copia Mezzo secolo di corsette
Copertina del best-seller del 1977 di J. Fixx.
In apertura: Stramilano degli anni ’70

Poi negli anni settanta tutto è cambiato. Nelle strade di Milano si riversò ogni mese di aprile la folla ansimante della Stramilano. Cittadini che per un giorno credettero nel moto come mezzo per combattere stress e depressione. Sul carro saltarono sponsor e politici e il fenomeno dilagò diventando un business redditizio con la disinteressata collaborazione di centinaia di volontari disposti a distribuire sostanze energetiche ai rifornimenti o a frenare gli impeti dei partenti formando una muraglia umana ai piedi del Duomo. 

Se per il resto dell’anno parecchi di questi “atleti” non andavano neanche dal tabaccaio senza l’automobile, poco importava. La colpa, si disse, non era soltanto loro, ma di una città che poco invoglia e che raramente induce al moto. Importante, come osservò il professor Francesco Conconi, discusso luminare della fisiologia sportiva non estraneo a certe alchimie per migliorare il rendimento degli atleti, è non diventare prigionieri di uno schema mentale che vuole tutti sedentari dopo una certa età, tutti schiavi di una vita frenetica che non concede spazi all’attività fisica.

Chi fin da subito ha creduto nella panacea della corsetta cominciò in quegli anni settanta a cimentarsi al campo del XXV Aprile sotto lo sguardo severo del campione Alberto Cova che aveva un suo percorso personale sulla montagnetta riservato a pochi eletti. Scendere in pista dapprima lo facevano quasi vergognandosi i quarantenni con la pancetta da mandar giù e le vesciche ai piedi di cui si era rivalutata l’utilità non solo per premere sull’acceleratore e il pedale della frizione. L’ingresso al XXV Aprile costava mille lire ed erano mille lire di salute, un’inezia. 

Il XXV Aprile fu la roccaforte di un’istituzione della corsa amatoriale, il famoso club de Mesdì. A mezzogiorno gli iscritti si ritrovavano tutti in pista nell’intervallo mensa. Fra loro si trovava di tutto: maratoneti, alpinisti, subacquei. Sulla rivista “Vai” (Corri, cammina e scia), il pilota di jet Giustino del Vecchio che ne era editore impartiva lezioni su come sfruttare al massimo il beneficio fisico della corsa. E puntualmente ripeteva il ritornello: la corsa è un ottimo mezzo per vincere lo stress, per allentare le tensioni di un sistema di vita inevitabilmente competitivo, per vivere meglio. Però prepariamoci: a emergenza finita ci sarà di nuovo una gran voglia di correre all’aria aperta.  (Serafin)

27 Marzo 2020
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MountCity

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