Storie incredibili quelle attorno alla costruzione dei trafori, eppure vere. Ecco grazie a Paolo Crosa Lenz un assaggio della storia del tunnel ferroviario del Sempione con tanto di villaggio effimero…

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Paolo Crosa Lenz, uno dei maggiori storici dell’Ossola e delle sue valli, direttore del periodico “Il Rosa”, scrittore e autore di guide della sua terra ha fatto dono a noi blogger di pianura di importanti materiali storici locali. Sono testi che gli insegnanti possono utilizzare nella didattica sotto il titolo “La scuola al tempo del coronavirus”. Tre puntate sono già state pubblicate in mountcity. Riguardavano sciagure e pestilenze, riti di ringraziamento per scampati pericoli e pubblicazioni di grande valore storico.  Di particolare interesse va ora giudicato il dossier che riguarda l’epopea del tunnel ferroviario del Sempione tra il 1898 e il 1905. Un’impresa titanica.

Di un Far West alpino racconta Crosa Lenz, un mondo animato da varia umanità, purtroppo con morti sul lavoro, ma anche con uomini straordinari mossi da alti ideali. È l’epopea dei trafurett, di coloro che hanno “traforato” il Sempione. Tra il 1898 e il 1905 durante gli scavi il paesaggio e la vita sociale della Val Divedro vengono dunque trasformati. Varzo e Iselle vedono affluire operai provenienti da tutta l’Italia che sono impiegati sia sul versante italiano sia su quello svizzero dell’imbocco di Briga (una cospicua colonia di immigrati italiani è presente ancora oggi a Naters). 

Cartolina tunnel Sempione copia 2 L’epopea dei trafurett
Cartolina
In apertura: Minatori con macchina perforatrice
(Immagini dalla Collezione Laura e Giorgio Aliprandi)

Inizia l’epopea di Balmanolesca, il villaggio dei minatori formato da casette di legno allineate lungo un chilometro di strada poco sotto Iselle, accanto all’imbocco sud del tunnel. E’ popolato dai citati trafurett, i minatori del traforo. Per i montanari ossolani, che da pascoli e alpeggi osservano con stupore eventi straordinari, la Val Divedro diventa la Val dul bòcc (la valle del buco). Il villaggio provvisorio di Balmanolesca ha tra i 7.500 e gli 8.000 abitanti ed è provvisto di negozi, magazzini, osterie e botteghe artigiane, una scuola e una chiesetta dedicata a Santa Barbara, la caserma dei carabinieri e il cimitero, l’ufficio postale. Nelle sue vie si odono dialetti di tutta Italia. La crescita delle residenze  però disordinata e incontrollata, senza pianificazione, i proprietari speculano sul sovraffollamento del cantiere e sul disperato bisogno di posti letto. Ogni camera ha almeno quattro letti; in ognuno dormono due persone che si alternavano due o tre volte al giorno a seconda dei turni di lavoro. Lungo la strada, negozi e osterie portavano insegne regionali: Cantina canavese, Fiaschetteria toscana, Cantinone delle Puglie, Sartoria lombarda, ecc. La provenienza regionale degli operai comprende tutta l’Italia: Marche e Abruzzi (18 %), Piemonte (17%), Emilia (15%), Lombardia (14%), Calabria (13 %), Veneto (12%) e, a seguire, tutte le altre regioni, nessuna esclusa.

Oggi Balmanolesca non esiste più. Rimane nelle cronache sulla stampa locale e nella memoria sbiadita dei montanari della Val Divedro. Con la fine dei lavori, l’effervescenza di vita e di passioni del popoloso villaggio di minatori cessò nel breve volgere di qualche mese. Il cantiere, i bagni e l’ospedale furono smantellati. Poche famiglie rimasero e Balmanolesca rivisse una breve stagione di vita durante i lavori per il secondo tunnel che iniziarono nel 1913. L’alluvione del 1920 distrusse il villaggio: in nove giorni caddero 423 mm di pioggia di cui 265 in meno di 48 ore. Attorno a mezzanotte del 29 settembre un’onda di piena della Diveria travolse e spazzò il villaggio trascinando con sé, oltre alle baracche rimaste, la chiesetta di Santa Barbara. Di quel villaggio, vissuto sette anni e sorto all’improvviso lungo un torrente alpino dove prima esisteva solo una vecchia caserma napoleonica e qualche baita, non rimase quasi nulla. Degli uomini che realizzarono la titanica impresa, gli “eroi del Sempione”, rimane invece memoria riconoscente e rimangono i versi di Giovanni Pascoli: “Uomini, è il giorno settimo: guardate / che ciò che voi faceste è buono!”.

27 Agosto 2020
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MountCity

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