Marco Albino Ferrari dedica il suo ultimo romanzo alla madre, figura moderna, affascinante e misteriosa.
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Alla sua adorata madre Marco Albino Ferrari dedica “Mia sconosciuta”, il romanzo edito da Ponte alle Grazie (240 pagine, 16 euro). Ne fa il nome nel penultimo rigo, come se avesse esitato per tutto il libro a citarla, la povera Rosamaria, che tanto lo scrittore ha nel cuore ma che gli risulta ancora in parte sconosciuta come risulta fin dal titolo.
Si può concordare con Ferrari sul fatto che nessuno conosce i propri genitori. Ma viene da dissentire quando egli afferma che loro conoscano bene noi figli. Già, ci hanno visto nascere, crescere, farci adulti. Ma bisogna levarsi dalla testa che i genitori sappiano tutto dei figli, specie in fase adolescenziale. Non è azzardato poi affermare che due sono le madri che hanno fatto di Marco Albino l’uomo che è, descrivibile con i termini affascinante, colto, impavido, ambizioso, comunicativo, affabile.
Qualche dubbio? L’altra madre è la montagna alla quale l’autore si è sempre mostrato devoto e che Rosamaria tanto ha contribuito a rendergli famigliare conducendolo fin da piccolo per sentieri e bivacchi fino alle alte quote. Di questa passione perfettamente condivisa tra madre e figlio si scoprono nel libro particolari interessanti, a volte anche commoventi.
Ma niente si legge che già non si sappia del ruolo dei genitori nell’iniziare i figli alla montagna e all’alpinismo. Sfogliando “Montagna primo amore” pubblicato nel 1991 dal Cai, si scopre che per Tomo Cesen ragazzo il padre comprò la corda di arrampicata sacrificando un quarto del mensile. Catherine Destivelle venne avviata all’arrampicata (a Fontainebleau) dai genitori a quattordici anni perché non andasse in discoteca. Gogna fa invece le prime escursioni con la madre Fiammetta ma era il piccolo Sandro a indurla a seguirlo. E poi c’è Massimo Mila, celebre musicologo alpinista, che nei suoi “Scritti di montagna” (Einaudi, 1992) apre l’autobiografia alpina con queste parole: “La persona che mi avviò alla montagna fu quella che più tardi avrebbe dato qualunque cosa per allontanarmi: cioè mia madre”.
Nelle foto d’epoca che Ferrari ci mostra in copertina e in un poetico filmino Mariarosaria era bella, vestita da alpinista, la figura slanciata, il volto abbronzato aperto in un sorriso che è lo stesso del figlio. Sapeva a memoria le cime del Monte Bianco. Ed era una donna misteriosa Mariarosa, inafferrabile, velleitaria nelle sue scelte di vita. Compresa quella di legarsi in modo clandestino con un compagno come Edi Consolo, eroe della Resistenza. Del padre, uomo sfuggente e “alternativo”, mai conosciuto, l’autore viene tardivamente a sapere solo in modo casuale da una sorella nata da una precedente unione.
D’altronde Mariarosaria poteva concedersi una vita movimentata da single grazie all’eredità ricevuta dalla famiglia, tra le fughe in montagna, il pianoforte, la pittura, la galleria d’arte a Portofino, le frequenti visite al bar milanese Giamaica tanto amato dagli artisti che lei frequentava. Su questo composito scenario, Ferrari ha l’agio di intervenire offrendoci immagini dettagliate del tempo che fu, compresa quella Milano piena di macerie dei bombardamenti che lui era troppo piccolo o non era ancora nato per ricordare.
Mariarosaria è stata anche un’efficace consigliera nella vita professionale di Marco Albino Ferrari. Ma l’affetto che Marco Albino nutrì per lei non basta a nascondere il sollievo quando, ormai anziana, da tempo preda di crisi respiratorie improvvise, se ne andò all’altro mondo. Fu così che il giovane Marco Albino ritrovò una libertà che gli fu in parte negata come figlio unico. Per carità, sono cose che capitano nelle migliori famiglie anche quando non si è figli unici e non si ha il modo di cercare effimere compensazioni scalando montagne. Ma Ferrari è riuscito a raccontarlo facendo con sapienza vibrare molte corde e non c’è dubbio che questa inquieta figura femminile rimarrà fortemente scolpita nella memoria di chi avrà la ventura di leggere questo appassionante romanzo profumato di cipria e di erbe alpine. (Serafin)
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