Giunge la notizia che a Fausto De Stefani è stato assegnato più che meritatamente il riconoscimento della 53ª Targa d’Argento del Premio Internazionale di Solidarietà Alpina. Roberto Serafin ce ne offre un ritratto, per quanto un uomo come De Stefani sia difficile da inquadrare. E questo è senz’altro da annoverare tra i tratti che lo rendono persona di valore.
Fausto De Stefani sfugge agli schemi
Qualcuno lo definisce “l’alpinista della porta accanto”. Definizione appropriata? Fausto De Stefani brilla nel firmamento alpinistico (e non solo in quello) per la sua umiltà, la saggezza di chi vive la montagna senza velleità di conquista, il costante dialogo con la natura. Prendendo spunto dal padre Dante lo definirei amichevolmente uno spirito bizzarro, impegnativo da inquadrare in questo mio scritto motivato dal fatto che quest’anno a Pinzolo, nel Trentino, ha ottenuto un importante riconoscimento per la generosità con cui si spende da quando ha smesso di frequentare gli ottomila. Gli viene infatti assegnata la Targa d’Argento, 53ma edizione del Premio Internazionale di Solidarietà Alpina.
Il Comitato della Targa lo definisce “una persona fuori dagli schemi, libera e creativa, di straordinaria umanità, affascinante e carismatica”. Meglio tardi che mai, si direbbe. In tutti questi anni sulla ribalta della Targa è passata una miriade di altri benemeriti “di straordinaria umanità”. Ora finalmente è il suo turno. De Stefani, 72 anni compiuti l’11 febbraio, viene definito dagli amici di Pinzolo un visionario che avverte l’urgenza (e noi tutti con lui) di cambiare il mondo per crearne uno migliore. Un’idea che lui fa di tutto per mettere in pratica.
Niente di nuovo sotto il sole però. E’ trascorsa una ventina d’anni da quando i delegati del Club Alpino Italiano gli consegnarono a Cuneo il diploma di Socio onorario firmato dal presidente Annibale Salsa (diploma che quell’anno toccò anche ai benemeriti Franco Bo e Camillo Berti) “per il suo impegno nell’ambito tecnico delle Scuole di Alpinismo, in quello ambientale e della solidarietà, alpinista di punta sulle Alpi e in Himalaya ove ha salito i quattordici ottomila”.
Da allora Fausto continua a occupare la scena. Vive alla Collina di Lorenzo in provincia di Mantova, un’oasi naturalistica dove trascorre la sua vita operosa e dove ricordo che andai a trovarlo diverso tempo fa. Ero stato incaricato da amici di portargli un riconoscimento sotto forma di targa. Credevo di farlo felice ma quella targa non gli piacque. Avrà avuto le sue buone ragioni. Alpinista tra i primi a salire tutti gli 8.000 a cominciare dal K2 salito nel 1983, Fausto è un uomo di carattere al quale non manca una certa dose di orgoglio.
Fausto De Stefani uomo di fatti più che di parole
La prese male anche quando un giornalista lo rimproverò di avere portato sulla vetta di un ottomila uno striscione con la scritta “peace”. Quello stendardo non era meglio esibirlo sulle piazze e lasciare in pace le montagne? Non fu il solo Fausto a portare quel messaggio sulle vette più importanti mentre in Medio Oriente rombavano, tanto per cabiare, i cannoni. Ma senz’altro il suo stile di vita, la sua filosofia era ed è in perfetta sintonia con quei messaggi tutt’altro che inopportuni.
Nel 1998, conclusa la sua attività alpinistica, Fausto sentì di essere in debito con il Nepal e cominciò costruirvi una scuola a favore di bambini di strada e comunità in difficoltà, la Rarahil Memorial School a Kirtipur, a sei chilometri da Katmandu. Il complesso è in continuo sviluppo. È dotato di aule, palestre, ambulatori e oggi ospita 1000 allievi dai 3 ai 16 anni.
Laggiù De Stefani si reca due volte all’anno a portarvi le offerte e le donazioni che raccoglie con la sua attività. Davanti alla notizia dell’assegnazione della Targa d’Argento, portatagli dal Comitato del Premio Internazionale di Solidarietà Alpina, si apprende che si è detto “onorato”, non una parola in più. Credo che la sua soddisfazione sia andata di pari passo con la sua discrezione. In un comunicato dei promotori viene sottolineato rispettosamente che da De Stefani furono accolti con poche scarne parole, “le parole di un uomo vero, schietto e propositivo”. Di sicuro, sabato 21 settembre, data fissata per la cerimonia di consegna, Pinzolo avrà modo di conoscerlo meglio.
Durante il mio incontro di tanti anni fa non ci volle in ogni modo molto per capire di che pasta fosse fatto. A tavola davanti ad alcune ghiottonerie dalla cucina mantovana mi raccontò dei suoi progetti poi puntualmente realizzati. Poi estrasse da un cassetto alcune splendide immagini naturalistiche frutto del suo talento di fotografo e me le mostrò. Infine, dopo il caffè, ci recammo nel suo orto dove si affaccendò a lungo con zappa e badile, novello Cincinnato o se si vuole, in questa circostanza, alpinista della porta accanto.
L’impegno del volontariato: per De Stefani più difficile di un 8000 se fatto non con superficialità
In quell’occasione mi confidò il suo piacere di lavorare con i ragazzi che hanno ancora la capacità di stupirsi e “vedono colorato” anziché il grigio omologato del mondo adulto. L’interesse ad alimentare la passione per l’ambiente nelle giovani generazioni si manifestò anche quando prese le redini dell’associazione Mountain Wilderness Italia divenendone il presidente dopo avere partecipato alla sua nascita.
Oggi di questo impegno è testimonianza dalle sue parti l’Officina delle storie creata con oggetti antichi, depositari di un sapere antico che De Stefano illustra in decine di conferenze nelle scuole. “Ho iniziato a viaggiare nel mondo”, mi raccontò, “perché da piccolo mi hanno raccontato le favole. Tuttavia non pensavo che fare volontariato fosse una cosa tanto difficile. Se la si affronta con superficialità e improvvisazione si rischia, anche involontariamente, di provocare danni incredibili”.
Ascoltandolo, mi colpì la sua visione dell’alpinismo nell’aria sottile. Un’esagerazione, ma fino a un certo punto. “Salire un ottomila”, disse, “è paragonabile ad andare a fare un pic-nic il fine settimana, rispetto all’impegno di costruire bene una scuola in Nepal e farla funzionare”. E a dirlo, non so se mi spiego, è uno che di Ottomila se ne intende.
L’alpinismo di Fausto De Stefani
De Stefani arrampicò con Clemente Maffei Guerét, Cesare Maestri, Sergio Martini, Carlo Claus, Ermanno Salvaterra, Almo Giambisi e il compianto Giuliano De Marchi che gli prestò soccorso durante una salita a quota ottomila e al quale dedicò un ambulatorio dopo che Giuliano, vittima poi di un incidente mortale nelle Dolomiti, espresse la volontà di aiutarlo nel progetto Rarahil. Ora però l’ambulatorio si chiama “In cammino per Luca” ed è dedicato a un medico di Valmadrera e non mi è chiara la ragione di questo cambiamento.
Da sempre per concludere lo accompagna l’idea che la montagna sia meglio viverla che conquistarla. E in questo considera un suo maestro sir Edmund Hillary che incontrò l’ultima volta al TrentoFilmfestival. “Al di là del mito” spiega, “Hillary è un uomo di grande spessore umano, e la sua dimensione supera quella di tutte le montagne da noi scalate. Il grande, autentico amore che gli riservano i nepalesi ha una dimensione quasi sacrale. La grande avventura degli ottomila ha in lui questo riferimento assoluto. Di una cosa sono più che mai convinto. Ciò che rimane degli 8000 saliti è la traccia che si è lasciata tra quella gente. E da questo punto di vista Hillary resta un esempio insuperabile”.
D’accordo, l’alpinismo non è uno sport, non ci sono né regole né giudici alle cui sentenze doversi sottomettere. Nell’alpinismo, forse più che nel mondo dello sport, l’esigenza di un’etica condivisa appare sentita. Non a caso De Stefani fu uno degli alpinisti impegnati nella spedizione “Free K2”, che Mountain Wilderness organizzò per liberare la seconda vetta della Terra dalle corde fisse e dalle immondizie abbandonate in parete e ai campi base nei decenni precedenti.
Qualcuno ha detto che se si riuscisse a vivere serenamente il nostro alpinismo, senza gli sponsor e i veleni che lo inquinano, si troverebbe finalmente il modo giusto di andare in montagna. E nessuno mette in dubbio che quel modo giusto sia una prerogativa di De Stefani anche se occorrono uomini eccezionali e un po’ bizzarri come lui per metterla in pratica.
Roberto Serafin
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