Beppe Guzzeloni, educatore professionale, istruttore di alpinismo della Scuola Silvio Saglio della Sem, ci offre una riflessione sui temi del limite, della rinuncia e del modo di approcciarsi alla montagna, partendo dalla lettura del recente libro “La montagna sacra” di Enrico Camanni e dal progetto “Una montagna sacra”. Il tema è ampio, articolato e profondo, sono dunque in futuro ben accetti altri contributi che lo vogliano indagare.
“… a queste sensazioni ecco immancabilmente associata la visione della montagna, quasi un simbolo della libertà che sogno, della vita ideale qui irrealizzata… La mia montagna, come io la vedo e la sento, è il simbolo del mondo che mi ero figurata da bambina e che amo, e che non ho trovato…” da “Non sono un’alpinista” di Bianca di Beaco ed. CAI
Una questione di relazione tra natura e essere umano
Come sappiamo, la storia dei popoli è il racconto delle profonde relazioni che gli esseri umani hanno stabilito e stabiliscono con l’ambiente che li circonda.
L’uomo che vive l’ambiente naturale ne percepisce la smisurata forza e imprevedibilità, reagendo con energia per ristabilire l’equilibrio tra sé e quell’ambiente. Adattandosi, sfruttando e utilizzando potenzialità e strategie per difendersi dagli attacchi della sua potenza, senza mai dimenticare, ma l’ha dimenticato, che non può mancare di rispetto alla natura che, da madre accogliente e nutrice che tiene in vita la vita, può repentinamente tramutarsi in matrigna punitrice che non stilla più nutrimento. Da luogo e spazio che include a fonte di allontanamento ed esclusione.
Questo accordo tra uomo e natura è rimasto imprescindibile per molti millenni di vita sulla terra determinando la cultura dei popoli, attraverso i luoghi, la configurazione geografica, l’economia, la storia, l’architettura, le religioni e l’identità. E al rapporto costante tra uomo e natura si sono ispirati poeti, letterati, filosofi, teologi, antropologi, pedagogisti, economisti, sociologi nei loro singolari e specifici approcci, arrivando ad una visione condivisa: la natura, l’ambiente naturale sono il primo campo dell’esperienza umana e luogo di acquisizione di competenze le più ampie e svariate; dove il sapere umano trae linfa vitale.
Il rapporto uomo-natura nel corso dei secoli, però, ha raggiunto un limite critico di artificialità, che oggi ormai constatiamo quasi quotidianamente. L’accelerazione e globalizzazione del degrado, la compromissione di importanti processi della biosfera, la radicale modificazione tecnologica del paesaggio e la crisi stessa delle città hanno reso evidente la scomparsa del confine tra domestico e selvaggio. Un profondo mutamento dello stato naturale che rende più urgente una riflessione sul rapporto non solo tra essere umano e natura, ma anche tra umano e animale. E nel frattempo l’habitat alpino, nella sua specifica identità, viene alterato e modificato a piacimento attraverso un’urbanizzazione dell’ambiente montano che spinge la natura al collasso, manifestazione di quella visione antropocentrica per cui la Terra non è una partner di cui avere e prendersi cura, ma un terreno di conquista e soggiogamento.
La lettura dell’ultimo libro di Enrico Camanni “La Montagna Sacra”
E luce su queste considerazioni mi è stata data, in questi giorni di inizio estate, dopo una primavera irascibile e capricciosa, dalla lettura dell’ultima fatica di Enrico Camanni: “La Montagna Sacra” edito da Laterza. Un libro per me bello e significativo, da leggere e da farsi leggere. Un libro, un titolo, una proposta e uno sguardo che, oltre guardare lontano, si sofferma sul molto vicino. E dentro di me, sospingendomi a interrogarmi su quanto l’andare in montagna, oggi, sia funestato dalla frenesia consumistica che incide profondamente e negativamente sull’ambiente alpino. E di conseguenza, mi pongo domande su quali risposte poter dare e come attuarle, come socio CAI, ma soprattutto personalmente, poiché ogni atto è tale solo se trova il suo fondamento in sé stesso, espressione della propria libertà e responsabilità.
Il libro di Camanni è scritto per dare maggior voce al documento e al progetto, “Una Montagna Sacra” per il Centenario del Parco Nazionale del Gran Paradiso (1922) a cura del Comitato di promozione di cui fa parte lo stesso autore. Un documento frutto di riflessioni nate durante il periodo pandemico che fu caratterizzato da chiusure e confinamenti nelle proprie case. Tali restrizioni hanno, in seguito, causato un’esplosione di presenza umana in molti spazi naturali, tra cui l’ambiente alpino. E questa “invasione” ha imposto e impone nuove riflessioni, e nuove azioni, verso la necessità di rispetto e tutela di tali contesti. E, quindi, anche le attività ludiche che in essi vengono svolte pongono problemi di impatto ambientale. E nello specifico, anche per tutte quelle attività che vengono realizzate in montagna, dall’alpinismo, all’escursionismo, allo scialpinismo, allo sci, alla mountain bike … che influiscono sull’ambiente non tanto coi mezzi, che in sé sono eco-compatibili, con cui vengono praticate, ma a causa della presenza massiccia (intensità e frequenza) del fenomeno. E, per di più, come tali attività vengono vissute: non come frequentazione consapevole di un ambiente, ma come occupazione e consumo di spazi e contesti di particolare fragilità (turismo di massa). Invasività che ha portato all’esclusione dell’alterità, di altre specie animali e vegetali escluse dall’antropizzazione che rende sempre più difficoltoso l’adattamento ai nuovi ambienti delle specie emarginate. Fenomeno che crescerà negli anni a venire.
È in seguito a queste considerazioni che è stato proposto da dodici personalità del mondo della montagna il documento (e il progetto) lanciato sui canali social (Gogna-Blog, L’AltraMontagna…) e ripreso da vari mezzi di comunicazione, finalizzato a sensibilizzare l’opinione pubblica che frequenta con una certa assiduità le montagne, su queste tematiche: invasività e alterità, conquista e limiti.
Il documento e il progetto “Una Montagna Sacra”
I promotori del documento, che ha scatenato adesioni, perplessità, confronti serrati, propongono di eleggere il Monveso di Forzo 3322 m, un monte secondario del Parco Nazionale del Gran Paradiso, ma di elevata bellezza, come Montagna Sacra. Una montagna consacrata alla natura, scrive Camanni, da cui escludere ogni persona umana. Un’idea “estrema” in quanto vuole capovolgere alcuni nostri modelli culturali, da no-limits a off-limits, di grandissimo valore simbolico. Una Montagna Sacra che non è e non sarà un luogo di divieti; non sarà e non è un’imposizione.
In che senso Sacra? Non certo nel senso religioso, come avviene in altre parti del mondo (Nepal, Cina, Australia), ma laico. Il progetto è una proposta, una sollecitazione, un invito alla riflessione e alla scelta, non certo un obbligo, che si interroga sull’importanza di porsi dei limiti, di spostare lo sguardo dal proprio tornaconto ad un’etica della responsabilità, dall’individualismo al senso del bene comune.
La logica del limite e della rinuncia
Da una logica di conquista ad una logica del limite e, anche, di rinuncia. Sottrarre, togliere non sono sinonimi di sacrificio, di un sacrificio fine a sé stesso: avere a cuore l’ambiente alpino è possibile se ci si allontana dalla logica consumistica. Il sacrificio nella sua dimensione simbolica è un passaggio che inaugura un processo di umanizzazione. Rinunciare ad una quota di soddisfacimento personale è poter accedere ad una dimensione più umana della vita. Una rinuncia di sé che si costituisce come dono, come responsabilità verso l’ambiente alpino, verso quelle montagne che tanto amiamo. Parole dure, scelte difficili. Lo so. Con tutta l’ambivalenza che ci portiamo dentro.
E come ricorda Jaques Deridda, il trauma del passaggio dal piano etico della generalità, dei valori universali, del discorso condiviso, all’irriducibilità singolare dell’atto, della scelta che infrange quella generalità (il discorso condiviso e l’universalità) è la singolarità della decisione che tradisce l’etica. La responsabilità esige la singolarità insostituibile. Solo così si è responsabili.
È richiesto un cambiamento per accogliere il seno della Montagna sacra
Il Progetto “Una Montagna Sacra” afferma che è tempo di cambiare. È tempo di decidere. Non dobbiamo lasciare alla logica consumistica e predatoria il potere di scegliere sul nostro futuro. Oggi, e non domani. Siamo all’oggi perché la stessa opportunità di cambiamento che era possibile ieri, è stata rimandata a oggi. Come scrive Heidegger in Essere e Tempo, io sarò stato quello che sono in base a quello che ho deciso di poter essere. Al centro, come si vede, è “l’uomo nel suo adesso come ultima ora, nel senso dell’ora della decisione.
“Una Montagna Sacra” che porta in sé non la conquista fisica, non la prestazione, non il possesso, ma parla di un approccio spirituale, di luoghi da lasciare “inviolati”, luoghi di ispirazione e contemplazione. Luoghi da vivere dal basso osservandone la cima con stupore. Il Sacro è il luogo dell’assoluto, anche nel senso che è svincolato da ogni forma di rapporto e di relazione. Il Sacro è rendere visibile l’invisibile, è stabilire una relazione con ciò che sfugge ad ogni relazione. Il Sacro non concerne i suoi contenuti, ma la sua forza di apertura all’inedito, all’eterogeneo, all’inassimilabile. Sacro è apertura al Mondo.
La Montagna Sacra è la nuova scommessa dell’andare in montagna; rappresenta, almeno per me, l’espressione di una esigenza iniziatica, di rinascita di un andare in montagna dotata di un senso nuovo. Un’esigenza che esiste da molto tempo anche se soffre di ambivalenze e di paure nell’esporsi. Il termine Sacro rimanda ad una delle caratteristiche dell’iniziazione; le altre sono “l’assenza di alternative e l’irreversibilità”. E ciò richiede l’inoltrarsi di una prospettiva, molto ardua, di cambiamento di paradigma culturale e individuale. Accogliere la proposta della Montagna Sacra significa delineare pensiero e azione in modo deciso e concreto. Non vi sono alternative poiché il procedere nefasto della logica capitalistica, del “discorso del capitalista” come affermerebbe J. Lacan, non prevede reversibilità, anzi!! Accogliere il senso della Montagna Sacra vuol dire “iniziarsi” a intraprendere un cammino nuovo. La Montagna sacra è un metterci con le spalle al muro: la trasformazione è possibile se vi è l’irreversibilità della scelta di come vivere la montagna e la sua frequentazione. Infatti, la reversibilità delle scelte farebbe mancare quel carattere di trasformazione possibile e doverosa delle persone e dell’ambiente alpino.
Una questione d’amore
E, come ben scrive Camanni, la montagna, diventando bene di consumo, svuota qualsiasi possibilità di cambiamento e, per me, di una valenza iniziatica. Narcisisticamente non accettiamo di rinunciare a nessuno dei nostri bisogni che a volte vengono scambiati come diritti. La Montagna Sacra è una proposta che fa “innamorare” e come ogni innamoramento dovrebbe essere concepito e vissuto come movimento portatore di un progetto d’amore. La spinta a trascendere dall’innamoramento all’amore corrisponde al desiderio del passaggio iniziatico che plasmi pensieri, scelte e azioni che contengano in sé il significato della rinascita e della ripartenza. La Montagna Sacra come innamoramento e iniziazione, non promuove tanto il rapporto con una persona o la montagna, quanto il rinnovamento di chi ama.
Se l’alpinismo oggi è in crisi è anche perché si rifiuta di riflettere sulle proprie origini, sul proprio percorso dentro la cultura occidentale che ne è stata la culla generatrice e sul proprio mito di creazione. Esso ha una funzione terapeutica, perché il mito delle origini è anche orientamento per il futuro. Tutta la storia dell’alpinismo, non solo quella ufficiale, ma anche quella “dietro alle quinte” (Lorenzo Revojera) o “la controstoria” (Andrea Zannini) è la storia di una intensa passione amorosa, un discorso erotico sulla montagna. Sì, credo che la Montagna Sacra sia una proposta d’amore.
Beppe Guzzeloni
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Sono colui che tiene le fila di quest’intreccio di idee, contenuti e competenze che è Fatti di Montagna. In un certo senso, essendone l’ideatore potrei anche definirmi come primo (cronologicamente parlando) partner. Ci tengo che si capisca che Fatti di Montagna non è il mio blog, ma uno strumento che serve per raccontare la montagna.
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