Ci ha lasciato Annelise Rochat in punta di piedi, come era nel suo stile schivo. La salutiamo con i ricordi, raccolti da Serafin, di chi l’ha conosciuta e ha potuto condividere con lei momenti di grande alpinismo.

Qui il podcast in cui ascoltare anche questa notizia

Fra i tanti lutti della pandemia è possibile che in una grande città come Torino le scomparse “eccellenti” diano meno nell’occhio. Ed è un peccato che il 19 aprile solo pochi intimi abbiano saputo della scomparsa di Annelise Rochat, eccellente alpinista, grandissima amica della montagna. Non ha lasciato autobiografie romanzesche Annelise e nessun filosofo, che si sappia, le ha dedicato saggi eruditi. Il suo amore per la montagna è tutto scritto sulla roccia e nel ghiaccio. Anche il gruppo occidentale del Club Alpino Accademico Italiano è stato preso in contropiede e per disporre di una scheda biografica aggiornata di Annelise si è dovuto rivolgere all’amica Oriana Pecchio, medico, giornalista, alpinista, compagna di escursioni e di arrampicate della Rochat.

Prima donna a entrare nel Gruppo Accademico Occidentale del Cai Annelise è nata a Torre Pellice nel 1948. Oriana la ricorda come uno spirito ribelle e indipendente. Insieme Annelise e Oriana parteciparono a una spedizione alpinistca in Himalaya tutta al femminile che fece epoca negli anni Settanta di cui fecero parte, tra le altre, Mariola Masciadri, Annalisa Cogo e Alessandra Gaffuri.

Immancabile era la presenza della Rochat alle riunioni del Club alpinistico accademico di cui era orgogliosa di fare parte. “Se ne è andata in punta di piedi com’era nel suo garbato modo di essere” ha osservato in FB l’amico pinerolese Marco Conti. Che di Annelise si professa allievo quando era ancora un ragazzino e “non riusciva a capacitarsi che uno dei suoi primi maestri fosse proprio una donna, così minuta e gracile ma anche così forte e tenace da poter far cordata con gente del calibro di Gogna, Bernardi e Casarotto”.

Si è appreso dalla Pecchio che l’amica Annelise si era avvicinata all’alpinismo nell’ambiente pinerolese e torinese, compiendo le sue prime esperienze sulle Alpi Marittime, Cozie e Graie, ed effettuando ben presto ripetizioni di vie classiche come lo Sperone della Brenva e la Cresta dell’Hörnli del Cervino. Grazie alle sue capacità eclettiche su roccia e ghiaccio la Rochat era entrata a far parte di una ristretta cerchia di alpinisti torinesi quali Gianni Comino, Gian Carlo Grassi, Gian Piero Motti e Marco Bernardi. Nel 1980 si era cimentata sulle goulotte scozzesi agli albori della piolet–traction. 

Capo Noli Annelise l’antidiva
A Capo Noli Ugo Manera, Marco Bernardi, Annelise Rochat ed Enrico Pessiva
In apertura: all’uscita della via Micheluzzi in Marmolada.
(Foto pubblicate, per gentile concessione, dall’archivio di Alessandro Gogna/K3 Photo Agency)

Sempre negli anni Ottanta questa ragazza indomabile si era dedicata alla ripetizione di grandi vie classiche e di difficili itinerari moderni sia nel massiccio del Monte Bianco (da ricordare la prima invernale al Couloir Gabarrou–Albinoni al Tacul, la Bonatti al Grand Capucin, la Diretta Americana al Petit Dru), sia delle Dolomiti. E poi Annelise Rochat fece parte di quella corrente innovatrice che ebbe Alessandro Gogna tra i capiscuola e di cui il grande alpinista genovese riferisce nel suo libro “Mezzogiorno di pietra” (Zanichelli, 1982), un cult dell’arrampicata che rivaluta le potenzialità in roccia del Sud Italia nei confronti di quelle classiche e scontate del Nord e dell’arco alpino: dove l’arrampicata viene intesa anche come ricerca ed esplorazione, come modo di vivere. 

Di quel gruppo di cacciatori di emozioni nel Mezzogiorno di pietra fece parte la Rochat partecipando, tra l’altro, all’apertura di due storiche vie di arrampicata in Sardegna nel 1981: la “Via dell’Unicorno” alla Codula di Luna e “Incerto Mattino” a Punta Cusidore. Nel gruppo ben figurarono, oltre a Gogna, Marco Bernardi, Roberto Bonelli, Monica Mazzucchi. Lungo quegli itinerari immersi tra le gole e i profumi dell’isola, raggiunti dopo una lotta con i rovi durante gli avvicinamenti, Annelise dimostrò di saper sfoderare gli artigli con la stessa classe mostrata nelle sue scorribande sul Bianco e in Himalaya. A 72 anni Annelise Rochat se è andata dunque in silenzio nella Torino sconvolta dalla pandemia e la notizia della sua scomparsa non poteva che gettare nel lutto quelli della “minoranza arrampicante” di cui fece parte, amici che hanno apprezzato il suo impegno sulla ribalta del grande alpinismo dimostrando che le donne hanno ancora molto da dire senza temere confronti. (Serafin)

1 Maggio 2020
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MountCity

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