Un recente studio curioso, ma molto interessante dell’Università di Padova e del CNR Isac sfrutta le caratteristiche del ginepro, tra cui la sua longevità, per ricostruire l’innevamento medio sulle Alpi (in Val Ventina) degli ultimi 600
Ascolta la puntata del podcast in cui Daniele Cat Berro ce ne parla
I ginepri testimoni di 600 anni d’innevamento
Un gruppo di ricerca dell’Università di Padova e del CNR Isac, ha analizzato gli anelli di accrescimento dei ginepri in Val Ventina, in alta Val Malenco (SO). Questi arbusti molto diffusi in montagna e alle quote più alte, intorno ai 2000-2500 metri, sono anche molto prostrarti al suolo e vengono facilmente coperti dalla neve anche quando è spessa pochi decimetri. Il loro accrescimento è quindi condizionato dalla durata della copertura nevosa al suolo. Un’altra caratteristica molto importante del ginepro è che è molto longevo. Ha una crescita molto lenta, ma vive diversi secoli.
Mettendo insieme tutti i dati dei campionamenti di ampiezza e caratteristiche degli anelli di accrescimento è stato possibile ottenere un indice a partire dal 1400. Questo indice è stato poi possibile correlarlo all’andamento dell’innevamento, prendendo anche come test gli ultimi decenni di cui conosciamo l’evoluzione a livello strumentale, cioè direttamente misurata.
Il risultato è stato estremamente interessante quanto preoccupante. Da questa ricostruzione emerge che la durata dell’innevamento sulle alpi centrali non era mai stata così breve negli ultimi 600 anni: nell’ultimo secolo si è registrata una riduzione della durata media dell’innevamento annuo di 36 giorni mentre i secoli precedenti erano abbastanza stazionari come durata della copertura nevosa.
Questo risultato concorda con quello di un altro studio di cui avevamo già avuto modo di parlare che identificava per le Alpi Italiane alle quote di 1000-2000 metri una riduzione di 33 giorni della durata annua del manto nevoso.
Ci vogliono strategie d’adattamento che guardino il futuro
Ancora una volta questi studi ci dicono quanto sia importante oggi mettere in campo delle strategie di adattamento dell’economia e della società delle Alpi ad un territorio che è sempre meno innevato.
Ala luce di questo non possiamo non ribadire ancora quanto sia inopportuno destinare ancora copiose risorse all’ampliamento di comprensori sciistici, o al potenziamento di impianti di innevamento programmato. È comprensibile che un’imprenditore dell’industria dello sci difronte ad un emergenza, per adattarsi e mantenere posti di lavoro, impieghi tutti i mezzi a disposizione. Però qui non siamo più difronte ad un’emergenza: siamo di fronte ad una tendenza che è ben delineata da decenni. Abbiamo oggi la fortuna di disporre di previsioni che ci permettono di avere un’idea di cosa potrà accadere in futuro e che hanno ampiamente dimostrato la loro validità negli ultimi decenni. Quindi ai problemi si devono dare risposte non in maniera emergenziale, ma strutturale, cioè con azioni di adattamento che possano essere valide nei decenni. Cosa che si fa fatica ancora a fare.
L’economia dello sci in termini economici e numerici è senz’altro difficile da sostituire e di sicuro non lo si può fare da un giorno con l’altro. Però purtroppo questi sono i dati e ciò che ci aspetta: o mettiamo la testa sotto la sabbia continuando a fare “come si è sempre fatto” o ci diamo da fare per fare in modo che chi oggi lavora in questo settore abbia modo di continuare a lavorare in altro modo.
Questo adattamento poteva iniziare trent’anni fa, ma si è preferito sperare che fossero solo delle anomalie momentanee e continuare con il “business as usual”: un po’ perché la disponibilità di finanziamenti pubblici ha permesso di sopperire alle perdite del settore, un po’ per inerzia collettiva. Ora i nodi incominciano a venire al pettine.
Non si sta dicendo che domani debbano chiudere tutti i comprensori delle Alpi, ci sono zone sopra i 2000 metri dove anche nei prossimi decenni i modelli indicano una riduzione del manto nevoso, ma sicuramente meno gravosa rispetto alle quote inferiori dove l’innevamento sostanzialmente sparirà. Si tratta di capire anche con la scienza del clima quali zone effettivamente meritano un’ aiuto per continuare a tenere ancora per un po’ un certo tipo di economia e in quali invece è meglio lasciar perdere.
Bisogna con intelligenza prendere atto della situazione e delle previsioni ed agire di conseguenza per garantire un futuro migliore all’economia montana rispetto alla “monocoltura” dello sci. Anche i ginepri ce lo dicono!
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