Serafin ci parla del nuovo libro di Crosa Lenz sugli Alpeggi dell’Ossola e di donne che dedicano molto al soccorso in montagna ricoprendo anche ruoli di responsabilità. Poi la selezione settimanale di notizie da spazio ai 70 anni della Cipra che continua ad essere di stimolo per immaginare il futuro (migliore) delle Alpi.
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Alpeggi tradizionali, cosa rimane?
Per oltre sette secoli migliaia di alpeggi hanno costellato i monti dell’Ossola, plasmando il paesaggio e la cultura degli uomini di montagna. Oggi questo mondo è completamente trasformato, ma l’alpeggio rimane centrale per il futuro delle Alpi come racconta Paolo Crosa Lenz nel suo nuovo libro “Alpeggi delle Alpi” (Grossi editore, 35 euro, 416 pagine)
Il libro, risultato di quarant’anni di studi e di cammini per monti e valli, racconta storia e memoria di donne e uomini che in luoghi remoti hanno realizzato il loro destino esistenziale. Vuole anche confermare i “valori buoni” che quel mondo perduto ci trasmette: la nobiltà della fatica, l’impegno comune per raggiungere una meta, una solidarietà vissuta, l’equilibrio con l’ambiente naturale.
“È un libro scritto d’urgenza e in emergenza”, spiega Crosa Lenz. “L’urgenza è quella di provare a raccontare un mondo che non c’è più: storia e memoria fino a quando ce n’è. L’emergenza è stata quella della pandemia: chiusi in casa a cercare di fare qualcosa di buono. Se nel precedente “Leggende delle Alpi” ho provato a raccontare la mentalità del montanaro ossolano filtrata dal mondo fantastico delle leggende popolari, in questo ho provato a raccontare la quotidianità della vita materiale che per sette secoli ha segnato la vita di donne e uomini sui monti dell’Ossola”.
“Oggi l’alpeggio tradizionale è morto, non tanto come luogo fisico ma come luogo culturale. Esistono moltissimi alpeggi in Ossola ancora ‘caricati’, ma il carico non è più quello delle carovane di mandrie, donne e bambini che salivano in quota agli inizi dell’estate. Oggi il carico avviene con i mezzi fuoristrada e la rivoluzione delle strade di servizio, spesso camuffate da piste agro-silvo-pastorali, ha trasformato le antiche baite di pietra in moderne casette intonacate, mentre pochi grandi alpeggi integrano la moderna zootecnia e caseificazione con i servizi ai turisti”.
Soccorritrici in montagna per vocazione
Non sono rare le ragazze innamorate della montagna che diventano soccorritrici per vocazione. Tra queste generose vestali andrebbe subito citata Vera Cenini, che ora non è più tra noi. Vera curò per anni la gestione dell’Albergo dei Bagni in Val Masino. Nel 1965 entrò nel Corpo nazionale soccorso alpino (Cnsa), prima donna in Italia. Dieci anni dopo fu nominata capo stazione e fino al 1991 fu membro volontario emerito. Molto attiva in Lombardia è Renata Rossi, specializzata in canyoning, autrice di guide delle Retiche.
Indossa invece la divisa dei carabinieri Michela Galimberti bergamasca con mamma tedesca e padre italiano. È la prima donna dell’Arma a ottenere il titolo di istruttrice di soccorso in montagna.
Di Cecilia De Filippo, la prima donna a capo di una stazione del soccorso alpino in Veneto si occupa infine in questi giorni il quotidiano Il Gazzettino. In Val Comelico Cecilia guida una quindicina di uomini. Infermiera, vive a Campolongo con il compagno Gino De Zolt, da cui prese il testimone del comando.
“Ora sono al mio terzo mandato”, spiega al giornale, “e forse non potrò più ricandidarmi alla prossima tornata, secondo il regolamento. La scadenza è nel 2023, vedremo se le cose cambiano”. L’impegno è tanto e le ore dedicate al Cnsas non sono mai abbastanza. La speranza è che l’incarico a Cecilia, che resta pur sempre una volontaria, venga confermato anche per i prossimi anni. Cecilia non nega di auspicarlo e sono in tanti a tifare perché ciò avvenga.
Tema: immaginate le Alpi di domani
La Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi (Cipra) in occasione del settantesimo compleanno prova a immaginare come potrebbero essere le Alpi del futuro. In effetti settant’anni fa la Commissione era nata con una visione: un futuro sostenibile per le Alpi, in cui decisioni di sviluppo fossero prese con un’attenzione particolare verso la natura. Nel 1952 questo pensiero era cosa nuova. All’epoca la visione era stata una convenzione internazionale che impegnasse i Paesi alpini in questa direzione. Quasi 40 anni dopo, nel 1991, venne così firmata la Convenzione delle Alpi.
L’house organ “Alpinscena numero 109” – Le Alpi di domani” in distribuzione in questi giorni cerca di sviluppare il tema fin dalla fumettistica copertina mobilitando sette delle migliori firme. Altrettante sono le visioni. Ne fanno parte i drone taxi che conducono al Giardino delle Palme del Cervino, pernici bianche salvate dall’estinzione, villaggi digitalizzati, bisonti che brucano l’erba, treni notturni che circolano con e-shuttle a chiamata riducendo al minimo l’impatto sul clima.
Lo scenario era stato in parte elaborato anche in “Fatti di montagna”, qualcuno lo ricorderà, che aveva immaginato come sarà un capodanno tra i vigneti (oggi ancora inesistenti) del Triangolo Lariano davanti a un piatto di sfiziose cavallette. È in ogni modo possibile riprendere il discorso.
La Cipra non si limita in ogni modo a guardare al futuro, ma offre in retrospettiva un viaggio nel tempo attraverso le Alpi. Infine la parola passa ai giovani. Tra le priorità, si legge, vi è una oculata progettazione delle attività turistiche che andrebbero pensate su tematiche a 360° e per 365 giorni l’anno e non più monotematiche e stagionali, il che le potrebbe rendere più sostenibili sia dal punto di vista ambientale che economico. Rimane inteso che la protezione delle Alpi non deve più essere qualcosa di nicchia in cui “credere”, ma una evidenza comunemente accettata di fronte alla quale tutti ci sentiamo chiamati ad agire. E su questo aspetto non si può che essere d’accordo.
Roberto Serafin
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