Nuovi animali d’allevamento stanno pian piano conquistando spazio sulle Alpi. Si tratta solo di diversivi da parco divertimenti o sono reali opportunità per integrare l’economia da allevamento sulle nostre montagne? Le riflessioni e il dibattito sono aperti…

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Stonano con l’ambiente alpino e lo rendono vieppiù un parco giochi certi nuovi abitatori delle Alpi? Nel sollevare la delicata questione, Luigi Casanova si riferisce a lama, alpaca e cammelli: presenze a suo dire stravaganti mentre una fauna oltremodo pregiata si sta riprendendo spazi di natura dei quali l’uomo l’aveva privata. In questo caso Casanova, attivo ambientalista, presidente onorario di Mountain Wilderness Italia si riferisce in MW Notizie ai grandi predatori carnivori. 

Qualche esempio? In Appennino la popolazione dell’orso marsicano mostra segni di ripresa grazie a sei o forse sette nuove cucciolate. La popolazione di orso bruno in Trentino è invece prossima a quota 100, numero insperato raggiunto in soli 20 anni dal lancio del progetto europeo Life Ursus, cioè il ripopolamento della popolazione autoctona ormai estinta. 

I lupi, secondo Casanova, offrono invece sempre maggiori soddisfazioni. In tutta la Penisola si è passati da una popolazione avviata all’estinzione degli anni ’70 di circa 70 unità, alle 2000 certe per difetto di oggi. Peccato che nella Provincia autonoma di Trento dettino ancora legge le corporazioni degli allevatori e dei cacciatori. Del resto è l’unica realtà in Italia a permettere annualmente l’abbattimento di 1500 marmotte… Siamo d’accordo. È alla luce di queste considerazioni che oggi dovremmo necessariamente considerare il ruolo della wildlife presente sulle Alpi. “Gli animali selvatici”, osserva Casanova, “sono in grado, attraverso il loro valore estetico, di caratterizzare in modo esclusivo il territorio montuoso contribuendo a innalzare il valore paesaggistico della montagna. Indiscutibile è l’incanto che procura la fauna, e strategico è il suo valore culturale e socio-economico, se correttamente e coerentemente considerato come bio-risorsa disponibile sul territorio”. 

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Alpaca a Premia
In apertura: cammello ai piedi dello Sciliar

Fin qui, va ribadito, niente da obiettare. Ci mancherebbe, ben conoscendo la competenza di Casanova e l’affidabilità dei suoi scritti. Si rimane interdetti invece quando l’amico Luigi deplora che il Sudtirol – Alto Adige accetti la presenza di animali che con le Alpi “nulla hanno a che fare”. 

Mancano è vero gli elefanti, che fin dai tempi di Annibale, avevano avuto scarsa fortuna. “Ma oggi”, osserva Casanova, “possiamo trovare cammelli (ben tre), alpaca e lama alla Tuffalm di Fiè, sullo Sciliar. E le due specie andine sono ormai diffuse ovunque in Dolomiti. Tanto per sottolineare come le Dolomiti giorno dopo giorno vengano picconate non solo dalle ruspe degli impiantisti e dalle esigenze dei rifugisti, ma cancellate anche dal punto di vista culturale: ridotte a un sempre più banale e indicibile parco giochi”.

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Lama

Sulla presenza e l’incomparabile utilità dei lama e alpaca ci sarebbe in effetti da discutere. Si sa che sulle pendici delle Ande peruviane pascolano circa quattro milioni di alpaca, ricoperti da una coltre setosa molto ricercata negli Stati Uniti, in Europa e in Asia. Il vello d’alpaca può avere 24 tonalità di colore e la sua tosatura annuale può arrivare a fornire tre chili e mezzo di lana

Se circa l’80% della produzione mondiale di alpaca viene dal Perù, va preso atto che anche nelle Alpi gli alpaca cominciano a essere di casa. Vivono in gregge, hanno carattere tranquillo e amichevole. In alcuni agriturismi sono apprezzati soprattutto come compagni di viaggio per passeggiate e trekking e per attività didattiche con i bambini. I lama (che si distinguono per la forma delle orecchie) e gli alpaca si possono incontrare anche in Lombardia. L’allevamento, si legge su un sito internet, non comporta particolari esigenze: sono animali che si adattano bene a climi diversi, è sufficiente che abbiano a disposizione un riparo o tettoia per proteggersi dalla pioggia, dal vento e dal sole ma non è necessario che abbiano a disposizione una stalla.  (Qui avevamo già parlato del lama da guardia)

E’ indubbio poi che i lama siano ottimi messaggeri del territorio. “Roma stregata dai pellegrini del Renon”, titolò un quotidiano di Bolzano quando due esemplari di Alpaca provenienti dall’Alto Adige vennero affettuosamente accolti in piazza San Pietro da papa Francesco. 

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Messner e i suoi yak (foto www.messner-mountain-museum.it)

Sempre più di casa sulle Alpi è poi lo yak, meglio conosciuto come bue tibetano, un mammifero di grandi dimensioni che vive negli altipiani dell’Asia centrale. Da diverso tempo ad allevarli nelle sue tenute a Solda è Reinhold Messner richiamando folle di turisti in occasione delle transumanze. Il valore economico degli yak non è da sottovalutare. La fibra ottenuta dal pelo rappresenta un ottimo surrogato della lana, la cui lavorazione sottopone le pecore a pratiche poco etiche. 

E veniamo ai cammelli che pacificamente pascolano alla Tuff Alm sotto le pendici dell’Alpe di Siusi mentre i turisti si rimpinzano di canederli. Considerato che il fieno e il mangime per le vacche da latte scarseggia per effetto della siccità, nelle malghe alpine c’è in effetti chi prevede di rimpiazzare le vacche con i cammelli. “Si accontentano di poco e il loro latte si vende a 8,7 euro al litro”, si apprende da un’inchiesta sulla rivista Internazionale dedicata ai cambiamenti climatici sulle Alpi. Unico inconveniente: una femmina di cammello dà solo due o tre litri di latte al giorno. Per guadagnarci bisognerà che i malgari offrano ai turisti anche gite a dorso di cammello. Le mucche come noto non si prestano all’escursionismo… Alpaca, lama, yak, cammelli al pascolo: il futuro delle Alpi passa anche attraverso questi nuovi scenari. Heidi appartiene solo al mondo delle favole. Forse è il caso di farsene una ragione. O no?

13 Agosto 2020
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MountCity

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