È morto, all’età di 95 anni, don Joseph Hurton, leggendario parroco di Solda dove fondò la locale sezione del soccorso alpino e iniziò i corsi della scuola per cani da valanga. La sua vita non semplice da profugo politico è stata segnata dagli incidenti in montagna, ma anche dall’amore per essa e per i suoi inseparabili cani.

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Don Joseph Hurton e il mistero che lega l’uomo alla montagna

“Les dieux s’en vont” dicono i francesi. E anche don Joseph Hurton, parroco soccorritore di Solda a 95 anni se ne è andato a raggiungere in cielo i tanti finiti sotto una valanga che non è riuscito a sottrarre al loro triste destino. Aveva diverse benemerenze don Hurton, ma i miracoli non erano una sua specialità. Così gli è capitato in quarant’anni di raccogliere circa 200 vittime dell’Ortles. Gli incidenti in montagna hanno segnato la sua vita fin da giovane, quando perse nella bufera alcuni suoi compagni.  

Nel 1960 venne chiamato a Solda per sostituire il parroco morto per una slavina mentre tornava in canonica dopo una lezione di catechismo nella piccola scuola del paese. Ho un bel ricordo della sua affabilità e della simpatia con cui mi accolse quasi mezzo secolo fa nella sua canonica di Solda dove ero salito per intervistarlo. A quell’epoca “padre soccorso” era già leggendario come l’Ortles, come lo definì di recente il vescovo Ivo Muser durante una messa celebrata in suo onore.

“Lo stretto rapporto che lega l’uomo alla montagna è un grande mistero, in parte ancora inesplorato”, amava dire davanti i lutti che si consumavano sotto i suoi occhi. Fu don Hurton a fondare la locale stazione di soccorso alpino. E ora lo piangono, ne sono certo, i tanti cani da valanga da lui addestrati. 

L’Ortles e il Gran Zebrù furono la sue amate montagne. Per 63 anni è stato in costante contatto con i fedeli e con gli alpinisti. Nel piccolo villaggio turistico dell’Alto Adige arrivò nel cuore dell’estate del 1960. In quel periodo si trovava a Roma. Il vescovo Joseph Gargitter gli scrisse informandolo che nessuno aveva presentato domanda per ricoprire l’incarico di parroco e che forse era il caso che lui ne approfittasse. E don Joseph non se lo fece ripetere.

Don Joseph, dai campi di lavoro al soccorso alpino e scuola per cani da valanga a Solda

Fu sostituto parroco e poi parroco per 35 anni fino al 1999. In tutto questo tempo trovò il modo di organizzare una stazione di soccorso alpino all’avanguardia con una scuola per cani da valanga oggi inserita nell’organico del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico

Fu nel ’66 che a Solda, con 18 cani e 17 conduttori, don Joseph diede dunque vita a questi corsi. Di cani, ne ebbe sei, cinque dei quali da valanga. Tutti pastori tedeschi. Si chiamava Brinnò quello che più gli è rimasto nel cuore. “Era molto forte, tenace nella ricerca, e non aveva paura di nessuno. Era instancabile. Abbiamo fatto perfino”, mi raccontò, “una decina di cime oltre i tremila metri, e sui libri di vetta compare anche il suo nome”. 

Don Joseph arrivò nel ‘61 in questa verde conca magicamente adagiata tra il Cevedale, l’Ortles e la vertiginosa nord del Gran Zebrù. La sua storia di profugo politico in tempi di stalinismo finì così per intrecciarsi con la storia dell’alpinismo. Strinse amicizia con alcuni dei “giganti” dell’alpinismo sudtirolese. Di Reinhold Messner raccolse le confidenze ricambiando con preziosi consigli “da pari a pari”. 

Figlio di un fabbro che con la fine del conflitto si rifiutò di entrare nel partito, Joseph venne iscritto d’ufficio da giovane alle “abscluss class”, i corsi di studio che non consentivano l’accesso alle scuole superiori. Un modo come un altro per discriminare, in un regime in cui si riassumevano i peggiori aspetti dello stalinismo.

“Il corso prevedeva esami politici e durante uno di questi”, ci tenne a ricordare don Hurton, “le mie risposte sui temi religiosi determinarono la mia esclusione e il conseguente internamento in un campo di lavoro. Nel ’51 finalmente riuscii a fuggire. Un lungo viaggio mi portò in Italia dove avevo qualche amico. Studiai a Roma per otto anni e, dopo essere stato ordinato sacerdote, scelsi la diocesi di Bolzano”.

Per due anni don Hurton visse come cappellano in Val Badia e a Sesto in Pusteria. Poi come parroco di Solda prese possesso della linda canonica di fronte alla chiesa parrocchiale, un maso con due secoli di vita che agli albori del turismo in questa valle svolse anche funzione di alberghetto. 

Nel 1965 entrò a far parte del locale gruppo di soccorso alpino come responsabile dei cani da valanga e in pochi anni ne assunse la direzione fino a diventare nel ’72 coordinatore di tutte le squadre della Val Venosta. È a quel punto che sulla facciata della canonica venne murata la targa “Delegazione Alto Adige, zona 3°”. Il soccorso alpino da allora abitò qui, con la benedizione del parroco e, s’intende, anche dell’Onnipotente.

Quando nel 1964 nacque la Scuola provinciale per cani da valanga si capì che, per tutti i partecipanti, il corso era una specie di festa. “Si sistemavano i canili sul prato della parrocchia”, mi raccontò don Joseph. “Ogni anno rivedere gli amici istruttori era per me una gioia. Mi ricordo le incursioni serali in casa di cinofili come Reinstadler e Pircher. Si parlava a lungo bevendo un buon bicchiere di vino. Le ore passavano in fretta”.

Addio indimenticabile don Hurton

E a proposito. Versando più di un buon bicchiere di Blauburgunder, ricordo che don Hurton sciorinò a tavola una frase in latino che condensava la sua filosofia. Me la segnai sul taccuino: “Beatus qui habet suam pacem, sedet at fornacem, bibit bonum vinum et laudat Deum Trinum”. Occorre forse tradurre? 

“Per primo viene il cane e poi la moglie”, scherzava, ma non troppo, il suo amico Hermann Pircher, macellaio, collaboratore della Croce bianca di Solda. “Questo mia moglie lo sa: cane e conduttore devono essere un’unità inscindibile. È quando si lavora per ore e ore su una vera valanga che si vede l’affiatamento tra cane e conduttore”. 

Don Hurton mi raccontò ancora di quando un  giorno venne deciso di montare una grande croce su cima Beltovo e le varie parti del manufatto vennero dapprima accatastate nel soggiorno della canonica.  “Il mio cane Arno era molto incuriosito per quell’andirivieni di gente”, ricordò don Joseph, “ma non volevo che m’impicciasse. Lo chiusi in casa mentre caricavamo i pezzi della croce sull’elicottero per andarle a piazzare sulla vetta. Appena il velivolo si fu staccato da terra vidi però qualcosa che spuntava in mezzo ai legni. Qualcosa che non ho tardato a riconoscere. Era la coda di Arno che a mia insaputa era scappato attraverso la finestra e, pur di starmi accanto, si era imbarcato clandestinamente”.

Ci congedammo in fretta quel giorno perché don Joseph doveva dire messa e aveva appena il tempo di indossare l’abito talare. “Ora debbo cambiare la carrozzeria”, mi disse estraendo l’abito da uno degli artistici armadi di cirmolo della canonica. Addio caro, indimenticabile don Hurton.

Roberto Serafin

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19 Ottobre 2023
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