Sempre cara mi fu quella stretta valle, dalla quale ha origine il torrente che dà il nome alla Val Chisone, sconosciuta ai più che salgono i suoi tornanti, attraversandone frettolosamente i suoi abitati, destinazione la Via Lattea. E non stiamo parlando di camminate intergalattiche. Eppure, poco al di sotto del comprensorio sciistico per eccellenza delle Alpi piemontesi, si schiude uno scrigno di bellezze naturalistiche e di patrimoni storico-culturali che è la Val Troncea. Valle laterale della Val Chisone, terra di libertà medioevali e di dialogo intervallivo o – diremmo oggi – transfrontaliero. Perché i confini degli Stati Nazione sono qui, come altrove, un’invenzione culturale e politica moderna. Tra Escartons, fedi religiose che hanno conosciuto la libertà di espressione molto tardivamente, antiche lingue tutt’altro che “fossili” viventi, economie basate sulle risorse naturali, fortezze e fortificazioni ed eventi della Storia con la S maiuscola , la Val Troncea (e in generale la Val Chisone) ci ricorda con forza che la marginalizzazione delle montagne è un fenomeno politico e che la storia delle popolazioni alpine è stata per secoli agli antipodi di quel ritratto di “fabbrica d’uomini ad uso altrui”, con il quale lo storico Fernand Braudel dipingeva le Alpi nei suoi scritti negli anni ’60 del secolo scorso.
Vissuta ai piedi delle cosiddette Valli valdesi (Val Chisone, Val Germanasca e Val Pellice), ho sempre guardato alle terre alte con un misto di familiarità ed alterità. Quel sentimento familiare che deriva dalla frequentazione – estate e inverno – di sentieri, borghi, bergerie, piste da sci, musei e fiere, ma che al contempo si porta appresso quell’elemento di estraneità che subentra dal confronto con culture altre: la cultura e fede valdese e la parlata patouà.
“Le mie montagne” sono quindi tutt’altro che mie. Da Pinerolese di nascita, mi accorgo che quel diritto di uso del pronome possessivo è alquanto atteggiamento superbo. Sfumato è infatti il vincolo di sangue, come sfumata è la discendenza dalla Val San Martino (borgata Giordanengo), di cui conservo memoria tangibile nella piccola casa di famiglia – probabilmente antico ciabòt – la cui trasformazione d’uso si deve a un pro-prozio che toccò con mano l’emigrazione degli anni del primo Novecento, quando i suoi parenti lasciarono le Alpi per le praterie americane. Le montagne di queste valli sono lo sfondo della mia vita e il palcoscenico di molte giornate passate a frequentarle, ma non sono mie.
Tuttavia, l’apertura di queste ha trascinato con sé quel sentimento di appartenenza che porta a riconoscere un luogo quale “casa”.
Decido quindi, in questa sede, di proporre un condensato di quanto possono offrire le “mie” montagne.
L’anello proposto si snoda tra la Val Troncea, il Vallone di Massello (Valle Germanasca) e la Val Chisone, prendendo avvio e trovando conclusione a Pragelato. Comune un tempo “capitale”
dell’Escartons du Pragela, Pragelato ospita la sede del Parco Naturale Val Troncea, facente oggi parte dell’Ente di gestione delle Aree Protette delle Alpi Cozie.
Prima tappa
Lasciata l’auto in uno dei parcheggi di Pragelato, occorre incamminarsi direzione Val Troncea sul tracciato sterrato che percorre la sinistra orografica del Chisone, sul percorso dell’anello di sci di fondo della storica pista olimpica.
Raggiunto il Colle del Beth (2785 metri s.l.m), dove sorge il rifugio non gestito del Beth e il bivacco del Beth “Piero Villot”, con una breve deviazione sul versante del Germanasca si possono visitare i resti di altre miniere abbandonate e ammirare una serie di laghi alpini. Per chi volesse, dal rifugio non gestito del Beth è raggiungibile la punta del Bric Ghinivert (3.037 metri s.l.m.), eccezionale vista sulle Alpi francesi del Delfinato e sul Monte Albergian.
Seconda tappa
L’indomani vede il percorso snodarsi tra la Val Troncea e il Vallone di Massello, comune della Val Germanasca.
Seguendo le indicazioni per il Colle dell’Arcano (2781 metri s.l.m.) si incontra il Sentiero degli Alpini, tracciato scavato nel 1898 nella roccia su muretti a secco. Il sentiero collega il Colle dell’Arcano con il Colle Morefreddo (2710 metri s.l.m.).
Alle pendici del Monte Morefreddo si vede un bivacco, attualmente in disuso. Da qui si prosegue per il Colle del Pis (2813 metri s.l.m.). Storicamente il Colle è ricordato per essere stato il luogo di passaggio dei Valdesi nell’agosto 1689 durante il rientro nelle loro terre dopo l’esilio in Svizzera. L’epicità di questo lungo e pericoloso viaggio ha valso a buon diritto l’appellativo di Glorieuse Rentrée (Glorioso Rimpatrio). Sul Colle del Pis avvenne l’incontro/scontro con le truppe sabaude, pronte a sbarrare loro la strada e aggirate dai Valdesi, probabilmente grazie alla fitta nebbia di casa in queste zone.
Giunti a Fenestrelle, si può fare tappa in una delle numerose strutture ricettive che il paese offre, ma non prima di aver ammirato la cosiddetta Grande Muraglia piemontese.
Il Forte di Fenestrelle, descritto come gradinata titanica dal De Amicis, si sviluppa per 3 km superando un dislivello di più 600 metri con una scala coperta di 4000 gradini e una superficie totale di 1350000 mq. Numeri che gli valgono il primato tra le fortificazioni alpine europee. Anche l’arco temporale di costruzione non è da meno: i lavori iniziarono infatti nel 1728 e terminarono nel 1850, attraversando il regno di tre sovrani sabaudi. La descrizione non può eguagliare la visita, perché è solo con lo sguardo che si può avere la percezione di che cosa si ha di fronte. Non svelo altro, e sicuramente in loco non mancheranno cartine e depliant informativi.
Terza tappa
Il rientro è previsto lungo sentieri sulla destra orografica del Chisone. Partendo dal centro di Fenestrelle si raggiunge in breve tempo la borgata Laux (sotto il comune di Usseaux).
Da Usseaux capoluogo si raggiunge Balboutet. In entrambe le borgate non mancano testimonianze dell’architettura locale e i murales, che da qualche anno a questa parte colorano diversi angoli del paese. Scendendo verso la statale SR23, su breve tratto asfaltato, si tocca la borgata di Pourrières e il suo bacino. Tenendosi sempre su sterrata, seguendo la segnaletica, si tocca la borgata Fraisse per poi entrare nel Comune di Pragelato a partire dalla borgata Souchères Basses. In breve si giungerà nell’abitato di Pragelato.
Per un po’ di approfondimento
Gli Escartons. Con il termine Escarton si intende denominare un territorio alpino che in origine era composto da cinque zone montane che attualmente sono a cavallo tra i confini italiani e francesi. Gli Escartons erano: Queyras, Alta Val Chisone, Alta Val Susa, Brianzonese e di Casteldelfino (Valle Varaita).
Escarton deriva dal francese écarter che significa “dividere”, qui usato nel senso di “ripartire in quarti le imposte”. Tutto nacque nel 1343 da una legge sulle tasse imposta su questo territorio a quei tempi francese a cui seguì la firma da parte del Delfino di Vienne Umberto II e di 18 rappresentanti delle valli alpine, de La Grande Charte. In questo modo il Delfino riconosceva alle diverse comunità montane il diritto di governarsi dando avvio a un’esperienza suis generis di autodeterminazione delle comunità alpine.
Nel 1713, con il trattato di Utrecht e la nascita dei moderni confini statali, si pose fine a questa storia centenaria di autogoverno, con il passaggio delle valli Susa, Varaita e Chisone all’Italia e i restanti territori alla Francia. Tuttavia, gli Escartons rimangono la testimonianza che le Alpi non hanno mai avuto una funzione di barriera tra le diverse popolazioni, ma sono invece state luogo di contatto e scambio culturale.
La Glorieuse Rentrée (Il Glorioso Rimpatrio). Indica il rientro nelle Alpi Cozie piemontesi di un migliaio d’uomini guidati dal pastore valdese Henri Arnaud, dopo 3 anni di esilio forzato in terra svizzera.
Partiti il 26 agosto dal lago Lemano, attraversarono la Savoia con una marcia di 250 km, scontrandosi con le truppe francesi a Salbetrand, in val di Susa. Ripreso infine possesso delle loro valli, e stretti dalle truppe francesi, si trovarono impegnati in mesi di guerriglia e furono costretti ad asserragliarsi alla Balsiglia, una borgata sopra Massello, in val Germanasca.
L’attacco delle truppe franco-sabaude nel maggio del 1690 stava per segnare la loro fine, ma li salvò l’improvviso cambiamento nelle alleanze politiche, che portò il duca di Savoia a scendere in guerra contro i suoi ex alleati francesi. Tuttavia, le piene libertà giunsero soltanto nel 1848 grazie alle “Lettere Patenti” del re Carlo Alberto del 17 febbraio, giorno oggi di festa per la comunità valdese, ricordato la sera dai numerosi falò che illuminano le valli oggi come quell’anno, quando grazie al fuoco la notizia delle libertà si diffuse di borgata in borgata.
Nel 2003, sono nate “Le strade degli Ugonotti e dei Valdesi” per valorizzare i territori interessati dalla storia delle persecuzioni religiose del XVII secolo. Gli itinerari ricalcano tre vie storicamente percorse: la fuga degli ugonotti francesi verso la Germania e la Svizzera a seguito della revoca dell’Editto di Nantes (1685-1690); l’esilio dalle Valli valdesi verso la Svizzera e l’epica marcia di ritorno, il Glorioso Rimpatrio da Ginevra a Bobbio Pellice. I chilometri totali sono 1800 km.
L’Itinerario del Glorioso Rimpatrio tocca la Savoia, l’Alta Valle di Susa, le Valli Chisone, Germanasca e Pellice, per concludersi nell’abitato di Bobbio Pellice.
Le strade sono a tutti gli effetti itinerari escursionistici di montagna, tant’è che intersecano vie come la Via Alpina o la GTA, permettendo di scoprire le bellezze naturali e il paesaggio delle Alpi occidentali, ma arricchiscono anche l’escursionista dell’eredità culturale delle minoranze religiose locali, poiché lungo le strade è possibile documentarsi circa la loro storia economica e sociale. (vedi pagina FB)
Le lingue locali. Le Valli Pinerolesi sono luogo in cui si parla il provenzale alpino (anche conosciuto come occitano, lingua d’Oc o patouà) e, per ragioni storico-religiose, il francese. Oggi le due lingue sono tutelate dalla Legge nazionale 482/99 sulle minoranze linguistiche storiche. Tra le associazioni che si occupano della valorizzazione mediante sportelli aperti al pubblico: la Fondazione Centro Culturale Valdese; l’associazione Amici della Scuola latina di Pomaretto e l’associazione La Valaddo.
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L’autrice
Maria Anna Bertolino, antropologa, si dedica da una decina di anni alle tematiche socio-culturali legate alla montagna. La sua tesi di dottorato ha riguardato la rivalorizzazione di borgate alpine, i cambiamenti demografici e le trasformazioni del paesaggio delle Alpi piemontesi. Pubblicata con il titolo Eppur si vive: nuove pratiche del vivere e dell’abitare nelle Alpi occidentali (Meti Edizioni, 2014), il volume ha vinto il terzo premio “Virtus ad fides” promosso dall’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali nel 2015. Collabora con associazioni, organizzazioni, fondazioni e con università su progetti di ricerca legati alle Alpi.
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